Non la Madonna come a tanti fedeli di Nostra Signora, non la luce come ai Blues Brothers durante la celebrazione del reverendo interpretato da James Brown: per un attimo a me è apparso Emilio Fede nella sua celeberrima esclamazione “Che figura di mmmerda”. Mentre mi spello le mani per applaudire Thomas Mackinson per la sua grandiosa ricostruzione video, gioisco nel constatare di non esser l’unico a riconoscere la catatonica condizione di salute del sistema nervoso elettronico del nostro Paese.
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Lo strumento di identificazione digitale – o Spid che dir si voglia – non funziona come dovrebbe. Peggio. E’ la rampa di lancio del furto di identità, dove non servono Jurij Gagarin o Alan Bartlett Shepard Jr. per sfidare il destino: chiunque, e speriamo non si scateni l’epidemia, può ripercorrere l’itinerario descritto su ilfattoquotidiano.it per cambiare vita (e soprattutto cambiare drammaticamente quella degli altri).
Le elementari tecniche dello Spid Attack sono un esempio clamoroso del clima di vulnerabilità che viviamo quotidianamente. In tanti anni trascorsi sul fronte operativo (tra Gruppo Anticrimine Tecnologico e Nucleo Speciale Investigativo) ho visto i personaggi più incredibili avvalersi di minuscoli strumenti e ottenere preoccupanti risultati criminali. Pensavo che qualcuno avrebbe adottato le contromisure facendo tesoro delle esperienze – giudiziarie e non – che potevano illuminare l’orizzonte. Invece a spianare la strada a chi ha obiettivi illeciti è spesso proprio l’apparato istituzionale che non considera rischi e controindicazioni delle soluzioni adottate.
Come il dottorando del Politecnico di Milano ha detto al Premier che i borghi non si ricostruiscono con le parole, mi permetto di accodarmi ai tanti esperti di sicurezza che da tempo cercano di urlare che la ben fondata preoccupazione per la spaventosa leggerezza degli slogan che hanno costituito e continuano ad essere la spina dorsale dell’apparente evoluzione tecnologica del Sistema Italia.
In una nazione civile la visione di una dimostrazione tanto eclatante avrebbe dovuto innescare una reazione seria, l’immediata ricerca delle soluzioni, l’istantanea caccia a chi è responsabile di una simile malefatta. E qui la “malefatta” non è certo la birichina documentazione filmata che palesa la vulnerabilità, ma il progetto che ha condotto a questo risultato.
Nulla. Non è successo nulla. Anzi la notizia, frastornante, non è rimbalzata granché. In queste ore alla stazione Leopolda il nostro Paese ha evidenziato di aver perso troppi treni… Il Ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, a proposito di Spid ha dichiarato “siamo in una fase di rodaggio”, espressione che avrebbe lasciato impietrito anche il più distratto ma che dinanzi alle truppe di fedelissimi pretoriani in sala non ha suscitato le perplessità che avrebbero turbato chiunque altro.
Rodaggio? Ma mi faccia il piacere, avrebbe esclamato il Principe De Curtis… Avevano parlato di qualcosa di estremamente affidabile. A febbraio scorso, al Convegno Corcom-Fpa (Corriere delle Comunicazioni – Forum Pubblica Amministrazione), nel corso della sessione Cyber Security & Digital Identity il responsabile tecnologia del Garante Privacy Cosimo Comella aveva fatto riferimento a “credenziali Spid a prova di vulnerabilità”.
Temo che Mackinson e qualcun altro possano dissentire in proposito. A onor del vero l’operazione Spid trova radice nel governo Letta che aveva promesso di far avere a tutti gli italiani l’identità digitale entro il 2015: la spendibilità politica di una simile iniziativa non ha certo bisogno di essere spiegata, ma chi pensa di trovare consenso e seguito elettorale dovrebbe mettere a bilancio anche le controindicazioni.
E così in tema di sicurezza e affidabilità – per dirla mutuando uno storico scambio di tweet tra l’allora Premier inconsapevolmente uscente e il suo successore – è inevitabile lasciarsi scappare “cittadino, stai sereno”.