La Leopolda 2016 è stata una sorta di kermesse motivazionale in stile Herbalife. L’unica differenza è il prodotto: non pillole dimagranti ma insegnare a vendere il Sì al referendum. La cosa che colpisce in maniera sempre più netta però è il totale staccamento dal reale di questa sorta di setta religiosa renziana, perché altro ormai non è. Il guru qui dimentica di essere premier e segretario di partito. Dal palco lancia strali contro i critici e il “popolo della Leopolda” (sì, lo chiamano così) risponde alzando la voce. Pier Luigi Bersani si è schierato per il No al referendum? Renzi lo attacca dal palco e dal popolo della Leopolda si leva un grido all’unisono: “Fuori, fuori”. Riferito a Bersani, ovviamente, e ai critici. Alla minoranza. Che proprio per sua natura un partito che si chiama democratico e che dovrebbe essere l’erede naturale della sinistra italiana dovrebbe tutelare. No. Le minoranze non vengono tutelate. Se non sono d’accordo col capo. Il dissenso non è previsto.
Dopo la settima Leopolda cui assisto (sì, le ho viste tutte) credo di potermi permettere il lusso di sostenere quanto sia cambiata l’aria, il clima, i metodi: il capo. È ormai palese ai più che le sue siano solo parole alle quali mai seguono i fatti. Ma colpisce la violenza verbale, la corporatività, l’esser diventato non un movimento politico con istanze concrete e valori condivisi, ma appunto una setta: raccontarsi una realtà falsata, piegata al proprio desiderio e instillarla come fossero i dieci comandamenti da ripetere all’esterno. Ho visto dei robot. Più che degli uomini. Sotto quel palco. Ho visto persone arrivare normali venerdì pomeriggio e uscire invasate domenica. Con gli occhi spiritati, una rabbia malcelata che si è poi sfogata per lo più sui social contro chi sostiene le ragioni del No. A colpi di menzogne, ovviamente. Perché tutto qui è menzogna. Come se la realtà si potesse cambiare a colpi di menzogne. A insegnare c’è lui, il guru. Si può organizzare un dibattito per smontare le ragioni del No al referendum senza nessun rappresentante del No al referendum? Può essere credibile? Sabato sono riusciti a farlo.
È stata l’autocelebrazione dell’io renziano. L’esaltazione dell’appartenenza a un gruppo che si ritiene superiore a tutto e tutti. Il guru dice “noi siamo democratici e la Leopolda è aperta a tutti, noi siamo per il confronto”. E lo ripete, lo grida, lo scandisce tra gli applausi di centinaia di adepti chiusi in una stazione circondata da oltre mille agenti delle forze dell’ordine, con controlli ferrei all’entrata e senza confronto neanche con i giornalisti. È credibile? No. Ovviamente.
La genesi della Leopolda ricorda alla perfezione la trama della Fattoria degli animali di George Orwell. Un testo che spiega moltissimo di questo renzismo. La storia di Orwell è ambientata in una fattoria nella quale gli uomini sfruttano gli animali e non li tengono in assoluta considerazione. Così i maiali organizzano la protesta e riescono a cacciare l’uomo dalla fattoria e organizzarsi in autogestione. Scrivono anche dieci regole fondamentali, tra cui: “Tutti gli animali sono uguali”. Questa era la prima Leopolda, la rottamazione. Le prime Leopolde. Quelle della meritocrazia, del rispetto degli ultimi, del taglio agli sprechi. Insomma: delle cose belle e giuste da dire ma che chi era al potere proprio non voleva fare. Se ci fossero stati loro allora sì che sarebbe andato tutto meglio. Finalmente nel 2014 il potere è arrivato. Come i maiali di Orwell, cacciato l’uomo dalla fattoria, ne hanno occupato la casa. Per poi diventare come loro. Se non peggio. Fino ad arrivare a cambiare i dieci comandamenti, in particolare il più importante, quel “tutti gli animali sono uguali”, aggiungendo “ma alcuni sono più uguali degli altri”. Ecco, la Leopolda ormai serve a questo: a dirsi quanto sono bravi a gestire il Paese. Lo fanno chiusi in una stazione blindata dalle forze dell’ordine per tenere lontani i truffati da banca Etruria, i professori deportati dalla buona scuola, i terremotati, le mamme contrarie all’inceneritore, le vittime del Jobs Act. E molte altre realtà del Paese. Quello vero.