Meno male che la legge di riforma del bilancio dello Stato, approvata in via definitiva dal Senato lo scorso luglio, ha cancellato la possibilità di tappare potenziali buchi nelle coperture di qualsiasi nuova norma con le famigerate clausole di salvaguardia. E ha messo nero su bianco che se i conti non tornano non si può correre ai ripari con un aumento automatico delle imposte: deve provvedere il Tesoro, tagliando gli stanziamenti al ministero competente. Se non basta, tocca a Palazzo Chigi emanare un decreto ad hoc. “Per chi sbaglia a fare le previsioni si aprono due strade: o paga direttamente oppure torna in Parlamento con un decreto di copertura. Mai più clausole di salvaguardia e imposte automatiche ai cittadini per gli anni successivi”, esultava a settembre Francesco Boccia, presidente Pd della commissione Bilancio della Camera.
Così prevede la legge, in effetti. Ma, stando alle bozze della prima manovra varata dopo la riforma, il governo ha deciso di non tenerne conto. E, mentre con una mano ha cancellato l’aumento delle aliquote Iva che sarebbe costato agli italiani 15 miliardi, con l’altra ha piazzato una nuova “trappola“: se la riapertura della voluntary disclosure (l’operazione per la riemersione dei capitali nascosti al fisco) non frutterà alle casse dello Stato almeno 1,6 miliardi, il ministero dell’Economia disporrà un aumento delle accise su benzina, diesel, alcol e tabacchi che entrerà in vigore già il 10 settembre 2017. In questo modo dovrà essere recuperato il 50% della differenza tra gli 1,6 miliardi previsti e l’introito effettivo. Solo metà del divario sarà invece coperta con tagli alla spesa dei ministeri.
Boccia è talmente incredulo che alla richiesta di commentare la nuova clausola, a margine dei lavori delle commissioni in Parlamento sul decreto legge fiscale, si è limitato a dire: “La legge di bilancio che conoscete vieta le clausole. Quindi la norma sarà di un altro Paese, che non appartiene all’Ue”. Invece è proprio quella dell’Italia. Per ora. Difficile però che la previsione, evidentemente inserita per evitare contestazioni di Bruxelles sull’ennesima copertura aleatoria, sopravviva al passaggio parlamentare. Il Tesoro dal canto suo fa sapere che le clausole descritte finora “non corrispondono al testo del provvedimento”, ma la bozza in possesso del fattoquotidiano.it le riporta.
Non solo: l’articolo successivo della legge di Bilancio, che come già detto elimina l’aumento Iva per il 2017, si limita in realtà a farlo slittare agli anni successivi. Per cui il prossimo anno ci sarà bisogno di un nuovo sblocco delle clausole, che quest’anno è costato 15 miliardi di euro. In particolare viene previsto che l’aliquota Iva del 10% sia incrementata di un punto percentuale dal 1 gennaio 2018 e che quella al 22% sia aumentata “di tre punti percentuali dal 1º gennaio 2018 e di ulteriori 0,9 punti percentuali dal 1° gennaio 2019”.