Anche senza gli 8 nuovi inceneritori autorizzati dal governo, in tutta Italia i rifiuti bruciano lo stesso. Nei piazzali di stoccaggio di materiali pericolosi, negli impianti di compostaggio, nei centri che selezionano e avviano al riciclo gli imballaggi. In un crescendo di casi: una cinquantina nel 2015, altre decine quest’anno. Magistrati e forze dell’ordine sono al lavoro per capire le cause, con i carabinieri dei Noe che hanno addirittura creato un gruppo di lavoro ad hoc per tutto il Nord Italia, convinti che per indagare sul fenomeno serva avere una visione d’insieme. Intanto ambientalisti e operatori del riciclo lanciano l’allarme sulle possibili conseguenze: “C’è il rischio che con la diminuzione degli impianti di riciclo in attività aumentino i rifiuti che vanno in discarica o agli inceneritori”. Aggiungendo così combustione a combustione.
Storie di fuoco
A volte si tratta di incidenti, dovuti a fenomeni di autocombustione. Più spesso le cause sono dolose: i rifiuti si incendiano di notte, le fiamme sono appiccate da mani ignote, incappucciati che fuggono. Le telecamere di sorveglianza catturano pochi fotogrammi, partono indagini che sono strade tutte in salita e portano a fenomeni diversissimi tra loro. Legati a volte all’impresa, altre a dinamiche territoriali. Gli impianti prendono fuoco in tutta Italia, anche se è il Veneto la regione che rischia di trasformarsi in una nuova piccola terra dei fuochi. Un aspetto che non è sfuggito neanche al Noe. Qui il numero degli incendi ha subito una brusca impennata: “Pensiamo che il fenomeno debba essere monitorato: la preoccupazione è che appena vengono messi in discussione interessi o posizioni consolidate, il sistema di illegalità, connivenza, corruzione, reagisce mostrando il suo volto violento”, si legge in un dossier dell’Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente Veneto.
Le storie dei roghi non viaggiano mai sole: si attorcigliano a interessi, a vicende anche con rilevanza penale, ad aspetti poco chiari nella gestione delle imprese. A volte per caso, a volte no. Lo scorso 5 ottobre le fiamme sono divampate alla Eco Transider di Gricignano d’Aversa (Caserta). Secondo le prime verifiche, a prendere fuoco sono stati i rifiuti urbani stoccati all’interno del capannone della società. Che sulla gestione dei rifiuti però aveva già presentato criticità: non solo per la puzza insopportabile contro cui da anni protestano i cittadini, ma anche per i risultati degli ultimi controlli dell’Arpa Campania, che poco tempo fa aveva rilevato gravi irregolarità sulle quantità e le modalità di stoccaggio dei rifiuti.
La notte tra il 29 e il 30 settembre è andato a fuoco il centro per la selezione e l’avvio al riciclo degli imballaggi Caris, a Lainate, nel Milanese. Probabilmente un incidente, ma i sindacati denunciano: “E’ il quarto in pochi mesi in quell’area sulla quale ci sono interessi di cementificazione. Non crediamo alle coincidenze. Faremo un esposto alla Procura”. Pochi giorni dopo è stato il turno di un’altra piattaforma di selezione, la Nek di Monselice, in provincia di Padova. Qui il fuoco sembra essere di origine dolosa, anche se le cause sono ancora da accertare. Come è da capire se ci possa essere o meno un legame con l’aspra vertenza sindacale che aveva coinvolto la società negli ultimi mesi, tra denunce per violenza privata da parte del titolare nei confronti delle dipendenti, presunti atti vandalici sui macchinari, picchetti e occupazione della sede avviati dai lavoratori dopo il prospettato licenziamento.
E non di rado il fuoco chiama altro fuoco. Come avvenuto troppo spesso negli stabilimenti del gruppo di gestione dei rifiuti Idealservice tra Veneto, Friuli ed Emilia Romagna: gli incendi contati dal 2006 sono almeno sette, a cui si aggiungono gli altri tre subiti negli anni dall’azienda Costa Mauro in provincia di Massa Carrara, a cui la cooperativa con sede nell’Udinese conferiva dal 2015 i rifiuti raccolti in Lunigiana e che in passato era stata vittima di un tentativo di estorsione. Tutti incidenti? C’è un filo comune che lega le fiamme? E soprattutto ci può essere un legame con le vicende passate del gruppo? Nel 2010 era stato accusato (e poi assolto nel 2013) di truffe ai danni di alcuni Comuni e del consorzio per il riciclo degli imballaggi in plastica Corepla. A giugno 2016 invece era finito al centro, come parte lesa in questo caso, di un’inchiesta della procura di Genova sulla gestione dei rifiuti a Lavagna. La Idealservice, dopo aver vinto l’appalto, sarebbe stata obbligata dal sindaco della cittadina ligure a condividere il servizio con una società in odor di ‘ndrangheta, la EcoCentro, accusata anche di aver smaltito rifiuti speciali illecitamente nella discarica genovese di Scarpino.
Il pm Pennisi: “Sintomi di un sistema deviato”
Quello degli incendi agli stabilimenti che trattano rifiuti è un labirinto in cui è difficile districarsi. Roberto Pennisi, magistrato della Direzione nazionale antimafia esperto di crimini ambientali, prova a dare una chiave di lettura generale, al di là dei casi specifici su cui stanno indagando le procure: “Le imprese che trattano rifiuti hanno interesse ad acquisirne il più possibile, perché più acquisiscono, più aumentano gli introiti”. Il problema viene dopo: “Oggi in Italia c’è una gestione dei rifiuti deviata, in cui la regola è questa: il rifiuto meno lo tocchi più guadagni. Ragione per la quale l’interesse di chi ha acquisito i rifiuti sarebbe quello di portare tutto in discarica”. Ma poiché la normativa ambientale prevede la necessità di trattamento, e dunque costi, “per evitare di toccare questi rifiuti tante volte arriva il benedetto fuoco. Quello che brucia va in fumo e il fumo non si tocca più”. Non solo: anche i casi di autocombustione, continua Pennisi, possono essere “un segnale di una gestione illegale, in cui sono stati messi in discarica o stoccati rifiuti che non avrebbero dovuto essere collocati in quei luoghi per le loro caratteristiche che li rendono predisposti alla combustione. O che non avrebbero dovuto stare insieme”.
Il sistema del riciclo tiene?
Mentre gli stabilimenti vanno a fuoco, il sistema è in grado di reggere il colpo di continui incendi? Domanda che diventa ancora più urgente se si considera che solo nell’ultimo anno sono bruciate ben cinque piattaforme per la selezione degli imballaggi in plastica (attività che rappresenta il primo passo per l’avvio al riciclo), proprio mentre la raccolta differenziata è in aumento in tutta Italia. “Se vanno in tilt gli impianti di riciclo, ne beneficiano quelli di smaltimento, cioè discariche e inceneritori – denuncia il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani – Quando un centro per l’avvio al riciclo brucia, gli imballaggi che andavano in quello stabilimento o vengono interrati o bruciati, oppure vanno in impianti più lontani”. È il problema con cui sono alle prese società di igiene urbana come Gelsia Ambiente, che fino a prima dell’incendio portava i suoi rifiuti differenziati allo stabilimento della Caris: “Se dovessimo portarli troppo lontano il costo potrebbe rivelarsi eccessivo. Verrebbe quasi da dire che costa meno incenerire”, spiega il direttore generale Antonio Capozza.
Da Corepla, il consorzio che in Italia coordina le attività di avvio al riciclo della plastica, arrivano parole rassicuranti. Dice il presidente Antonello Ciotti: “Non mi risulta che ci siano casi in cui imballaggi della raccolta differenziata sono andati agli inceneritori. Abbiamo gestito il problema andando a saturare gli altri centri nelle regioni vicine a dove ci sono stati gli incendi. Inoltre, ci sono due nuovi centri in partenza, uno in provincia di Parma e uno in provincia di Taranto, e sono appena ripartiti dei centri che erano fermi, uno a Cagliari e uno a Catania. Questo darà al sistema un po’ di ossigeno”.
Impianti sovraccarichi, sistema a rischio ingorgo
Ma oggi gli operatori raccontano un’altra storia. Quella di impianti sovraccarichi, in sofferenza, lasciati soli a gestire la situazione difficile, senza una regia trasparente. Il presidente di Assosele, associazione che rappresenta la maggior parte delle piattaforme di selezione degli imballaggi, Marco Ravagnani spiega che “le aziende nostre aderenti hanno dato la massima disponibilità a Corepla per risolvere l’emergenza, ma ad oggi non siamo stati convocati dal consorzio. Purtroppo, gli incendi mettono in evidenza le criticità di un sistema ingessato, in cui il potere contrattuale è tutto in mano a Corepla. È il consorzio ad assegnare ai diversi stabilimenti le quantità da selezionare senza garanzie per il futuro. Cosa che non ha consentito agli stabilimenti di crescere nonostante gli ingenti investimenti effettuati nel corso degli anni e rendere così il sistema più forte in situazioni di emergenza”.
E il rischio di incendi “cresce di pari passo con l’aumento delle quantità stoccate nei centri di selezione in attesa di essere ritirate da Corepla”. Le quotazioni per certi polimeri sono basse, il mercato rallenta e gli imballaggi già selezionati rimangono parcheggiati più a lungo nei piazzali dei centri, “rubando” spazio a quelli in arrivo e contribuendo così a ingorgare ulteriormente il sistema. Se quello dei fuochi fosse un fenomeno in crescita, aggiunge il presidente dell’associazione dei riciclatori di plastica Assorimap Walter Regis, “potrebbe essere difficile tamponare in breve periodo il problema”.
E all’orizzonte si prospetta anche un aumento della spesa, con il rischio che a pagare siano ancora i cittadini. “L’aumento di costi appare inevitabile, in primo luogo per il trasporto”, denuncia Capozza. Non sarebbe la prima volta: il direttore tecnico dell’impianto lecchese Seruso, Paolo Monti, racconta che questa estate in Sardegna, dopo che le fiamme hanno distrutto uno stabilimento di selezione in provincia di Cagliari, “ci sono stati enormi problemi. Le raccolte sono state spostate sulla terraferma. Corepla, invece di puntare sulla prossimità, fa viaggiare i rifiuti anche a 300 o 400 chilometri di distanza. Ma un conto è lavorare con soluzioni tampone come questa, e un conto invece è creare opportunità per tutti vicino a dove i rifiuti vengono raccolti”.