Ricapitolando. Salvini non vuole stare con Alfano. Alfano vuole solo Berlusconi. Berlusconi sceglie Parisi. Parisi non vuole Salvini. Ma Forza Italia non vuole Parisi. La Meloni sta con Salvini. Fitto non vuole più Berlusconi. Alfano non lo vuole nessuno. Nel frattempo, sempre per fare ordine, Maroni governa con quelli di Alfano, Toti senza, Forza Italia ha buttato giù il sindaco di Salvini a Padova, Salvini minaccia di buttare giù il sindaco di Forza Italia e Alfano a Venezia, ma intanto la Lega Nord raccomanda unità per tornare a vincere in Emilia e in Toscana. Per fortuna il centrodestra ha le idee chiare sulla legge elettorale: Alfano ha votato l’Italicum con la fiducia, ma è contento che il Pd metta mano a quella legge “così vengono accolte le nostre proposte”. Berlusconi ha detto al Corriere che gli piacerebbe una legge proporzionale. Raffaele Fitto vuole un maggioritario. Tra tutti questi Matteo Salvini è quello che ha le idee più chiare. Il 28 settembre ha firmato una nota insieme a Berlusconi e a Giorgia Meloni per dire che “il Parlamento dovrà mettere prioritariamente all’ordine del giorno l’approvazione di una nuova legge elettorale sulla quale i tre partiti presenteranno una proposta comune”. Il 18 ottobre, venti giorni dopo, Salvini ha invece spiegato a Repubblica che se vince il No “cade anche l’Italicum e si torna alla legge elettorale indicata dalla Consulta”, quindi un proporzionale puro che porterebbe a dover fare governi di intese non larghe, ma larghissime. Infine sabato, da Firenze, ha detto che il proporzionale non va bene perché servirebbe a “inciuciare meglio”.
Superato il periodo della Casa delle Libertà, è cominciato quello di Benny Hill: tutti di corsa in ordine sparso, quello armato di forcone, quello di mattarello, l’altro mezzo zoppo. A dare e togliere le carte è Salvini, ma nel senso del prestigiatore, non nel senso del mazziere. Ha provato a sfilare la sedia a Berlusconi, ma il vecchio capo non molla. Condanne, decadenze, la marginalità in Parlamento, lo stato di salute dovuto all’età: niente, tutto questo ha solo illuso il segretario federale della Lega che insieme a Giorgia Meloni provano da mesi a dare il colpo di grazia, a tagliare una volta per tutte il cordone ombelicale. Ma niente: quello resta lì e sceglie da monarca il suo successore. Solo che prima la monarchia andava bene a tutti, ora no. Così, quando ha visto che non può conquistare il centrodestra, Salvini ha puntato direttamente a quel che resta di Forza Italia che ormai affonda un po’ sotto e un po’ sopra il 10 per cento. Berlusconi ha scelto Parisi come federatore e quello invece sembra il bersaglio delle freccette. “Pseudo alter ego“, gli dice il capo dei leghisti. “Fantasma”, “pavido”, “ha paura”, insiste. Parisi risponde come può: “Vogliamo essere popolari e non populisti”, “cresce il consenso intorno al nostro progetto”, “non è il mio linguaggio”. “Non sono di Fi e mai ci entrerò – ha detto al Corriere della Sera – i partiti sono finiti. L’area moderata va ricostruita oltre Forza Italia, perché dentro, con certi personaggi, molti elettori e simpatizzanti non verrebbero mai”.
A quel punto Parisi si volta e non trova nessuno. Dentro Forza Italia, il partito dei moderati, chi parla sta contro Parisi, se non apertamente con Salvini. Giovanni Toti era alla manifestazione di Firenze. Altero Matteoli gli dà la colpa di dividere il centrodestra perché “vuole fare un progetto diverso da Forza Italia”, quindi gli fa gli auguri. Daniela Santanchè aggiunge che bisogna tenere il patto con la Lega e che populismo “è una parola bellissima”. Renato Brunetta vorrebbe far diventare Parisi il Fassina berlusconiano: “Parisi chi? Non lo conosco, non è di Forza Italia”. Una situazione che permette di fare il gradasso perfino ad Angelino Alfano, emarginato da destra e da sinistra: “Non so a nome di chi parli Parisi. Le sale gliele ha riempite Forza Italia, anche se lui ne parla male”. Siccome l’aria è frizzantina, c’è chi cerca di rifugiarsi nel solito bunker: “Il leader è Berlusconi” dicono Mariastella Gelmini e Micaela Biancofiore. Ma tutti, anche loro, sanno che non basta più. Anche per questo Salvini, ebro della vittoria di un altro negli Stati Uniti, si è fatto acclamare dalla folla di Santa Croce fino a fargli sventolare i cartelli con lo sfondo blu e la stessa grafia di Trump Make America great again costringendo il presidente del Consiglio Matteo Renzi a ricordagli che “le sue ultime vittorie sono Gallarate e Cascina, non il Michigan e il Wisconsin”. E anche se si va oltre la campagna pisana Salvini ha avuto più volte la prova che la Lega Nord non va oltre il 12-13-14 per cento e al sud conta zero: un po’ difficile fingersi Trump.
Così, dette tutte queste cose e aggiunto che la rissa interna non è mai arrivata a quel punto, a raccontare che l’esito può essere un po’ sorprendente è la stessa storia del centrodestra. Da vent’anni, infatti, lì dentro si tirano le bottigliate fino al mese prima delle elezioni e poi l’alleanza si ricompone come Terminator. Nel 1994 Bossi dava del mafioso a Berlusconi e lui rispondeva che con il Senatur non ci voleva prendere più nemmeno un caffè. Oggi sono i diecimila ultimatum di Salvini al quale il centrodestra fa schifo (a Firenze ha ripetuto per la cinquantesima volta che “è finito”) ma poi è col centrodestra governa le Regioni e le città. E l’aiutino potrebbe arrivare dal Nazareno, ma non in quel senso. Piuttosto nel senso della nuova intesa interna al Partito democratico firmata anche da Gianni Cuperlo: via il ballottaggio, collegi, premio alla coalizione. Ristrutturazione di un sistema tripolare, garanzie di seggi blindati al nord e al sud, tutti con la propria identità ma uniti. Un ottimo inizio per rimettere insieme il centrodestra.