Tutti i mass media del mondo ci informano che l’eventuale vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa del prossimo 8 novembre sarebbe una sciagura. E’ davvero così?

Anche se di solito sono molto critico verso il pensiero unico dominante veicolato dai cosiddetti organi d’informazione, questa volta sento di conformarmi a tale previsione. Trump per la sua ignoranza, il suo misoginismo e per quella sua tracotanza che caratterizza i miliardari è di sicuro un elemento riluttante e potenzialmente dannoso. Tuttavia, reputo Hillary Clinton un personaggio molto più pericoloso soprattutto per la pace globale.

E’ impossibile in pochi caratteri arginare lo tsunami di disinformazione che quotidianamente inonda l’italiano medio, invito, per chi vuole approfondire, qui un video in cui spiego come la gran parte dei mass media occulti la verità per tessere il disegno di società auspicato dai loro potenti azionisti.

Il ruolo dell’”informazione” nelle elezioni è decisivo. Negli Usa e non solo, in maniera quasi parossistica, Trump viene descritto come una bomba a mano senza sicura, pronta a esplodere in ogni momento. Tuttavia, viene celato che la sua elezione potrebbe condurre a una distensione con la Russia di Putin che invece, con la quasi certa vittoria di Clinton, aumenterebbe in maniera preoccupante e con essa la concreta probabilità di un conflitto su larga scala.

Con l’elezione della Clinton, oltre alla grande finanza internazionale, a vincere sarà anche quel pericoloso pensiero presente in potenti think tank statunitensi che sono determinati a rovesciare a ogni costo Vladimir Putin. Un presidente, che al contrario del fantoccio Boris Eltsin, rivendica l’autonomia del suo Paese. A questo intento si aggiunge il rancore personale di Clinton per Putin accusato d’intromettersi in maniera occulta nelle elezioni statunitensi per avvantaggiare il candidato repubblicano.

Nel 2015 il numero di soldati Usa nei Paesi baltici è quasi raddoppiato e proprio da quell’area geografica e dall’intransigente politica estera di Clinton potrebbe partire la scintilla di una grande guerra. Anche il fronte ucraino, con la vittoria democratica, si surriscalderebbe poiché l’obiettivo dell’ex segretario di Stato è di armare l’Ucraina filoccidentale. La Russia si sente sempre più accerchiata dalla Nato. Si pensi ad Anakonda la più grande esercitazione dopo la Guerra Fredda che si è tenuta nel giugno 2016 in Polonia.

La ristrutturazione di molti rifugi atomici costruiti durante il regime sovietico manifesta che sempre in più reputano inevitabile un conflitto con gli Usa. Hillary Clinton, ribattezzata in alcuni ambienti Usa per la sua voracità a far guerra con il nome Killary, è stata un segretario di Stato interventista. Se la Libia è stata attaccata e violata nella sua sovranità è anche per colpa sua. Per intraprendere tale conflitto si rese complice, tra le altre, della nota menzogna secondo cui Gheddafi avesse distribuito del viagra per violentare le donne dei suoi oppositori.

Il documento numero 131801 di WikiLeaks del 30 dicembre 2009 riporta questa inquietante affermazione di Hillary Clinton: “L’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al-Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba e altri gruppi terroristici, compreso Hamas. I donatori dell’Arabia Saudita costituiscono la più significativa fonte di finanziamento per i gruppi del terrorismo sunnita nel mondo”.

Queste parole dimostrano la sua consapevolezza dei nefasti obiettivi sauditi. Obiettivi che però collimano perfettamente con la politica estera degli Usa in Medio Oriente che vedono in Israele e Arabia Saudita i migliori alleati che, insieme alle forze jihadiste, si contrappongono alla Russia e ai suoi alleati siriani e iraniani.

Secondo l’International Business Times in soli due anni (tra il 2010 e il 2012) l’allora segretario di stato Hillary Clinton acconsentì alla vendita record di ben 165 miliardi di dollari d’armi. Una somma senza precedenti, proprio per Paesi (in primis all’Arabia Saudita) che sono risultati generosi finanziatori della Clinton Foundation.

Se avessi diritto al voto negli Usa però non opterei per Trump. No, rivendico il diritto a non scegliere il meno peggio, magari votando un terzo candidato (Jill Stein) o, al limite, restando a casa leggendo un buon libro di storia sperando che per una volta, quest’ultima, non si ripeta nel solito banale schema conflittuale dettato dalla legge del più forte sul più debole.

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