La pistola che ha ucciso il commissario Calabresi era data per dispersa da anni. In un rapporto veniva definita: “macerata per allagamento”. Invece Umberto Valloreja, funzionario dell’archivio del Tribunale di Milano, è stato in grado di ritrovarla nella sezione “Corpi di reato”, quando il Procuratore di Venezia la richiese durante l’ultima fase processuale per l’omicidio. Lo ascrive a suo maggior successo, ma non è l’unico conseguito fra i 15 milioni di fascicoli e i 7 milioni di sentenze, che si estendono sui 47 chilometri di scaffalature dell’archivio. Come il ritrovamento di una velina, cercata per due giorni e due notti, che permise a un giudice francese l’estradizione di Cesare Battisti in Italia.
L’archivio del tribunale ha essenzialmente due funzioni: pratico, per chi necessita di documenti per nuovi atti, e storico. A rispondere a tutte queste esigenze provvede un gruppo di una decina di impiegati, che ogni giorno soddisfa le richieste di circa duecento persone, muovendosi su 98 materie diverse. Età media 58 anni, per un lavoro che implica anche la movimentazione fisica dei faldoni, e turn over bloccato da tempo, così che i pensionamenti non vengono rimpiazzati. Ma soprattutto nessuna preparazione scientifica archivistica, se non quella che viene lasciata alla buona volontà dei singoli.
Né il Ministero della Giustizia, né quello dei Beni e delle Attività Culturali, sotto il quale ricade la competenza sugli archivi, spende un centesimo in corsi di formazione. Del resto la mancanza di una cultura archivistica è patrimonio comune anche ai più alti livelli del palazzo di Giustizia, dal momento che – come racconta Valloreja – fu un Presidente del Tribunale, alcuni anni fa a dire “i faldoni della Corte D’Assise possiamo anche mandarli al macero, tanto per quel che servono …”. Il nuovo rito ha soppiantato il vecchio e quelle carte non valgono più.
Fosse andata così, avremmo perso documenti importantissimi per ricostruire la nostra storia tormentata delle ultime decadi. Invece il dottor Valloreja (a proposito di buona volontà dei singoli) ha creato un programma sperimentale che gli ha permesso di digitalizzare 1600 faldoni, in collaborazione con la cooperativa di detenuti Cremona Lab (gli stessi che hanno già digitalizzato il troncone catanzarese del processo per Piazza Fontana) e versare le copie all’Archivio di Stato. Sono i procedimenti Sindona, Calvi, Br, Feltrinelli e Tobagi. Altri 5.575 faldoni aspettano un intervento urgente a causa dello stato di deterioramento della carta. Fra questi documenti c’è di tutto: “Ho ancora 12 scatoloni del Banco Ambrosiano – racconta il funzionario dell’archivio – ma ho trovato anche dei fogli della Commissione Parlamentare sulla P2, in bianco e con tanto di firma dell’Onorevole Tina Anselmi (bisognerà controllare se è autentica). Qualcuno avrebbe potuto prenderli, inserirli in una vecchia macchina da scrivere e mistificare a proprio tornaconto la storia”.
E ancora: ”Facendo il censimento per la Commissione di Sorveglianza (quella addetta allo scarto, ndr) ho trovato atti riguardanti Valpreda nei faldoni del Tribunale di Potenza. Sono documenti importanti perché rappresentano l’anello di congiunzione nel processo di Catanzaro per Piazza Fontana”. Ma anche un piccolo processo composto da soli 2 faldoni, in cui si assiste alla nascita ideologica delle Br al quartiere Giambellino di Milano. O un documento, sempre delle Br, di schedatura di possibili obiettivi e delle loro abitudini quotidiane meticolosamente annotate, conservato in fascicolo civile.
I procedimenti contro ignoti rappresentano solitamente piccoli reati e proprio per questo vengono più facilmente scartati. Eppure alcuni di questi hanno portato alla riapertura del caso Caccia, il procuratore di Torino ucciso dalla ‘ndrangheta nel 1983. Il problema, s’infervora Valloreja, è che non solo il personale dovrebbe essere formato con dei corsi all’Archivio di Stato, ma il funzionario d’archivio stesso dovrebbe essere affiancato da un archivista di professione o da uno storico che proceda autonomamente allo studio, alla catalogazione e alla conservazione dei documenti. Occorre un’ampia cultura archivistica e storica per riuscire a trovare, contestualizzare e interpretare le carte: “Se uno guarda il faldone “Pendinelli Mauro”, lo butta al macero – prosegue – Pochi conoscono quel nome. Ma dentro c’è la morte del giornalista Mauro De Mauro”.
Il pericolo, in mancanza di professionisti e di turn over, è quello di perdere un patrimonio di fonti per la nostra storia, e questo vale per tutti tribunali d’Italia. A un convegno che si è tenuto la settimana scorsa all’Archivio di Stato di Milano, è stata lanciata la proposta di organizzare un catasto nazionale delle fonti giudiziarie. Proposta che ha già trovato in parte il favore della Dottoressa Bianca Bellucci, del Ministero della Giustizia, che ha iniziato a sondare le corti d’appello italiane Solo che al momento ci si accontenta di risposte come quello dei Tribunale dei Minori di Venezia che ha dichiarato di non avere “processi storici” nei propri depositi. Archivisticamente parlando, la strada è ancora lunga….