“A disposizione, come sempre, per tutte le esigenze (vizi esclusi)”. Si chiude così la mail del 22 dicembre 2010 firmata da Andrea Corti, direttore generale dell’Ato Toscana Sud, da oggi agli arresti domiciliari, accusato di turbativa d’asta e corruzione dalla procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta sulla gara da 3,5 miliardi per la gestione dei rifiuti nelle province di Siena, Arezzo e Grosseto. Il destinatario del messaggio di posta elettronica è invece Eros Organni, amministratore delegato di Sei Toscana, la società frutto del raggruppamento d’imprese riconducibile tra gli altri alla vecchia Banca Etruria e alla Castelnuovese, la cooperativa guidata per un decennio dall’ultimo presidente dell’istituto, Lorenzo Rosi, che quel bando, poi, è riuscito ad aggiudicarselo. Come? Secondo i pm fiorentini ci sono pochi dubbi: grazie a una gara cucita su misura per escludere le altre due società (Iren e Hera) invitate a partecipare. La chiusura del castello accusatorio, a leggere le carte dell’operazione Clean City, è però una perquisizione o, meglio, un sequestro. E’ il primo marzo scorso quando la Guardia di Finanza si presenta a casa del numero uno dell’ente “terzo” che gestisce e vigila sull’organizzazione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti nel suo territorio d’ambito. Cosa trova? Testuale: “Le agende personali degli anni interessati dalla gara (2009, 2010, 2011), contenenti annotazioni esplicite di contatti, riunioni, meeting, telefonate ed incontri che il Corti aveva avuto con i soggetti che, in beata solitudine, dopo il ritiro delle altre due società, avevano presentato l’offerta e si erano aggiudicati la gara di appalto“. Si tratta di almeno 40 incontri, tutti annotati con dovizia di particolari dal direttore generale dell’Ato Toscana Sud, con tanto di orari, nomi e motivi dei faccia a faccia. “Vi sono scritti ordini del giorno inequivocabili”, ha spiegato il procuratore aggiunto Rodrigo Merlo, secondo cui è “sconcertante e impressionante la corrispondenza telematica”. E, quindi, quel “a disposizione, come sempre, per tutte le esigenze” di Corti a Organni.
A cosa servivano quegli incontri? La conclusione che si legge nell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari è inequivocabile: “Mentre le due concorrenti si affannavano per valutare la convenienza della partecipazione alla gara, i costi e la natura dell’impegno dell’appalto, le varie voci, per ‘contabilizzare’ le difficoltà e le sopravvenienze che la (alluvionale) documentazione aggiuntiva trasmessa portava con sé, facendo quesiti e ottenendo reiterati FAQ dalla stazione appaltante, il Rti Sei Toscana aveva accesso diretto alla fonte, affrontando tutte le problematiche come se non vi fosse alcun dubbio in ordine all’esito della gara, incontrandosi sia con il direttore dell’Ato Sud Corti sia con appartenenti allo studio MM&A, a cui la predisposizione del bando e di tutte le problematiche connesse e dipendenti erano state delegate”. Secondo l’accusa, quindi, i dettagli dell’offerta vincente sono praticamente stati scritti a braccetto da chi la doveva presentare e da chi la doveva ricevere. Come prepararsi a un esame sapendo già le domande o, peggio, concordando le risposte con l’esaminatore. Ma, oltre alla promozione, c’erano 3,5 miliardi di euro pagati dai contribuenti in bolletta.
“Il direttore generale dell’Ato Toscana sud ha fatto mercimonio delle proprie funzioni pubbliche al fine di favorire un intreccio di intese davvero sconcertante a vantaggio dell’aggiudicatario dell’appalto e traendone vantaggi personali.- sintetizza il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo – Ha agito nonostante le incompatibilità funzionali. Controllati e controllori agivano insieme per raggiungere il risultato comune di far ottenere l’appalto ad un preciso raggruppamento di imprese e per ottenere vantaggi personali”. In soldoni, secondo gli inquirenti Corti ha incassato compensi illeciti per oltre 380mila euro. Con varie modalità: per prestazioni d’opere professionali, come rimborsi spese per la collaborazione alla stesura di documenti e per “progettazioni preliminari” con pagamenti addebitati alla voce del corrispettivo dell’impresa denominata “somme a disposizione dell’amministrazione”. Non solo. Il direttore dell’Ato il 2 agosto 2010 ha stipulato con l’ingegner Andrea Mazzetti due contratti di consulenza per la progettazione preliminare della gara d’appalto, ma ha poi incassato buona parte dei suoi compensi. “In cambio dell’opportunità di lavoro che gli aveva procurato – si legge nell’ordinanza del Gip Matteo Zanobini – lo induceva indebitamente a cedergli a più riprese 176mila euro quale parte dei 295mila euro ricevuti”.
Le vittime di questo sistema – come già rilevava l’inchiesta pubblicata da ilfattoquotidiano.it il 29 aprile scorso – sono stati appunto i cittadini delle province di Siena, Grosseto e Arezzo, costretti a pagare una delle imposte sull’immondizia più alte d’Italia. “Questi sono i costi della corruzione, costi che finiscono in bolletta“, sono le parole usate dal colonnello Adriano D’Elia, comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Firenze. La spiegazione è semplice: “Proprio perché la gara è stata costruita ad arte per alcuni beneficiari, alcuni costi di esercizio dell’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti potevano, magari, essere ridotti. In qualche modo questi costi finiscono per essere ripartiti nelle bollette degli utenti. Non è stata una gara d’appalto a favore dei cittadini“. All’epoca, tuttavia, nessuno la pensava così.
Neanche le massime autorità della Regione Toscana. A partire dal governatore Enrico Rossi, che nell’aprile 2014 parlava del progetto di Ato Toscana Sud con Sei Toscana come di una realtà che “per dimensione è già tra le prime dieci del settore e punta a giocare un ruolo importante non solo in Toscana, ma anche in Italia”. Lo stesso Rossi ad aprile aveva confermato quel giudizio a ilfattoquotidiano.it: “Credo che per confrontare meglio il dato di costo del servizio e la sua efficienza sia opportuno prendere a riferimento il costo medio di trattamento a tonnellata prodotta, che per l’Ato Toscana Sud risulta inferiore rispetto al dato nazionale e al dato dell’Italia centrale“. Alla domanda sulle indagini riguardanti quello che lui reputava un esempio da seguire, Rossi aveva risposto gettando acqua sul fuoco: “Il fatto che ci sia stata una difficoltà non fa venir meno la validità del modello applicato”. Chi ha indagato nella ragnatela di conflitti di interesse del sistema rifiuti dell’Ato Toscana Sud non la pensa così. Al contrario definisce Corti, “motore e promotore dell’attività illecita” come si legge nell’ordinanza del Gip. Che, nel sottolineare “la fame di denaro per certi versi imbarazzante” del direttore dell’Ato, ricorda che l’ingegnere direttore “non pago dello stipendio quale professore universitario e dell’importante remunerazione economica quale direttore dell’Ato Toscana Sud, da pubblico ufficiale ha venduto la funzione, ha fatto costante mercimonio dei propri poteri, piegandoli a esigenze private per finalità di prestigio personale e, soprattutto, di lucro ponendosi a disposizione di privati ‘pagatori’, intraprendendo con loro, in straordinario conflitto di interessi, attività imprenditoriali“.