Entro il 2020 la popolazione globale di specie animali e vegetali potrebbe crollare del 67%. Questo a causa di alcuni fattori: la continua perdita o il degrado dei propri habitat, lo sfruttamento eccessivo delle specie, l’inquinamento, le specie invasive, le malattie e il cambiamento climatico. Secondo i dati raccolti dal Wwf nel mondo le popolazioni di pesci, uccelli, mammiferi, anfibi e rettili si sono ridotte del 58 per cento tra il 1970 e il 2012. Il report – Living Planet Report – viene pubblicato dall’associazione ogni due anni ed è arrivato all’undicesima edizione. Se pochi giorni fa l’Organizzazione meteorologica mondiale ha annunciato che siamo in una nuova era climatica, dato che nel 2015 e nel 2016 la concentrazione media di anidride carbonica nell’atmosfera ha raggiunto il traguardo di 400 parti per milione, un livello che non scenderà per diverse generazioni, il Wwf descrive un altro cambiamento epocale. Il premio Nobel per la Chimica Paul Crutzen e altri scienziati parlano di una transizione dall’Olocene a una nuova epoca geologica, che hanno definito Antropocene. Un passaggio causato proprio dall’impatto delle attività umane sui sistemi viventi. Sono “ulteriori prove – dicono dal Wwf – che il Pianeta sta entrando in un territorio inesplorato, in cui l’umanità sta trasformando la Terra e andando verso una possibile sesta estinzione di massa“.

I dati del report
Un importante indicatore delle condizioni ecologiche del pianeta è l’Indice del pianeta vivente (Living Planet Index) che misura lo stato della biodiversità attraverso i dati sulle popolazioni di varie specie di vertebrati. L’indice si basa su dati scientifici ottenuti da 14.152 popolazioni monitorate di 3.706 specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, pesci, anfibi, rettili) provenienti da tutto il mondo. “Dal 1970 al 2012 – rileva il report – questo indice mostra un calo complessivo del 58% dell’abbondanza delle popolazioni dei vertebrati”. I dati, inoltre, mostrano un calo annuo del 2% e non vi è ancora alcun segno che questo tasso possa diminuire. Negli ultimi 4 decenni le popolazioni terrestri sono diminuite complessivamente del 38%, le specie di acqua dolce dell’81%, mentre l’indice ‘marino’ delle specie mostra per lo stesso periodo un calo complessivo del 36 per cento.

La grande abbuffata
Secondo il rapporto, la produzione alimentare necessaria a soddisfare le complesse esigenze di una popolazione umana in espansione sta distruggendo gli habitat e sfruttando in modo insostenibile la fauna selvatica. “Oggi l’agricoltura occupa circa un terzo della superficie totale della Terra e rappresenta quasi il 70% del consumo di acqua” scrivono i ricercatori. Almeno 50 Paesi hanno sofferto di scarsità d’acqua e più del 30 per cento degli stock di pesce sono sovrasfruttati. Il report aggiorna anche la ricerca dal Global Footprint Network sull’impronta ecologica dell’umanità: “Viviamo su un solo Pianeta, ma stiamo utilizzando globalmente risorse che equivalgono a 1,6 pianeti in termini di beni e servizi utilizzati ogni anno”. Il Living Planet Report 2016 descrive alcune soluzioni in grado di trasformare i processi produttivi e il consumo di cibo per garantire cibo per tutti, ma in maniera sostenibile.

Il futuro
Qualcosa si può fare, come dimostra il caso della lince europea, ridotta fortemente nel passato per la caccia e la deforestazione. Leggi di tutela, progetti di reintroduzione e garanzie per la sua espansione naturale hanno fatto sì che questa specie risalisse la china dell’estinzione. Oggi in Europa vivono quasi 10mila esemplari di lince, il 18% della popolazione mondiale. Se da un lato infatti “il declino subito dal mondo selvatico in appena mezzo secolo preannuncia un crollo imminente di almeno due terzi entro il 2020” annuncia il dossier, è anche vero che proprio quell’anno “coincide con diversi traguardi importanti”.

Nel 2020 entreranno in funzione gli impegni assunti nel quadro dell’Accordo di Parigi sul clima, insieme alle prime azioni ambientali all’interno dei piani di sviluppo sostenibile. “Queste misure – scrivono gli autori del report – se verranno attuate contestualmente agli obiettivi sulla biodiversità saranno in grado di riformare adeguatamente il sistema alimentare ed energetico per tutelare la ricchezza della vita selvatica in tutto il mondo”. Ne è convinto Marco Lambertini, direttore generale di Wwf Internazionale: “Il mondo selvaggio sta scomparendo a un ritmo senza precedenti e non stiamo parlando solo delle specie meravigliose che tutti amiamo – ha dichiarato – perché la biodiversità rappresenta la base stessa del buono stato di salute delle foreste, dei fiumi e degli oceani”.

Il caso degli agricoltori del Kenya
Tra i vari esempi il rapporto descrive il caso dei piccoli agricoltori in Kenya che collaborano con le autorità locali e l’industria alimentare per la gestione delle risorse naturali del lago Naivasha, il secondo più grande del Paese, un’area di biodiversità e una risorsa importante per il Pil nazionale. “Questo è un momento decisivo – aggiunge Donatella Bianchi, presidente di Wwf Italia – perché siamo ancora in grado di sfruttare  le soluzioni per orientare i nostri sistemi alimentari, energetici, dell’economia e della finanza in una direzione più sostenibile”. Le strade suggerite per l’Italia? “Mantenere le promesse sull’attuazione dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico che entrerà in vigore il 4 novembre, una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, che sia in armonia con l’Agenda 2030 ed i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, ma anche la realizzazione del rapporto sullo stato del capitale naturale del nostro Paese con una relativa programmazione economica e la realizzazione di un piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico”.

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