Appena 24 ore dopo i 39 “non ricordo” pronunciati Micaela Campana che resteranno nella storia di Mafia Capitale, Nicola Zingaretti sceglie il silenzio. Chiamato a testimoniare dalla difesa di Salvatore Buzzi nell’aula bunker di Rebibbia dove si svolge il processo al cosiddetto “mondo di mezzo”, il presidente della Regione Lazio si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il governatore è indagato per corruzione e turbativa d’asta in un procedimento connesso, nato dalle dichiarazioni del ras delle cooperative rosse sulle quali gli inquirenti non hanno trovato riscontri, e sulla sua posizione c’è una richiesta di archiviazione da parte della procura che al momento è in attesa della decisione del gip.
“Ho denunciato Salvatore Buzzi per le calunnie sul mio conto e chiederò io stesso di essere sentito nel processo contro di lui – ha rilanciato Zingaretti in una nota stampa – durante le sue deposizioni in carcere nell’estate del 2015, il signor Buzzi ha accusato me ed altre decine di persone di aver commesso alcuni reati. Io, appena giornali e tv pubblicarono con grande evidenza questi interrogatori, ho subito denunciato il signor Buzzi per calunnia ed ora attendo il processo a suo carico”.
“Conseguentemente per verificare le accuse di Buzzi la procura di Roma ha aperto su di me delle indagini ed ora, sempre la procura di Roma, ha chiesto al gip per me, e per altre decine di persone, l’archiviazione”. “Si è determinata una situazione paradossale – conclude Zingaretti – in cui sarei stato chiamato a giustificarmi dalle false accuse mosse da Buzzi, quando dovrebbe essere lui a spiegare perché me le ha rivolte. Ovviamente non mi sottrarrò al dovere della trasparenza e dal rendere pubblici tutti i fatti di mia conoscenza. Chiederò io stesso di essere sentito come testimone nel processo per calunnia conseguente alla mia denuncia”.
Decisione legittima dal punto di vista procedurale, meno sotto il profilo politico: poteva essere, per il governatore della Regione Lazio, un’occasione per fare chiarezza sulla propria posizione in un processo in cui un’intera classe dirigente e il suo schieramento politico, il Partito Democratico, è accusato di reati molto gravi. Forse, nel caso di Zingaretti, il timore di inciampare in una dichiarazione sbagliata proprio mentre l’altro procedimento è a un passo dall’archiviazione ha giocato un ruolo. Soprattutto dopo la raffica di “non ricordo” opposti dalla Campana alle domande dei magistrati, costati alla deputata del Pd l’iscrizione nel registro degli indagati per falsa testimonianza.
Zingaretti annuncia che chiederà “di essere sentito come testimone nel processo per calunnia”. Resta da capire se si arriverà mai all’apertura di un processo. Negli interrogatori svolti tra il giugno e il luglio 2015 l’ex capo delle coop rosse e braccio operativo del presunto sodalizio criminale guidato secondo i pm da Massimo Carminati, rivolge al governative diverse acuse, tra le quali quella di aver partecipato alla spartizione dei lotti di una gara d’appalto indetta dalla Regione. Buzzi riferiva di averlo saputo da Luca Gramazio (ex capogruppo di Forza Italia alla Pisana, sotto processo in primo grado). I magistrati raccolgono la testimonianza di Buzzi, sentono Gramazio, che smentisce, e archiviano perché “la natura de relato di parte delle dichiarazioni di Buzzi, e l’assenza di conferme da parte di Gramazio sono elementi che impongono l’archiviazione“.