Ha vinto a sorpresa, contro ogni pronostico, spiazzando Wall Street che aveva puntato “sull’usato sicuro” rappresentato da Hillary Clinton e dalla sua garanzia di continuità politica con l’amministrazione Obama. La vittoria di Donald Trump, candidato repubblicano sui generis, inviso al partito repubblicano e a praticamente tutto l’establishment statunitense, ha davvero il sapore di una Brexit in salsa americana. Non solo perché ha preso in contropiede i mercati, che nella notte hanno iniziato a scivolare man mano che si materializzava lo spettro di una sua vittoria, ma anche perché ha vinto il candidato che esprime le posizioni più isolazioniste degli ultimi cinquant’anni sotto il profilo dell’economia e del commercio internazionale. Il candidato che in campagna elettorale ha ribadito in tutte le salse non solo la sua contrarietà al Ttip, il trattato di libero scambio con l’Europa che è tutt’ora in fase di negoziazione, ma anche la volontà di rimettere in discussione gli accordi già firmati come il Nafta e il Tpp.
La vittoria di Trump è dunque una doccia fredda per i mercati (almeno nell’immediato, con le borse negative in tutto il mondo) ed è altamente probabile che anche Wall Street reagisca male alla notizia alla riapertura delle contrattazioni. Diversi analisti valutano che l’impatto della sua nomina sulla Borsa si possa tradurre in una correzione del 3-6%, qualcuno si è spinto addirittura a dire dell’8-10%. Ma sarebbe sbagliato pensare che la reazione immediata della Borsa possa dare una misura dell’impatto atteso sull’economia delle politiche della nuova amministrazione: si tratta di una reazione emotiva, in questo caso dettata dal timore dell’ignoto. Trump è un personaggio controverso e imprevedibile, è un populista. Non è un politico, non ha esperienza e, in generale, le sue ricette non paiono in molti casi adeguate al governo di una grande potenza mondiale. Naturale quindi che i mercati reagiscano male.
Statistiche alla mano, però, si può dire che in meno del 50% dei casi l’andamento degli indici di Borsa nel giorno successivo all’elezione del presidente degli Stati Uniti è stato rappresentativo del trend imboccato da Wall Street nei 12 mesi successivi. E occorre anche sottolineare che la vittoria di Trump è una vittoria piena: oltre alla presidenza i repubblicani mantengono la maggioranza alla Camera e conquistano il Senato. In queste condizioni il sostegno alle sue politiche è assicurato, al netto dei problemi di bilancio e dei dissensi in seno al partito. Una situazione opposta a quella che verosimilmente avrebbe incontrato la Clinton se fosse stata eletta.
Trump arriva alla Casa Bianca forte di una leadership piena e raccoglie in eredità un Paese che si è rimesso in carreggiata dopo la tremenda crisi finanziaria del 2007-2009, con un’economia in moderata crescita, una disoccupazione ridotta ai minimi termini e Wall Street ai massimi storici. Un’eredità da maneggiare con cura, perché l’economia sta dando i primi segnali di surriscaldamento, tanto che a dicembre la Federal Reserve dovrebbe decidere l’atteso rialzo di un quarto di punto dei tassi d’interesse, preludio di una graduale inversione di tendenza della politica monetaria. E a preoccupare gli analisti è anche (se non soprattutto) l’ultima ondata di dati trimestrali che ha segnato un sostanziale rallentamento degli utili societari a fronte di una ripresa generalizzata della dinamica salariale. Stipendi più alti stimolano i consumi interni e dunque contribuiscono alla crescita dell’economia, ma dall’altro lato erodono i profitti aziendali. Il combinato disposto tra crescita dei tassi d’interesse e contrazione degli utili potrebbe dunque innescare a breve una decisa correzione sui mercati statunitensi che – come detto – sono da tempo ai massimi storici. In questo quadro delicato, che richiede un attento fine tuning per evitare di soffocare la crescita economica, l’arrivo di Trump rischia di essere dirompente, ma non necessariamente in senso negativo.
Le sue ricette di politica economica, ricette dalla forte impronta reaganiana, potrebbero avere a medio termine un effetto benefico sulla crescita, anche se nel lungo periodo possono creare gravi squilibri nei conti pubblici. Discorso che vale in particolare per la drastica riduzione delle aliquote fiscali promessa in campagna elettorale: dal 39,6 al 33% la massima aliquota individuale e, soprattutto, il taglio dal 35 al 15% delle tasse alle imprese. Una mossa che, secondo le stime del Tax Policy Center, potrebbe costare 7.200 miliardi di dollari in termini di minori entrate nei primi 10 anni e fino a 21.000 miliardi nei successivi 10 anni.
Un forte impatto sulla crescita potrebbe averlo anche il piano di investimenti in infrastrutture che da solo potrebbe valere oltre 500 miliardi di dollari l’anno. La necessità di rilanciare gli investimenti infrastrutturali era un punto in comune nei programmi di Trump e della Clinton, ma la differenza sta nel come finanziarli. Mentre la candidata democratica ipotizzava un incremento della tassazione a carico dei cittadini più abbienti e dei profitti aziendali parcheggiati all’estero, Trump ha promesso tagli alle spese federali, riduzione degli sprechi e il lancio sul mercato di emissioni obbligazionarie ad hoc. Come ulteriore stimolo, in campagna elettorale il neopresidente ha promesso una forte deregulation in molti settori, dalla finanza all’ambiente, con l’obiettivo di mettere il propulsore alla crescita, portandola dall’attuale 2% al 4% annuo. Quanto poi Trump possa realizzare queste promesse è tutto da vedere, ma nell’arco di qualche anno l’impatto teorico del pacchetto sull’economia Usa può essere significativo, anche se al prezzo di un netto peggioramento delle condizioni materiali degli americani più poveri (tra le prime cose a saltare ci sarà l’Obama care, cioè il programma di assistenza sanitaria ai più bisognosi) e delle condizioni dell’ambiente, specie se verranno cancellate le attuali normative sulle emissioni.
Un aspetto delicato della presidenza Trump sarà quello delle relazioni internazionali, in particolare in ambito commerciale. La volontà dichiarata di rinegoziare i trattati può avere ripercussioni non banali sulle imprese americane e sulla loro possibilità di accedere ai mercati qualora l’alzata di scudi isolazionista finisca con il concretizzarsi davvero, anche se pare altamente improbabile soprattutto per via del peso delle grandi lobby industriali e finanziarie che si opporrebbero con forza a mosse per loro penalizzanti. In realtà, superato lo shock iniziale della vittoria a sorpresa di Trump, occorrerà vedere quale equilibrio si creerà nei prossimi mesi con i grandi attori economici. Se è possibile che a medio termine l’economia americana tragga beneficio dal programma del nuovo presidente, è molto più incerta invece la ricaduta che queste elezioni possono avere sull’Europa e la sua economia ed è sicuro che non è una buona notizia per i Paesi emergenti, a partire ovviamente dal Messico la cui valuta ha già iniziato a subire i contraccolpi della vittoria di Trump.
Elezioni USA 2016
Donald Trump presidente degli Stati Uniti: choc per i mercati, ma i veri effetti si vedranno nel medio periodo
Wall Street aveva puntato “sull’usato sicuro” rappresentato da Hillary Clinton. Mentre il magnate è imprevedibile e quindi nell'immediato la reazione sarà negativa. Ma la sua vittoria piena potrebbe non avere un esito catastrofico nei prossimi mesi. Dal Ttip alle spese federali, dai trattati alle relazioni internazionali, ecco la linea del nuovo presidente Usa
Ha vinto a sorpresa, contro ogni pronostico, spiazzando Wall Street che aveva puntato “sull’usato sicuro” rappresentato da Hillary Clinton e dalla sua garanzia di continuità politica con l’amministrazione Obama. La vittoria di Donald Trump, candidato repubblicano sui generis, inviso al partito repubblicano e a praticamente tutto l’establishment statunitense, ha davvero il sapore di una Brexit in salsa americana. Non solo perché ha preso in contropiede i mercati, che nella notte hanno iniziato a scivolare man mano che si materializzava lo spettro di una sua vittoria, ma anche perché ha vinto il candidato che esprime le posizioni più isolazioniste degli ultimi cinquant’anni sotto il profilo dell’economia e del commercio internazionale. Il candidato che in campagna elettorale ha ribadito in tutte le salse non solo la sua contrarietà al Ttip, il trattato di libero scambio con l’Europa che è tutt’ora in fase di negoziazione, ma anche la volontà di rimettere in discussione gli accordi già firmati come il Nafta e il Tpp.
La vittoria di Trump è dunque una doccia fredda per i mercati (almeno nell’immediato, con le borse negative in tutto il mondo) ed è altamente probabile che anche Wall Street reagisca male alla notizia alla riapertura delle contrattazioni. Diversi analisti valutano che l’impatto della sua nomina sulla Borsa si possa tradurre in una correzione del 3-6%, qualcuno si è spinto addirittura a dire dell’8-10%. Ma sarebbe sbagliato pensare che la reazione immediata della Borsa possa dare una misura dell’impatto atteso sull’economia delle politiche della nuova amministrazione: si tratta di una reazione emotiva, in questo caso dettata dal timore dell’ignoto. Trump è un personaggio controverso e imprevedibile, è un populista. Non è un politico, non ha esperienza e, in generale, le sue ricette non paiono in molti casi adeguate al governo di una grande potenza mondiale. Naturale quindi che i mercati reagiscano male.
Statistiche alla mano, però, si può dire che in meno del 50% dei casi l’andamento degli indici di Borsa nel giorno successivo all’elezione del presidente degli Stati Uniti è stato rappresentativo del trend imboccato da Wall Street nei 12 mesi successivi. E occorre anche sottolineare che la vittoria di Trump è una vittoria piena: oltre alla presidenza i repubblicani mantengono la maggioranza alla Camera e conquistano il Senato. In queste condizioni il sostegno alle sue politiche è assicurato, al netto dei problemi di bilancio e dei dissensi in seno al partito. Una situazione opposta a quella che verosimilmente avrebbe incontrato la Clinton se fosse stata eletta.
Trump arriva alla Casa Bianca forte di una leadership piena e raccoglie in eredità un Paese che si è rimesso in carreggiata dopo la tremenda crisi finanziaria del 2007-2009, con un’economia in moderata crescita, una disoccupazione ridotta ai minimi termini e Wall Street ai massimi storici. Un’eredità da maneggiare con cura, perché l’economia sta dando i primi segnali di surriscaldamento, tanto che a dicembre la Federal Reserve dovrebbe decidere l’atteso rialzo di un quarto di punto dei tassi d’interesse, preludio di una graduale inversione di tendenza della politica monetaria. E a preoccupare gli analisti è anche (se non soprattutto) l’ultima ondata di dati trimestrali che ha segnato un sostanziale rallentamento degli utili societari a fronte di una ripresa generalizzata della dinamica salariale. Stipendi più alti stimolano i consumi interni e dunque contribuiscono alla crescita dell’economia, ma dall’altro lato erodono i profitti aziendali. Il combinato disposto tra crescita dei tassi d’interesse e contrazione degli utili potrebbe dunque innescare a breve una decisa correzione sui mercati statunitensi che – come detto – sono da tempo ai massimi storici. In questo quadro delicato, che richiede un attento fine tuning per evitare di soffocare la crescita economica, l’arrivo di Trump rischia di essere dirompente, ma non necessariamente in senso negativo.
Le sue ricette di politica economica, ricette dalla forte impronta reaganiana, potrebbero avere a medio termine un effetto benefico sulla crescita, anche se nel lungo periodo possono creare gravi squilibri nei conti pubblici. Discorso che vale in particolare per la drastica riduzione delle aliquote fiscali promessa in campagna elettorale: dal 39,6 al 33% la massima aliquota individuale e, soprattutto, il taglio dal 35 al 15% delle tasse alle imprese. Una mossa che, secondo le stime del Tax Policy Center, potrebbe costare 7.200 miliardi di dollari in termini di minori entrate nei primi 10 anni e fino a 21.000 miliardi nei successivi 10 anni.
Un forte impatto sulla crescita potrebbe averlo anche il piano di investimenti in infrastrutture che da solo potrebbe valere oltre 500 miliardi di dollari l’anno. La necessità di rilanciare gli investimenti infrastrutturali era un punto in comune nei programmi di Trump e della Clinton, ma la differenza sta nel come finanziarli. Mentre la candidata democratica ipotizzava un incremento della tassazione a carico dei cittadini più abbienti e dei profitti aziendali parcheggiati all’estero, Trump ha promesso tagli alle spese federali, riduzione degli sprechi e il lancio sul mercato di emissioni obbligazionarie ad hoc. Come ulteriore stimolo, in campagna elettorale il neopresidente ha promesso una forte deregulation in molti settori, dalla finanza all’ambiente, con l’obiettivo di mettere il propulsore alla crescita, portandola dall’attuale 2% al 4% annuo. Quanto poi Trump possa realizzare queste promesse è tutto da vedere, ma nell’arco di qualche anno l’impatto teorico del pacchetto sull’economia Usa può essere significativo, anche se al prezzo di un netto peggioramento delle condizioni materiali degli americani più poveri (tra le prime cose a saltare ci sarà l’Obama care, cioè il programma di assistenza sanitaria ai più bisognosi) e delle condizioni dell’ambiente, specie se verranno cancellate le attuali normative sulle emissioni.
Un aspetto delicato della presidenza Trump sarà quello delle relazioni internazionali, in particolare in ambito commerciale. La volontà dichiarata di rinegoziare i trattati può avere ripercussioni non banali sulle imprese americane e sulla loro possibilità di accedere ai mercati qualora l’alzata di scudi isolazionista finisca con il concretizzarsi davvero, anche se pare altamente improbabile soprattutto per via del peso delle grandi lobby industriali e finanziarie che si opporrebbero con forza a mosse per loro penalizzanti. In realtà, superato lo shock iniziale della vittoria a sorpresa di Trump, occorrerà vedere quale equilibrio si creerà nei prossimi mesi con i grandi attori economici. Se è possibile che a medio termine l’economia americana tragga beneficio dal programma del nuovo presidente, è molto più incerta invece la ricaduta che queste elezioni possono avere sull’Europa e la sua economia ed è sicuro che non è una buona notizia per i Paesi emergenti, a partire ovviamente dal Messico la cui valuta ha già iniziato a subire i contraccolpi della vittoria di Trump.
TRUMP POWER
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Elezioni Usa 2016, nessun discorso di Hillary Clinton. Staff: “Stiamo contando i voti, andate a dormire”
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Il discorso di Donald Trump: “Ora repubblicani e democratici siano uniti”
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Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".