Che suo padre fosse un fumettista underground, che fosse amico intimo di Lou Reed, che avesse lavorato nello studio di Warhol e che quindi la sua infanzia fosse stata accarezzata dalla cosiddetta controcultura non sono informazioni così diffuse come quelle che riguardano i suoi fidanzamenti patinati. Gossip caramellato batte aneddotica che non ti aspetti 1-0. E’ lo stesso Leonardo DiCaprio a raccontare della sua infanzia, di suo padre disegnatore eclettico e anticonformista e di quel quadro appeso sopra al suo letto di bambino (il Trittico del Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch, non esattamente un’illustrazione per bimbi). Racconti che fanno da immissari alla narrazione principale, quella del suo documentario Punto di non ritorno – Before the Flood. Tema? Come il riscaldamento globale sta cambiando la Terra, quali sono le sue cause e che cosa possiamo ancora fare per ridurne gli effetti.
Due anni il tempo necessario per realizzare questo film: la regia è di Fisher Stevens, produttore del documentario La baia dove muoiono i delfini, Oscar nel 2010. Tra i produttori c’è Martin Scorsese. Deve averlo fortemente voluto questo documentario, Leonardo DiCaprio e dopo pochi minuti se ne ha la certezza: barba lunga, coda, tuxedo oppure maglietta bianca, Leonardo porta lo spettatore nel backstage di The Revenant, racconta di sé bambino, di come i suoi passatempi fossero legati alla natura anche se dalla natura viveva lontano, in un appartamento come tanti nella misera East Hollywood, Los Angeles. In Before The Flood, DiCaprio mostra una partecipazione che è figlia di dichiarazioni come questa: “E’ un’ossessione, il mio interesse per l’ambiente. Mi consuma – ha detto a Stephen Rodrick su Rolling Stone – Non passa un giorno senza che ci pensi. È come un fuoco lento. Non sono come gli alieni che domani vengono e ci invadono e noi dobbiamo difendere il nostro Paese. È qualcosa di inevitabile, sono terrorizzato”. La sua “ossessione” è nata nel 1998, durante un incontro con l’allora vice presidente degli Stati Uniti Al Gore.”Un mio amico mi ha detto, “Beh, se sei davvero così appassionato al tema dell’ambiente, smetti di recitare” – ha raccontato ancora DiCaprio a Rodrick – Ma poi capisci che una cosa aiuta l’altra, ed essere un artista ti da un punto di partenza. Non necessariamente la gente prende sul serio quello che dico, ma almeno mi ascolta”.
Scienziati, personaggi politici, capi di stato, dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama a Papa Francesco: interviste e immagini si succedono con ritmo da produzione hollywoodiana. E lui è lì, a ipnotizzare, a trasmettere informazioni, a mostrare le foreste incenerite dell’Indonesia o le strade inquinate di Pechino. Perché DiCaprio, ambasciatore Onu contro i cambiamenti climatici, è centrato, è “dentro quello che dice, che ascolta, che vede”. “Ce la metterò tutta per capire ogni aspetto di questo argomento, la gravità del fenomeno e le possibili soluzioni”, dice nei primi minuti di Before the Flood. Possibili soluzioni che, per il New York Times, vengono trattate con troppa superficialità: secondo il quotidiano statunitense, uno dei pochi ad aver recensito negativamente il lavoro di DiCaprio, il film si occupa troppo poco di cosa lo spettatore può fare concretamente. Una voce fuori dal coro, perché il Guardian ha definito Before The Flood “un’opera significativa” e sono stati in molti a lodarne non solo tematica e narrazione ma anche fotografia e colonna sonora (realizzata da Trent Reznor e Atticus Ross insieme a Gustavo Santaolalla e ai Mogwai). Reso disponibile da National Geographic, DiCaprio lo ha definito “un lavoro d’amore“: il premio Oscar mostra inferni reali, non risparmia attacchi alle lobby e occhiate critiche al suo stesso Paese, consapevole di come Stati Uniti e Cina siano responsabili della maggior parte dell’inquinamento da carbon fossile del pianeta. E’ un invito a riflettere, quello di Before the Flood. O come dice lo stesso Leonardo DiCaprio, una “chiamata alle armi”.