L’Anac di Raffaele Cantone è il fiore all’occhiello del governo Renzi nella lotta alla corruzione. A parole, almeno. Perché da parecchi mesi l’ex magistrato anticamorra reclama lo sblocco di 82,8 milioni di euro che l’Autorità ha già in cassa ma non può spendere in nessun modo. A congelarli è la legge Madia, la 90 del 2014, che all’articolo 22 impone “razionalizzazioni” di spesa alle autorità indipendenti. Razionalizzazioni che Anac documenta di aver portato a termine. Ma dato che la norma non prevede un prima e un dopo, la tagliola sulle spese resta a tempo indeterminato, un po’ come accade ai Comuni “virtuosi” con il patto di stabilità. Per rendere disponibile il tesoretto basterebbe un provvedimento legislativo di poche righe. Che però non arriva, nonostante Cantone lo chieda pubblicamente dall’inizio dell’anno. Così il magistrato chiamato dal presidente del consiglio alla guida dell’Autorità ha allentato l’abituale diplomazia: “Siamo disposti a svolgere ogni tipo di attività, ma siamo quasi alla canna del gas… Tra non molto saremo costretti a dire che non siamo più in grado di svolgere il nostro ruolo”, ha affermato il 26 ottobre a margine della firma del protocollo sul terremoto del 24 agosto. Non si tratta di bussare a denari pubblici, ha precisato, ma semplicemente “di potere utilizzare i fondi che abbiamo”. E si è detto “sicuro che, se non sarà nel decreto fiscale, nella legge di stabilità questa questione sarà risolta”.
Eppure, mentre le retate per corruzione si susseguono, con immancabile chiamata in causa dell’Anac perché commissari gli appalti contestati, in Parlamento nessuno sembra agitarsi troppo. L’ultimo allarme di Cantone è stato raccolto solo da Rocco Palese, ex Forza Italia passato al gruppo Misto sotto le insegne dei “Conservatori e riformisti“. “L’Anac è uno dei principali investimenti del governo degli ultimi anni”, spiega a ilfattoquotidiano.it, “data la gravità del fenomeno della corruzione in tutta Italia”. Di conseguenza, “è sorprendente che mentre il nuovo codice degli appalti allarga in modo considerevole le competenze dell’Autorità, la richiesta del suo presidente continui a cadere nel vuoto. Sarebbe bastato inserire il provvedimento nel decreto enti locali o nel decreto fiscale, dove hanno messo di tutto”. Il decreto fiscale arriverà alla Camera per la conversione il 10 dicembre: “Se il governo non presenterà un emendamento per sbloccare gli 82 milioni lo farò io”, annuncia Palese. L’altra strada è quella delle Legge di bilancio (la ex “stabilità), che però “permetterebbe all’Anac di utilizzare i fondi solo dal bilancio del 2017”. Come sarà accolto il suo emendamento? “Non mi immagino di trovare contrarietà, ma soltanto la solita confusione politica e normativa”.
Anac ha un bilancio annuale di 88 milioni di euro (dati 2015), con spese correnti per 45 milioni ed entrate che arrivano per la maggior parte (oltre 49 milioni) dai contributi obbligatori delle imprese che partecipano alle gare d’appalto e degli altri soggetti sottoposti alla vigilanza. Gli 82 milioni in più, anche se riferiti a più anni, farebbero la differenza. Per esempio per pagare le trasferte degli ispettori che girano tutta Italia, da Expo al Mose, fino -verosimilmente – ai cantieri coinvolti nell’ultima inchiesta sulle Grandi opere. Senza contare che entro fine anno l’organico di 302 dipendenti si ridurrà di una ventina di unità, compresi dirigenti di grande esperienza, per fisiologici pensionamenti. Peccato che l’organico che permetterebbe il funzionamento a pieno regime dell’ente sia fissato in 350 persone. Inoltre, si legge nel piano di riordino firmato da Cantone il 28 gennaio per onorare gli obblighi della legge Madia, l’Anac ha già messo a bilancio, fra l’altro, “sia la riduzione di almeno il 20% della spesa per il funzionamento, sia la riduzione del 20% del trattamento accessorio del personale, anche dirigente”, come richiesto dalla normativa.
Nella nota aggiuntiva al piano, Cantone già segnalava “una rigidità della spesa tale da non consentire, per il futuro, a quadro normativo vigente, ulteriori misure di contenimento oltre quelle finora adottate, se non a
prezzo di una ridotta funzionalità dell’Autorità”. Tornato sull’argomento il 25 febbraio, ribadiva: “Noi i fondi li abbiamo, non abbiamo la possibilità di spenderli per una serie di norme all’italiana”. E chiariva: “Noi siamo autofinanziati dal mercato, non graviamo sul bilancio pubblico, se non in piccolissima parte. Abbiamo la possibilità di spendere i soldi che abbiamo e abbiamo la necessità in questo momento storico di dover rinforzare alcuni uffici. Chiediamo la possibilità di poter spendere i soldi”. Sono passati esattamente nove mesi da quando l’Autorità ha informato il governo delle sue impellenti necessità. Ma il parto è più complicato del previsto.
Politica
Corruzione, Anac “alla canna del gas”. Ma il governo non sblocca il tesoretto da 82 milioni
Mentre si moltiplicano le inchieste sugli appalti e le competenze affidate all'Autorità, cade nel vuoto l'ennesimo appello di Cantone sui fondi già nelle casse dell'Autorità, ma ancora congelati dal decreto Madia del 2014. Il deputato Palese: "Basterebbe una norma di poche righe, sorprendente che non sia stata inserita in provvedimenti dove è entrato di tutto". Ora si spera nel decreto fiscale o nella legge di bilancio: "Se l'esecutivo non presenta un emendamento lo farò io"
L’Anac di Raffaele Cantone è il fiore all’occhiello del governo Renzi nella lotta alla corruzione. A parole, almeno. Perché da parecchi mesi l’ex magistrato anticamorra reclama lo sblocco di 82,8 milioni di euro che l’Autorità ha già in cassa ma non può spendere in nessun modo. A congelarli è la legge Madia, la 90 del 2014, che all’articolo 22 impone “razionalizzazioni” di spesa alle autorità indipendenti. Razionalizzazioni che Anac documenta di aver portato a termine. Ma dato che la norma non prevede un prima e un dopo, la tagliola sulle spese resta a tempo indeterminato, un po’ come accade ai Comuni “virtuosi” con il patto di stabilità. Per rendere disponibile il tesoretto basterebbe un provvedimento legislativo di poche righe. Che però non arriva, nonostante Cantone lo chieda pubblicamente dall’inizio dell’anno. Così il magistrato chiamato dal presidente del consiglio alla guida dell’Autorità ha allentato l’abituale diplomazia: “Siamo disposti a svolgere ogni tipo di attività, ma siamo quasi alla canna del gas… Tra non molto saremo costretti a dire che non siamo più in grado di svolgere il nostro ruolo”, ha affermato il 26 ottobre a margine della firma del protocollo sul terremoto del 24 agosto. Non si tratta di bussare a denari pubblici, ha precisato, ma semplicemente “di potere utilizzare i fondi che abbiamo”. E si è detto “sicuro che, se non sarà nel decreto fiscale, nella legge di stabilità questa questione sarà risolta”.
Eppure, mentre le retate per corruzione si susseguono, con immancabile chiamata in causa dell’Anac perché commissari gli appalti contestati, in Parlamento nessuno sembra agitarsi troppo. L’ultimo allarme di Cantone è stato raccolto solo da Rocco Palese, ex Forza Italia passato al gruppo Misto sotto le insegne dei “Conservatori e riformisti“. “L’Anac è uno dei principali investimenti del governo degli ultimi anni”, spiega a ilfattoquotidiano.it, “data la gravità del fenomeno della corruzione in tutta Italia”. Di conseguenza, “è sorprendente che mentre il nuovo codice degli appalti allarga in modo considerevole le competenze dell’Autorità, la richiesta del suo presidente continui a cadere nel vuoto. Sarebbe bastato inserire il provvedimento nel decreto enti locali o nel decreto fiscale, dove hanno messo di tutto”. Il decreto fiscale arriverà alla Camera per la conversione il 10 dicembre: “Se il governo non presenterà un emendamento per sbloccare gli 82 milioni lo farò io”, annuncia Palese. L’altra strada è quella delle Legge di bilancio (la ex “stabilità), che però “permetterebbe all’Anac di utilizzare i fondi solo dal bilancio del 2017”. Come sarà accolto il suo emendamento? “Non mi immagino di trovare contrarietà, ma soltanto la solita confusione politica e normativa”.
Anac ha un bilancio annuale di 88 milioni di euro (dati 2015), con spese correnti per 45 milioni ed entrate che arrivano per la maggior parte (oltre 49 milioni) dai contributi obbligatori delle imprese che partecipano alle gare d’appalto e degli altri soggetti sottoposti alla vigilanza. Gli 82 milioni in più, anche se riferiti a più anni, farebbero la differenza. Per esempio per pagare le trasferte degli ispettori che girano tutta Italia, da Expo al Mose, fino -verosimilmente – ai cantieri coinvolti nell’ultima inchiesta sulle Grandi opere. Senza contare che entro fine anno l’organico di 302 dipendenti si ridurrà di una ventina di unità, compresi dirigenti di grande esperienza, per fisiologici pensionamenti. Peccato che l’organico che permetterebbe il funzionamento a pieno regime dell’ente sia fissato in 350 persone. Inoltre, si legge nel piano di riordino firmato da Cantone il 28 gennaio per onorare gli obblighi della legge Madia, l’Anac ha già messo a bilancio, fra l’altro, “sia la riduzione di almeno il 20% della spesa per il funzionamento, sia la riduzione del 20% del trattamento accessorio del personale, anche dirigente”, come richiesto dalla normativa.
Nella nota aggiuntiva al piano, Cantone già segnalava “una rigidità della spesa tale da non consentire, per il futuro, a quadro normativo vigente, ulteriori misure di contenimento oltre quelle finora adottate, se non a
prezzo di una ridotta funzionalità dell’Autorità”. Tornato sull’argomento il 25 febbraio, ribadiva: “Noi i fondi li abbiamo, non abbiamo la possibilità di spenderli per una serie di norme all’italiana”. E chiariva: “Noi siamo autofinanziati dal mercato, non graviamo sul bilancio pubblico, se non in piccolissima parte. Abbiamo la possibilità di spendere i soldi che abbiamo e abbiamo la necessità in questo momento storico di dover rinforzare alcuni uffici. Chiediamo la possibilità di poter spendere i soldi”. Sono passati esattamente nove mesi da quando l’Autorità ha informato il governo delle sue impellenti necessità. Ma il parto è più complicato del previsto.
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‘In Ucraina è guerra per procura’: a dirlo è il segretario di Stato Usa Marco Rubio. E il Cremlino plaude
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.