Il Pd va in conferenza dei capigruppo, al Senato, e chiede il rinvio della riforma penale, l’ennesimo, dopo il referendum costituzionale. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, dopo poche ore, va in tv e chiede di rivalutare quel calendario perché il disegno di legge può essere approvato entro il 4 dicembre. Maggioranza e governo continuano a ballare intorno alla riforma penale, che – fatta e finita – aspetta di essere votata ormai da mesi dall’Aula di Palazzo Madama. Il motivo è sempre lo stesso: la paura di portare in discussione un testo che da una parte può essere stravolto o, peggio, dall’altra può diventare un rischio serio per la sopravvivenza del governo. Da qui le ripetute toccate e fughe di governo e partiti che lo sostengono, con Orlando che da mesi spiega che la legge è pronta per essere votata e dall’altro la maggioranza che – dopo aver chiesto la discussione perfino “immediata” – si è ritrovata prima a far saltare il numero legale in Aula per tre volte in 15 giorni a settembre e poi addirittura a dare la precedenza al ddl cinema. Il risultato è che la legge è stata tenuta nel limbo dal Pd per la reciproca diffidenza dei vari partiti della maggioranza. Così ora è stato il presidente del Senato Piero Grasso a dire al capogruppo Luigi Zanda che il Partito democratico come minimo deve chiarirsi le idee. Da capire se peserà più la voce del governo, qui espressa da Orlando, o i giochi politici della maggioranza. Rinviare a dicembre, per giunta, potrebbe essere ulteriormente rischioso per il fatto che a un certo punto al Senato arriverà anche la legge di bilancio che pretende ritmi serrati e ha limiti temporali obbligati.
Peraltro ora il governo non ha più nemmeno l’alibi dell’opposizione dell’Anm. Il presidente Piercamillo Davigo e il ministro guardasigilli Orlando infatti si sono presentati insieme, con un’intervista doppia, a DiMartedì, su La7, per chiedere di votare la riforma sul processo penale il prima possibile. Aver messo la riforma in calendario dopo il referendum, ha detto Davigo, “rende più aleatoria l’approvazione delle nostre richieste inserite con modifiche nel disegno di legge sul diritto penale e questo vale in qualunque modo vada il referendum”. “Sono d’accordo – ha aggiunto Orlando – spero si riconsideri la ricalendarizzazione”. Il 29 giugno Grasso e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella avevano chiesto di accelerare. Era il 30 giugno 2014 quando Matteo Renzi annunciava in una scenografica conferenza stampa i 12 punti della riforma della giustizia. Dopo oltre due anni la questione resta in alto mare mentre ogni anno decine di migliaia di processi vanno al macero a spese del contribuente.
Il pressing dei Giovani Turchi, la resistenza dei centristi
In conferenza dei capigruppo Zanda era andato a chiedere di fissare il voto sulla riforma, ma solo dopo il referendum, il 7 dicembre. Un modo per tenere insieme varie sensibilità (votiamo, sì, ma senza scossoni prima della consultazione popolare, già in bilico di suo). Zanda era stato spinto a chiedere di discutere definitivamente la riforma penale in particolare da una pattuglia di senatori del Pd, della corrente di “Rifare l’Italia”, cioè i Giovani Turchi, corrente che esprime lo stesso ministro guardasigilli, Orlando. “È una riforma fondamentale – avevano spiegato in una nota i senatori guidati da Francesco Verducci – Ci sono tutte le condizioni per approvarla presto e bene già in questa settimana”. Ma in conferenza dei capigruppo Grasso ha appunto chiesto al Pd di chiarirsi le idee perché la prossima data sarà l’ultima: il presidente del Senato non ha più intenzione di rinviare il voto finale della legge. E d’altra parte a chiedere di far slittare tutto sine die erano stati sempre nella riunione dei presidenti di gruppo Laura Bianconi per Area Popolare e Lucio Barani dei verdiniani di Ala: una fotografia di quanto è delicato questo passaggio per la maggioranza. Tutte divisioni che in questo momento di “campagna referendaria” si punterebbe ad evitare.
Appelli e garanzie di Orlando
E’ così che si spiega come il voto finale non sia ancora arrivato appelli e garanzie del ministro della Giustizia Andrea Orlando che da una parte aveva mediato per far ritirare emendamenti sgraditi ad Area Popolare e dall’altra si era detto convinto e aveva dichiarato più volte che l’accordo era stato raggiunto (l’ultima volta a luglio), chiudendo ad altre richieste dei centristi in senso garantista. Il ddl penale – che contiene tra l’altro riforma della prescrizione e delle intercettazioni – era uscito dalla Camera il 24 marzo 2015, ma già all’epoca il ministro dell’Interno e leader di Ap Angelino Alfano aveva promesso battaglia in Senato. Ma quando, dopo un confronto lungo e serrato, la riforma è arrivata in Aula i senatori di Area Popolare hanno fatto mancare ripetutamente il numero legale. Un segnale di avvertimento più che chiaro.
La maggioranza non si fida di se stessa
Il punto è sempre il solito, infatti: la maggioranza è paralizzata da mesi dalla paura, non vuole portare al voto finale la riforma che lo stesso Orlando, in un’intervista al Corriere di qualche settimana fa, ha definito come quella più “pericolosa” per le stesse sorti del governo. I democratici, in particolare, si trovano tra due fuochi. Da una parte, se non viene posta la questione di fiducia e il voto è “libero”, possono essere presentati emendamenti che – anche con la complicità di qualche voto segreto – possono passare con sinergie trasversali (M5s-Sel-sinistra Pd). E a quel punto il testo avrebbe tonalità meno garantiste e Area Popolare – o parte di questa – potrebbe rifiutarsi di approvare la versione definitiva. Dall’altra, se venisse posta la questione di fiducia, sarebbe un finale da palpitazioni, perché i verdiniani di Ala hanno da tempo annunciato il voto contrario al provvedimento e anche dentro Ncd e Udc l’impressione è che Alfano a parole assicuri il controllo pieno delle proprie pattuglie di senatori, ma nei fatti il terreno sia più viscido. I numeri al Senato li conoscono tutti, senza Ala non c’è un cuscinetto di sicurezza e non c’è cosa che irrita gli ex berlusconiani di governo come le questioni della giustizia.
La fiducia bloccata da Renzi
La riprova era stata proprio a settembre quando Alfano – evidentemente non così sicuro dell’atteggiamento dei suoi – aveva chiesto a Orlando di porre la fiducia e il ministro della Giustizia – refrattario alla fiducia – aveva dato il suo ok. Ma tutto era stato fermato dallo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il capo del governo aveva spiegato quella decisione con ragioni di fair-play istituzionale nei confronti dell’Anm: “Non metto la fiducia su un provvedimento per cui i magistrati potrebbero fare sciopero”. Ma nel frattempo è caduto anche quell’alibi poiché Renzi e Orlando hanno incontrato due settimane fa il presidente dell’Anm Davigo a Palazzo Chigi e un eventuale sciopero non pare all’orizzonte.
Davigo: “Non si può fare la guerra su tutto”
Davigo ha dato atto del fatto che Orlando si “è comportato diversamente dai suoi predecessori” e che le ragioni dei magistrati sono state ascoltate anche se non interamente accolte. Al presidente dell’Anm ancora non bastano le modifiche della prescrizione “che non dovrebbe decorrere dopo la sentenza di primo grado” ma “non possiamo fare la guerra su tutto“.
Orlando ha fatto presente che “si fanno le modifiche che consente il quadro politico: all’inizio di questo governo nessuno pensava che avremmo reintrodotto il falso in bilancio, introdotto il reato di autoriciclaggio e rivisto la prescrizione“. Il ministro guardasigilli ha però sottolineato che “se è giusto dare più tempo per fare il processo, non è giusto lasciare che le persone siano sotto processo per tutta la vita“. Da parte sua Orlando ha spiegato che il ddl “ha l’obiettivo di diminuire i processi” con una serie di misure deflattive che possano far sì che i magistrati si concentrino sui reati di maggior allarme sociale. Davigo, toccando l’argomento dell’evasione fiscale, ha contestato la necessità di fare norme sul rientro agevolato dei capitali dato che “tra un anno dagli altri Paesi arriveranno tutti i dati” su chi nasconde i soldi all’estero. Il presidente dell’Anm ha poi riproposto l’idea della “premialità forte” anche fino alla “impunità totale” per chi denuncia la corruzione facendo parte del “sistema”, dato che questo è uno dei reati meno denunciati in assoluto. Orlando ha difeso la scelta di premiare la collaborazione dei corrotti solo con attenuanti perché sull’impunità assoluta “non sono d’accordo nemmeno i magistrati”.
Politica
Ddl penale, Pd chiede il rinvio: “Votare dopo il referendum”. Ma Orlando: “Rivalutare data”. Grasso: “Basta rinvii”
Maggioranza e governo ancora in ordine sparso sulla riforma che dovrebbe modificare prescrizione e intercettazioni. Il capogruppo Zanda vuole la discussione, ma solo dopo la consultazione popolare. Il ministro della Giustizia però chiede di rivedere il calendario. Grasso chiede che il Pd si chiarisca le idee
Il Pd va in conferenza dei capigruppo, al Senato, e chiede il rinvio della riforma penale, l’ennesimo, dopo il referendum costituzionale. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, dopo poche ore, va in tv e chiede di rivalutare quel calendario perché il disegno di legge può essere approvato entro il 4 dicembre. Maggioranza e governo continuano a ballare intorno alla riforma penale, che – fatta e finita – aspetta di essere votata ormai da mesi dall’Aula di Palazzo Madama. Il motivo è sempre lo stesso: la paura di portare in discussione un testo che da una parte può essere stravolto o, peggio, dall’altra può diventare un rischio serio per la sopravvivenza del governo. Da qui le ripetute toccate e fughe di governo e partiti che lo sostengono, con Orlando che da mesi spiega che la legge è pronta per essere votata e dall’altro la maggioranza che – dopo aver chiesto la discussione perfino “immediata” – si è ritrovata prima a far saltare il numero legale in Aula per tre volte in 15 giorni a settembre e poi addirittura a dare la precedenza al ddl cinema. Il risultato è che la legge è stata tenuta nel limbo dal Pd per la reciproca diffidenza dei vari partiti della maggioranza. Così ora è stato il presidente del Senato Piero Grasso a dire al capogruppo Luigi Zanda che il Partito democratico come minimo deve chiarirsi le idee. Da capire se peserà più la voce del governo, qui espressa da Orlando, o i giochi politici della maggioranza. Rinviare a dicembre, per giunta, potrebbe essere ulteriormente rischioso per il fatto che a un certo punto al Senato arriverà anche la legge di bilancio che pretende ritmi serrati e ha limiti temporali obbligati.
Peraltro ora il governo non ha più nemmeno l’alibi dell’opposizione dell’Anm. Il presidente Piercamillo Davigo e il ministro guardasigilli Orlando infatti si sono presentati insieme, con un’intervista doppia, a DiMartedì, su La7, per chiedere di votare la riforma sul processo penale il prima possibile. Aver messo la riforma in calendario dopo il referendum, ha detto Davigo, “rende più aleatoria l’approvazione delle nostre richieste inserite con modifiche nel disegno di legge sul diritto penale e questo vale in qualunque modo vada il referendum”. “Sono d’accordo – ha aggiunto Orlando – spero si riconsideri la ricalendarizzazione”. Il 29 giugno Grasso e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella avevano chiesto di accelerare. Era il 30 giugno 2014 quando Matteo Renzi annunciava in una scenografica conferenza stampa i 12 punti della riforma della giustizia. Dopo oltre due anni la questione resta in alto mare mentre ogni anno decine di migliaia di processi vanno al macero a spese del contribuente.
Il pressing dei Giovani Turchi, la resistenza dei centristi
In conferenza dei capigruppo Zanda era andato a chiedere di fissare il voto sulla riforma, ma solo dopo il referendum, il 7 dicembre. Un modo per tenere insieme varie sensibilità (votiamo, sì, ma senza scossoni prima della consultazione popolare, già in bilico di suo). Zanda era stato spinto a chiedere di discutere definitivamente la riforma penale in particolare da una pattuglia di senatori del Pd, della corrente di “Rifare l’Italia”, cioè i Giovani Turchi, corrente che esprime lo stesso ministro guardasigilli, Orlando. “È una riforma fondamentale – avevano spiegato in una nota i senatori guidati da Francesco Verducci – Ci sono tutte le condizioni per approvarla presto e bene già in questa settimana”. Ma in conferenza dei capigruppo Grasso ha appunto chiesto al Pd di chiarirsi le idee perché la prossima data sarà l’ultima: il presidente del Senato non ha più intenzione di rinviare il voto finale della legge. E d’altra parte a chiedere di far slittare tutto sine die erano stati sempre nella riunione dei presidenti di gruppo Laura Bianconi per Area Popolare e Lucio Barani dei verdiniani di Ala: una fotografia di quanto è delicato questo passaggio per la maggioranza. Tutte divisioni che in questo momento di “campagna referendaria” si punterebbe ad evitare.
Appelli e garanzie di Orlando
E’ così che si spiega come il voto finale non sia ancora arrivato appelli e garanzie del ministro della Giustizia Andrea Orlando che da una parte aveva mediato per far ritirare emendamenti sgraditi ad Area Popolare e dall’altra si era detto convinto e aveva dichiarato più volte che l’accordo era stato raggiunto (l’ultima volta a luglio), chiudendo ad altre richieste dei centristi in senso garantista. Il ddl penale – che contiene tra l’altro riforma della prescrizione e delle intercettazioni – era uscito dalla Camera il 24 marzo 2015, ma già all’epoca il ministro dell’Interno e leader di Ap Angelino Alfano aveva promesso battaglia in Senato. Ma quando, dopo un confronto lungo e serrato, la riforma è arrivata in Aula i senatori di Area Popolare hanno fatto mancare ripetutamente il numero legale. Un segnale di avvertimento più che chiaro.
La maggioranza non si fida di se stessa
Il punto è sempre il solito, infatti: la maggioranza è paralizzata da mesi dalla paura, non vuole portare al voto finale la riforma che lo stesso Orlando, in un’intervista al Corriere di qualche settimana fa, ha definito come quella più “pericolosa” per le stesse sorti del governo. I democratici, in particolare, si trovano tra due fuochi. Da una parte, se non viene posta la questione di fiducia e il voto è “libero”, possono essere presentati emendamenti che – anche con la complicità di qualche voto segreto – possono passare con sinergie trasversali (M5s-Sel-sinistra Pd). E a quel punto il testo avrebbe tonalità meno garantiste e Area Popolare – o parte di questa – potrebbe rifiutarsi di approvare la versione definitiva. Dall’altra, se venisse posta la questione di fiducia, sarebbe un finale da palpitazioni, perché i verdiniani di Ala hanno da tempo annunciato il voto contrario al provvedimento e anche dentro Ncd e Udc l’impressione è che Alfano a parole assicuri il controllo pieno delle proprie pattuglie di senatori, ma nei fatti il terreno sia più viscido. I numeri al Senato li conoscono tutti, senza Ala non c’è un cuscinetto di sicurezza e non c’è cosa che irrita gli ex berlusconiani di governo come le questioni della giustizia.
La fiducia bloccata da Renzi
La riprova era stata proprio a settembre quando Alfano – evidentemente non così sicuro dell’atteggiamento dei suoi – aveva chiesto a Orlando di porre la fiducia e il ministro della Giustizia – refrattario alla fiducia – aveva dato il suo ok. Ma tutto era stato fermato dallo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il capo del governo aveva spiegato quella decisione con ragioni di fair-play istituzionale nei confronti dell’Anm: “Non metto la fiducia su un provvedimento per cui i magistrati potrebbero fare sciopero”. Ma nel frattempo è caduto anche quell’alibi poiché Renzi e Orlando hanno incontrato due settimane fa il presidente dell’Anm Davigo a Palazzo Chigi e un eventuale sciopero non pare all’orizzonte.
Davigo: “Non si può fare la guerra su tutto”
Davigo ha dato atto del fatto che Orlando si “è comportato diversamente dai suoi predecessori” e che le ragioni dei magistrati sono state ascoltate anche se non interamente accolte. Al presidente dell’Anm ancora non bastano le modifiche della prescrizione “che non dovrebbe decorrere dopo la sentenza di primo grado” ma “non possiamo fare la guerra su tutto“.
Orlando ha fatto presente che “si fanno le modifiche che consente il quadro politico: all’inizio di questo governo nessuno pensava che avremmo reintrodotto il falso in bilancio, introdotto il reato di autoriciclaggio e rivisto la prescrizione“. Il ministro guardasigilli ha però sottolineato che “se è giusto dare più tempo per fare il processo, non è giusto lasciare che le persone siano sotto processo per tutta la vita“. Da parte sua Orlando ha spiegato che il ddl “ha l’obiettivo di diminuire i processi” con una serie di misure deflattive che possano far sì che i magistrati si concentrino sui reati di maggior allarme sociale. Davigo, toccando l’argomento dell’evasione fiscale, ha contestato la necessità di fare norme sul rientro agevolato dei capitali dato che “tra un anno dagli altri Paesi arriveranno tutti i dati” su chi nasconde i soldi all’estero. Il presidente dell’Anm ha poi riproposto l’idea della “premialità forte” anche fino alla “impunità totale” per chi denuncia la corruzione facendo parte del “sistema”, dato che questo è uno dei reati meno denunciati in assoluto. Orlando ha difeso la scelta di premiare la collaborazione dei corrotti solo con attenuanti perché sull’impunità assoluta “non sono d’accordo nemmeno i magistrati”.
Il potere dei segreti
di Marco Lillo 12€ AcquistaArticolo Precedente
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Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.