Hacking Team (HT) incassa il primo punto. Nel braccio di ferro tra la società milanese produttrice del software spia Galileo, un sofisticato sistema in grado di monitorare a distanza dati e informazioni che transitano su computer e smartphone, e il ministero dello Sviluppo economico (Mise) che, il 31 marzo scorso, con atto della Direzione generale per la politica commerciale internazionale, le ha revocato l’autorizzazione globale all’export in 46 Paesi stranieri, l’ultimo round si è giocato al Consiglio di Stato.
MOTIVAZIONE CARENTE – Uno stop, quello decretato dal Mise, adottato “alla luce di mutate situazioni politiche” in alcuni degli Stati esteri ai quali HT aveva ottenuto il permesso di vendere il suo prodotto, compreso l’Egitto – dove Galileo è stato fornito al National Defense Council cui fanno capo i servizi segreti egiziani – finito al centro di tensioni internazionali con l’Italia, innescate dall’assassinio nel febbraio scorso di Giulio Regeni, ritrovato senza vita nei pressi del Cairo. E che, secondo i giudici di Palazzo Spada, “necessita di approfondimenti istruttori in primo grado, anche in ragione della inadeguatezza della motivazione posta a base del provvedimento oggetto di impugnazione”.
Una pronuncia che, di fatto, riconosce la fondatezza dei rilievi sollevati da Hacking Team, sin dall’inizio della vicenda, sui motivi della decisione dell’autorità ministeriale. Anche se, aggiunge l’ordinanza del Consiglio di Stato, in attesa della decisione di merito del Tar, “non sussistono, all’esito di un complessivo bilanciamento degli interessi pubblici e privati, i presupposti per la sospensione dell’efficacia del predetto provvedimento”. Insomma, lo stop all’export, almeno per ora, resta. Ma la “inadeguatezza della motivazione” è un principio che i magistrati di Palazzo Spada, rinviando la decisione di merito al giudice di primo grado, hanno fissato con chiarezza.
PASSO AVANTI – Sentito da IlFattoQuotidiano.it, l’ad e fondatore di HT, David Vincenzetti, si dice, almeno in parte, soddisfatto: “L’ordinanza del Consiglio di Stato parla esplicitamente di ‘inadeguatezza’ della motivazione del provvedimento di revoca del Mise nei nostri confronti – sottolinea – un provvedimento che, di fatto, presenta una serie di criticità. Innanzitutto perché adottato in ragione delle contingenze del contesto geopolitico internazionale in quel momento, con particolare riferimento alla crisi in corso tra l’Italia e l’Egitto. In secondo luogo perché fondato su mere illazioni giornalistiche prive di qualsiasi fondamento: non c’è alcuna prova che Regeni sia stato intercettato attraverso il nostro software”.
Non mancano però le preoccupazioni. “Il Consiglio di Stato ha sollecitato una rapida definizione del merito dinanzi al Tar del Lazio, ma questo vuol dire che, fino alla decisione del giudice di primo grado, HT continua a restare bloccata – prosegue Vincenzetti – siamo fermi ormai da sette mesi durante i quali abbiamo bruciato centinaia di migliaia di euro e perso decine di clienti che ora potrebbero addirittura chiederci di restituire i soldi già versati”. Insomma, secondo Vincenzetti, in gioco c’è la “sopravvivenza” stessa di Hacking Team. “Nel frattempo, dal momento della revoca in poi, nonostante avessimo chiesto 18 autorizzazioni specifiche (valide cioè per una singola operazione commerciale, ndr), tutte le nostre istanze sono state congelate dall’autorità che non si è pronunciata su nessuna di esse – conclude l’ad di HT – anche se sono convinto che, alla luce dell’ordinanza del Consiglio di Stato, il Mise potrebbe rivalutare la sua decisione e concederci una nuova autorizzazione globale che consideriamo una condicio sine qua non per la sopravvivenza della nostra azienda, un’eccellenza unica al mondo nel suo ambito”.
DI NUOVO IN PISTA – Un’aspettativa che, secondo quanto apprende IlFattoQuotidiano.it, potrebbe essere, almeno in parte, confermata. “In attesa e a prescindere dalla definizione della controversia in corso, si sta valutando una soluzione che preveda di legare qualunque autorizzazione, sia essa globale che specifica, ad una serie di prescrizioni più o meno stringenti a seconda del Paese verso il quale l’autorizzazione all’export venga concessa – fanno sapere fonti del Mise – stop, insomma, alle autorizzazioni ‘in bianco’: per dare il via libera ad operazioni commerciali sui beni dual use (applicabili sia in campo civile che militare come Galileo) dovranno essere tutelati da un lato gli interessi dell’Italia nei rapporti internazionali con i singoli Paesi stranieri e dall’altro il rispetto dei diritti umani e dei principi costituzionali”. Una condizione, quest’ultima, vincolante. “Ove ciò non fosse possibile l’autorizzazione non potrà essere concessa – aggiungono dal ministero – e verrebbe revocata per inosservanza delle prescrizioni o se il contesto nel quale è stata rilasciata dovesse mutare compromettendone i presupposti iniziali”. Insomma, a breve la vicenda Hacking Team potrebbe essere archiviata, consentendo all’azienda di Vincenzetti di tornare sul mercato.
FUORI AREA – Un cambio di indirizzo in materia di autorizzazioni all’export dei beni a duplice uso con implicazioni anche su quella concessa ad Area Spa. La società di Vizzola Ticino alla quale, la stessa Autorità del Mise aveva concesso un’autorizzazione specifica alla vendita di “un sistema di monitoraggio delle comunicazioni” sempre al Consiglio nazionale di difesa cui fanno capo i servizi segreti egiziani. Un’autorizzazione che potrebbe essere a breve revocata e sostituita da un nuovo provvedimento con stringenti prescrizioni finalizzate a garantire un corretto uso del prodotto. “Al riguardo, Area dovrà riferire periodicamente, in accordo con le autorità straniere destinatarie del suo prodotto (in questo caso l’Egitto), sull’impiego del sistema fornito”, concludono dal ministero. Sempre che le autorità in questione collaborino. Di certo, a proposito di collaborazione, il caso Regeni non depone granché a favore.
Twitter: @Antonio_Pitoni