Alitalia getta acqua sul fuoco sull’ipotesi di una nuova tornata di esuberi, ma non tutti i sindacati ci stanno. Per l’ad dell’ex compagnia di bandiera, Cramer Ball, le recenti indiscrezioni di stampa sui tagli in arrivo per flotta e dipendenti sono solo “speculazioni”. Anche perché “la prossima fase del piano industriale non è ancora stata messa a punto” e soprattutto non è arrivata in consiglio di amministrazione. Ma per il sindacato le cose stanno diversamente: “Il piano di salvataggio di Alitalia voluto dal governo è miseramente fallito – dichiara a ilfattoquotidiano.it il segretario della Cub Trasporti Antonio Amoroso – Alcune indiscrezioni parlano di 1.500 lavoratori a rischio di esuberi ed esternalizzazioni. Non sappiamo esattamente quanti dipendenti saranno espulsi dall’azienda e quante attività saranno trasferite a terzi perché tutto dipende da eventuali partner che si troveranno per gli asset di cui la nuova Alitalia pensa di poter fare a meno”. Secondo la sigla sindacale, l’ex compagnia di bandiera punta ad affidare esternamente le attività di scalo (dal carico-scarico bagagli al check), l’information technology, alcuni rami della manutenzione e infine parte della struttura di staff amministrativo. Ma non basta. Sempre secondo la Cub, l’azienda ha anche già avviato le trattative con il governo per ottenere altri ammortizzatori sociali: una nuova ondata di soldi pubblici arriverebbe così ad alleggerire la voce del costo del lavoro nel bilancio di Alitalia Sai, la compagnia nata dalle ceneri della Cai dei patrioti berlusconiani.
LA COMPAGNIA NON HA DECOLLATO – Il clima in azienda è insomma decisamente pesante. Anche perché, nel pieno della campagna referendaria, il governo non vuol sentir parlare di tagli e meno che mai di scioperi. Tuttavia per venire incontro all’azienda e ai soci arabi che nel 2014 hanno versato quasi 600 milioni nella compagnia, l’esecutivo starebbe valutando l’ipotesi di ammortizzatori in continuità come solidarietà e cassa integrazione. “La storia stessa di Alitalia ci insegna che questo tipo di ammortizzatori sono utilizzati come un bancomat per scaricare sui contribuenti il costo delle ristrutturazioni aziendali ed espellere il personale con più diritti e più oneroso, sostituendolo con precari e lavoratori a più basso costo. Non favoriscono il rilancio della compagnia, ma servono solo a posticipare il problema – prosegue Amoroso – La verità è che il rilancio di Alitalia con i nuovi investimenti e i nuovi aerei non è mai arrivato. La flotta è stata ridimensionata e il piano di sviluppo è inesistente. Il piano di salvataggio del governo è fallito. E l’impressione è che ormai da tempo si sia deciso di fare della compagnia solo un vettore di medio e corto raggio, un segmento di mercato in cui le low cost la fanno da padrone e i margini sono assai risicati. Il risultato di questa strategia è che i nuovi ammortizzatori saranno solo altri soldi pubblici sprecati che non serviranno a rilanciare la compagnia di bandiera in un’ottica di sviluppo del sistema turistico e di crescita degli stessi aeroporti nazionali. Primo fra tutti gli Aeroporti di Roma”. Insomma, siamo ben lontani dalle entusiastiche dichiarazioni del premier del giugno 2015, quando, in occasione della presentazione delle nuove divise della compagnia, Matteo Renzi annunciava: “Allacciate le cinture, l’Italia sta per decollare”.
I CONTI CHE NON TORNANO – I numeri, del resto, parlano chiaro. A distanza di due anni dall’arrivo degli arabi nel capitale di Alitalia Sai, la compagnia aerea brucia ancora soldi. Lo scorso luglio il presidente Luca Cordero di Montezemolo ha parlato di 500mila euro al giorno. Le perdite stanno erodendo il patrimonio della compagnia, i sindacati sono sul piede di guerra e un aumento di capitale, secondo il Sole 24 Ore, è dietro l’angolo. La società, controllata al 49% da Etihad e al 51% da i soci italiani di Midco, ha chiuso il 2015 con un rosso di 199 milioni di euro e il patrimonio del gruppo si è ridotto di 532 milioni a 122 milioni di euro, mentre a livello di capogruppo la perdita è stata di 408 milioni e il patrimonio è arrivato a quota 52 milioni. Il governo al momento non ha trovato niente di meglio che offrire alle compagnie aeree un contentino facendo saltare con la legge di Bilancio l’aumento sulla tassa d’imbarco degli aerei. Una magra consolazione per l’ex monopolista nazionale che ancora trasporta circa 25 milioni di passeggeri. Un vantaggio in più per Ryanair che è riuscita a strappare alla ex compagnia di bandiera il primato italiano di principale vettore del Paese con 29,5 milioni di passeggeri.
Intanto l’ipotesi di dover rimettere mano al portafoglio non piace ai soci arabi che a suo tempo si sono affidati a Montezemolo come loro garante e ambasciatore sul suolo italico, dove l’ex numero uno di Ferrari rappresenta importanti investitori del Golfo anche in Unicredit. Malcontento anche da parte degli italiani di Midco, cioè Poste, Intesa SanPaolo, Unicredit, Atlantia, Immsi, Pirelli e Gavio che sarebbero tutti obbligati a versare altro denaro nella compagnia per evitare che vengano infranti i vincoli comunitari sulla proprietà europea delle compagnie aeree e Alitalia perda i diritti di volo: per Bruxelles Ethiad, in quanto extracomunitario deve infatti restare socio di minoranza. Tanto più che anche la stessa Midco non naviga in buone acque: l’azienda ha chiuso il 2015 in rosso per 5,4 milioni, affossata da 5,25 milioni di oneri pagati a Poste per il prestito convertibile da 75 milioni concessole dalla società del Tesoro in occasione del salvataggio mediorientale. Per non parlare del fatto che le banche, alle prese con ben altre sofferenze, hanno fatto sapere che non hanno alcuna intenzione di sborsare altro denaro. In compenso, sempre secondo il Sole, stanno valutando la possibilità di trasformare in patrimonio parte dei debiti della compagnia (200 milioni su un totale 903 milioni).
In questo modo, Alitalia riuscirebbe nel breve a restare a galla senza ricapitalizzazione. Inoltre, secondo quanto riferisce Il Sole 24 Ore del 9 novembre scorso, Etihad potrebbe farsi carico di 216 milioni di debiti finanziari grazie alla sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi (obbligazioni rimborsabili al 2020 con diritti su utili futuri), definiti “quasi equity” perché, pur non trasformandosi in capitale, consentiranno di differire la ricapitalizzazione. Resta il fatto che Alitalia avrebbe comunque bisogno di un nuovo piano industriale taglia-costi: e il solito calvario è all’orizzonte. Con l’unica differenza che nel 2016 non ci saranno la vendita ad Etihad del programma Loyalty avvenuta nel 2015 o la cessione di quest’anno di alcuni slot allo scalo londinese di Heathrow a salvare i conti e che quindi è ragionevole ipotizzare che si possa sin d’ora dire addio all’obiettivo di pareggio fissato al 2017 e confermato da Montezemolo lo scorso luglio. Interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it, tuttavia, Alitalia rimanda al piano industriale ancora in via di definizione.
LO SCONTRO A MEZZO STAMPA – Da qui lo scontro mediatico tra azienda e governo su quella che sarebbe dovuta diventare la compagnia più sexy del mondo. Con tanto di rimpallo delle responsabilità tra i soci arabi e l’esecutivo Renzi alle prese con la partita referendaria ormai alle ultime battute. Per il numero uno di Etihad, James Hogan, Renzi non ha mantenuto le promesse fatte al momento dell’accordo sul salvataggio siglato nel 2014. “Mi delude, come investitore, che alcune precondizioni non siano state rispettate”, ha dichiarato senza mezzi termini il manager al Corriere della Sera lo scorso 5 ottobre. E poi ha ricordato che, ai tempi del salvataggio, l’esecutivo si era impegnato a consentire l’uso dell’aeroporto di Linate per il lungo raggio e a varare un fondo di 20 milioni l’anno per la promozione turistica nelle città dei nuovi collegamenti: Città del Messico, Santiago del Cile, Pechino e Havana. Del resto la lamentela non è nuova e il governo era già stato avvisato dal presidente Montezemolo a luglio del 2016. Durante un’audizione alla commissione Trasporti della Camera l’ex numero uno della Ferrari aveva evidenziato provocatoriamente come nelle notti della trattativa sul salvataggio mediorientale di Alitalia, se al governo fosse stato chiesto in cambio di mettere a disposizione il lago di Garda, “sarebbe stato detto un sì perché si parla di oltre 13mila persone”, nonché di un’azienda italiana e fondamentale per il Paese come tutte le compagnie aeree nazionali. Dal canto suo Hogan ha anche lamentato l’atteggiamento ostile dei sindacati, che avevano promesso più o meno tre anni di pace, e lanciano invece uno sciopero “per qualcosa che vale come un caffè”. L’ultimo casus belli è stato quello dei biglietti gratis ai dipendenti per volare agli scali di partenza e raggiungere il posto di lavoro. Ma dietro la vicenda si cela un clima aziendale cupo, da caccia alle streghe.
La polemica rinfocolata a ridosso del referendum non è piaciuta al governo. Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Graziano Del Rio ha replicato a stretto giro sulle colonne dello stesso Corsera che “il governo ha rispettato tutti i suoi impegni su Alitalia”. E che ha lavorato “in un’ottica di leale collaborazione nel rispetto dei reciproci ruoli e nella cornice delle norme europee”, ricordando tutti le agevolazioni concesse alla compagnia: a cominciare dal prolungamento di tre anni del fondo speciale per il Trasporto Aereo, fino a tutto il 2018, per l’assorbimento degli esuberi per arrivare alla decontribuzione sull’indennità di imbarco per i passeggeri da scali domestici e sulle indennità del personale di volo. Un elenco in cui manca, appunto, il decreto Lupi sulla liberalizzazione delle rotte sullo scalo di Linate per il quale, secondo il governo, l’Europa ha chiesto di notificare formalmente “un nuovo decreto, in mancanza del quale sarebbe stata avviata una procedura di infrazione”. L’esecutivo vede insomma il bicchiere mezzo pieno. E rifiuta ogni tipo di responsabilità in una dolorosa vicenda che mette a rischio oltre diecimila lavoratori. D’altro canto non vuole certo inimicarsi Ryanair, che ama definirsi ormai la “vera compagnia italiana” e dalla prossima estate lancerà altre 44 rotte nel nostro Paese. “Ryanair cresce, loro tagliano le tratte a breve raggio. E un vettore che perde 200 milioni con il petrolio a 40 dollari al barile non è certo uscito dalla crisi”, ha spiegato nelle scorse settimane Kenny Jacobs, il numero uno del marketing della compagnia irlandese, che punta a potenziare il traffico da e per l’Italia. L’obiettivo degli irlandesi è arrivare entro il 2017 a 35 milioni di passeggeri, oltre 5,5 milioni in più rispetto a quelli attualmente trasportati. Con grande interesse del governo che vede di buon occhio l’aumento dei flussi turistici.
Lobby
Alitalia getta acqua sul fuoco, ma i sindacati: “Il piano di salvataggio voluto dal governo è miseramente fallito”
La compagnia esclude una nuova ondata di esuberi ed esternalizzazioni. Ma per la Cub ci sono a rischio 1500 posti di lavoro. Anche perchè i capitali di Ethiad non sono bastati ad invertire la rotta: l'ex monopolista continua a perdere denaro. Sempre più vicina la necessità di un intervento finanziario dei soci che lamentano il mancato rispetto dei patti. E l'esecutivo studia l'ennesima tornata di ammortizzatori sociali da concedere all'ex monopolista
Alitalia getta acqua sul fuoco sull’ipotesi di una nuova tornata di esuberi, ma non tutti i sindacati ci stanno. Per l’ad dell’ex compagnia di bandiera, Cramer Ball, le recenti indiscrezioni di stampa sui tagli in arrivo per flotta e dipendenti sono solo “speculazioni”. Anche perché “la prossima fase del piano industriale non è ancora stata messa a punto” e soprattutto non è arrivata in consiglio di amministrazione. Ma per il sindacato le cose stanno diversamente: “Il piano di salvataggio di Alitalia voluto dal governo è miseramente fallito – dichiara a ilfattoquotidiano.it il segretario della Cub Trasporti Antonio Amoroso – Alcune indiscrezioni parlano di 1.500 lavoratori a rischio di esuberi ed esternalizzazioni. Non sappiamo esattamente quanti dipendenti saranno espulsi dall’azienda e quante attività saranno trasferite a terzi perché tutto dipende da eventuali partner che si troveranno per gli asset di cui la nuova Alitalia pensa di poter fare a meno”. Secondo la sigla sindacale, l’ex compagnia di bandiera punta ad affidare esternamente le attività di scalo (dal carico-scarico bagagli al check), l’information technology, alcuni rami della manutenzione e infine parte della struttura di staff amministrativo. Ma non basta. Sempre secondo la Cub, l’azienda ha anche già avviato le trattative con il governo per ottenere altri ammortizzatori sociali: una nuova ondata di soldi pubblici arriverebbe così ad alleggerire la voce del costo del lavoro nel bilancio di Alitalia Sai, la compagnia nata dalle ceneri della Cai dei patrioti berlusconiani.
LA COMPAGNIA NON HA DECOLLATO – Il clima in azienda è insomma decisamente pesante. Anche perché, nel pieno della campagna referendaria, il governo non vuol sentir parlare di tagli e meno che mai di scioperi. Tuttavia per venire incontro all’azienda e ai soci arabi che nel 2014 hanno versato quasi 600 milioni nella compagnia, l’esecutivo starebbe valutando l’ipotesi di ammortizzatori in continuità come solidarietà e cassa integrazione. “La storia stessa di Alitalia ci insegna che questo tipo di ammortizzatori sono utilizzati come un bancomat per scaricare sui contribuenti il costo delle ristrutturazioni aziendali ed espellere il personale con più diritti e più oneroso, sostituendolo con precari e lavoratori a più basso costo. Non favoriscono il rilancio della compagnia, ma servono solo a posticipare il problema – prosegue Amoroso – La verità è che il rilancio di Alitalia con i nuovi investimenti e i nuovi aerei non è mai arrivato. La flotta è stata ridimensionata e il piano di sviluppo è inesistente. Il piano di salvataggio del governo è fallito. E l’impressione è che ormai da tempo si sia deciso di fare della compagnia solo un vettore di medio e corto raggio, un segmento di mercato in cui le low cost la fanno da padrone e i margini sono assai risicati. Il risultato di questa strategia è che i nuovi ammortizzatori saranno solo altri soldi pubblici sprecati che non serviranno a rilanciare la compagnia di bandiera in un’ottica di sviluppo del sistema turistico e di crescita degli stessi aeroporti nazionali. Primo fra tutti gli Aeroporti di Roma”. Insomma, siamo ben lontani dalle entusiastiche dichiarazioni del premier del giugno 2015, quando, in occasione della presentazione delle nuove divise della compagnia, Matteo Renzi annunciava: “Allacciate le cinture, l’Italia sta per decollare”.
I CONTI CHE NON TORNANO – I numeri, del resto, parlano chiaro. A distanza di due anni dall’arrivo degli arabi nel capitale di Alitalia Sai, la compagnia aerea brucia ancora soldi. Lo scorso luglio il presidente Luca Cordero di Montezemolo ha parlato di 500mila euro al giorno. Le perdite stanno erodendo il patrimonio della compagnia, i sindacati sono sul piede di guerra e un aumento di capitale, secondo il Sole 24 Ore, è dietro l’angolo. La società, controllata al 49% da Etihad e al 51% da i soci italiani di Midco, ha chiuso il 2015 con un rosso di 199 milioni di euro e il patrimonio del gruppo si è ridotto di 532 milioni a 122 milioni di euro, mentre a livello di capogruppo la perdita è stata di 408 milioni e il patrimonio è arrivato a quota 52 milioni. Il governo al momento non ha trovato niente di meglio che offrire alle compagnie aeree un contentino facendo saltare con la legge di Bilancio l’aumento sulla tassa d’imbarco degli aerei. Una magra consolazione per l’ex monopolista nazionale che ancora trasporta circa 25 milioni di passeggeri. Un vantaggio in più per Ryanair che è riuscita a strappare alla ex compagnia di bandiera il primato italiano di principale vettore del Paese con 29,5 milioni di passeggeri.
Intanto l’ipotesi di dover rimettere mano al portafoglio non piace ai soci arabi che a suo tempo si sono affidati a Montezemolo come loro garante e ambasciatore sul suolo italico, dove l’ex numero uno di Ferrari rappresenta importanti investitori del Golfo anche in Unicredit. Malcontento anche da parte degli italiani di Midco, cioè Poste, Intesa SanPaolo, Unicredit, Atlantia, Immsi, Pirelli e Gavio che sarebbero tutti obbligati a versare altro denaro nella compagnia per evitare che vengano infranti i vincoli comunitari sulla proprietà europea delle compagnie aeree e Alitalia perda i diritti di volo: per Bruxelles Ethiad, in quanto extracomunitario deve infatti restare socio di minoranza. Tanto più che anche la stessa Midco non naviga in buone acque: l’azienda ha chiuso il 2015 in rosso per 5,4 milioni, affossata da 5,25 milioni di oneri pagati a Poste per il prestito convertibile da 75 milioni concessole dalla società del Tesoro in occasione del salvataggio mediorientale. Per non parlare del fatto che le banche, alle prese con ben altre sofferenze, hanno fatto sapere che non hanno alcuna intenzione di sborsare altro denaro. In compenso, sempre secondo il Sole, stanno valutando la possibilità di trasformare in patrimonio parte dei debiti della compagnia (200 milioni su un totale 903 milioni).
In questo modo, Alitalia riuscirebbe nel breve a restare a galla senza ricapitalizzazione. Inoltre, secondo quanto riferisce Il Sole 24 Ore del 9 novembre scorso, Etihad potrebbe farsi carico di 216 milioni di debiti finanziari grazie alla sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi (obbligazioni rimborsabili al 2020 con diritti su utili futuri), definiti “quasi equity” perché, pur non trasformandosi in capitale, consentiranno di differire la ricapitalizzazione. Resta il fatto che Alitalia avrebbe comunque bisogno di un nuovo piano industriale taglia-costi: e il solito calvario è all’orizzonte. Con l’unica differenza che nel 2016 non ci saranno la vendita ad Etihad del programma Loyalty avvenuta nel 2015 o la cessione di quest’anno di alcuni slot allo scalo londinese di Heathrow a salvare i conti e che quindi è ragionevole ipotizzare che si possa sin d’ora dire addio all’obiettivo di pareggio fissato al 2017 e confermato da Montezemolo lo scorso luglio. Interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it, tuttavia, Alitalia rimanda al piano industriale ancora in via di definizione.
LO SCONTRO A MEZZO STAMPA – Da qui lo scontro mediatico tra azienda e governo su quella che sarebbe dovuta diventare la compagnia più sexy del mondo. Con tanto di rimpallo delle responsabilità tra i soci arabi e l’esecutivo Renzi alle prese con la partita referendaria ormai alle ultime battute. Per il numero uno di Etihad, James Hogan, Renzi non ha mantenuto le promesse fatte al momento dell’accordo sul salvataggio siglato nel 2014. “Mi delude, come investitore, che alcune precondizioni non siano state rispettate”, ha dichiarato senza mezzi termini il manager al Corriere della Sera lo scorso 5 ottobre. E poi ha ricordato che, ai tempi del salvataggio, l’esecutivo si era impegnato a consentire l’uso dell’aeroporto di Linate per il lungo raggio e a varare un fondo di 20 milioni l’anno per la promozione turistica nelle città dei nuovi collegamenti: Città del Messico, Santiago del Cile, Pechino e Havana. Del resto la lamentela non è nuova e il governo era già stato avvisato dal presidente Montezemolo a luglio del 2016. Durante un’audizione alla commissione Trasporti della Camera l’ex numero uno della Ferrari aveva evidenziato provocatoriamente come nelle notti della trattativa sul salvataggio mediorientale di Alitalia, se al governo fosse stato chiesto in cambio di mettere a disposizione il lago di Garda, “sarebbe stato detto un sì perché si parla di oltre 13mila persone”, nonché di un’azienda italiana e fondamentale per il Paese come tutte le compagnie aeree nazionali. Dal canto suo Hogan ha anche lamentato l’atteggiamento ostile dei sindacati, che avevano promesso più o meno tre anni di pace, e lanciano invece uno sciopero “per qualcosa che vale come un caffè”. L’ultimo casus belli è stato quello dei biglietti gratis ai dipendenti per volare agli scali di partenza e raggiungere il posto di lavoro. Ma dietro la vicenda si cela un clima aziendale cupo, da caccia alle streghe.
La polemica rinfocolata a ridosso del referendum non è piaciuta al governo. Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Graziano Del Rio ha replicato a stretto giro sulle colonne dello stesso Corsera che “il governo ha rispettato tutti i suoi impegni su Alitalia”. E che ha lavorato “in un’ottica di leale collaborazione nel rispetto dei reciproci ruoli e nella cornice delle norme europee”, ricordando tutti le agevolazioni concesse alla compagnia: a cominciare dal prolungamento di tre anni del fondo speciale per il Trasporto Aereo, fino a tutto il 2018, per l’assorbimento degli esuberi per arrivare alla decontribuzione sull’indennità di imbarco per i passeggeri da scali domestici e sulle indennità del personale di volo. Un elenco in cui manca, appunto, il decreto Lupi sulla liberalizzazione delle rotte sullo scalo di Linate per il quale, secondo il governo, l’Europa ha chiesto di notificare formalmente “un nuovo decreto, in mancanza del quale sarebbe stata avviata una procedura di infrazione”. L’esecutivo vede insomma il bicchiere mezzo pieno. E rifiuta ogni tipo di responsabilità in una dolorosa vicenda che mette a rischio oltre diecimila lavoratori. D’altro canto non vuole certo inimicarsi Ryanair, che ama definirsi ormai la “vera compagnia italiana” e dalla prossima estate lancerà altre 44 rotte nel nostro Paese. “Ryanair cresce, loro tagliano le tratte a breve raggio. E un vettore che perde 200 milioni con il petrolio a 40 dollari al barile non è certo uscito dalla crisi”, ha spiegato nelle scorse settimane Kenny Jacobs, il numero uno del marketing della compagnia irlandese, che punta a potenziare il traffico da e per l’Italia. L’obiettivo degli irlandesi è arrivare entro il 2017 a 35 milioni di passeggeri, oltre 5,5 milioni in più rispetto a quelli attualmente trasportati. Con grande interesse del governo che vede di buon occhio l’aumento dei flussi turistici.
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Roma, 14 mar. (Adnkronos) - In occasione della Giornata dell'Unità nazionale e del Tricolore, che ricorre lunedì prossimo, 17 marzo, sulla facciata di Montecitorio verrà proiettata la bandiera nazionale, dalla mezzanotte e nelle successive ore serali e notturne.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".