di Massimo Vaggi* e Stefania Mangione**
Alcuni dati ci dicono di oltre seimila morti all’anno per malattie correlate all’esposizione ad amianto. Di questi, una gran parte sono (stati) lavoratori dell’industria manifatturiera, tessile, chimica, dell’edilizia, dei trasporti. Gente che negli anni 60\80 ha manipolato materiali che contenevano quelle magiche fibre omicide, che dopo trenta, quarant’anni di sonnecchiosa latenza si svegliano, e uccidono.
In altre parole, una strage sul e del lavoro. Un insostenibile esempio di come una logica del puro profitto possa alzare l’asticella di confine che separa l’universo ipotetico del lavoro tutelato da quello concretissimo dell’omissione delle cautele che salvaguardano la salute del lavoratore, se non la sua vita.
La domanda, allora, quella strumentalmente agitata da chi sostiene che nessun sapeva, nessuno poteva sapere, può essere posta un questi termini: è ragionevolmente possibile pretendere che un datore di lavoro potesse conoscere, in quegli anni, le conseguenze terribili dell’uso di quel materiale che tutti utilizzavano? Quel materiale fantastico che ha ineguagliabili caratteristiche ignifughe, isolanti, fonoassorbenti, e che costa pure poco. Quel materiale il cui utilizzo uno Stato (uno Stato abituato a ignorare anche le direttive comunitarie che imporrebbero regole condivise) non solo non vietava, ma a volte imponeva nei suoi capitolati d’appalto.
L’amianto è un silicato a struttura fibrosa del quale esistono diverse varietà in natura, tra cui l’amianto blu, che è il più pericoloso per la salute. Il valore limite di esposizione è stato individuato dalla legge nel ‘91, con colpevolissimo ritardo, nella misura di 0,6 fibre per cm. cubo per il crisotilo e 0,2 fibre per cm. cubo per le altre varietà di amianto. E tuttavia, trattandosi di sostanza sicuramente cancerogena per l’uomo il predetto limite non assicura affatto la prevenzione del rischio cancerogeno. I frammenti di fibre (aghi) di amianto, infatti, una volta penetrati nell’organismo, possono rimanervi ancorati definitivamente, e far esplodere un potenziale devastante anche dopo tempi lunghissimi.
L’amianto è poi leggerissimo, volatile: l’esposizione non è limitata a coloro che lo trattano direttamente ma anche a quei lavoratori che nel ciclo produttivo, pur non utilizzando direttamente l’amianto, si sono trovati ad operare in ambiente di lavoro non protetto.
Così che non è affatto utile riferirsi all’adeguamento alle normative in essere, a loro volta viziate da una colpa se possibile ancora più grave nell’apprestare misure di tutela del lavoro. E’ dunque insufficiente affermare che un certo datore di lavoro si sarebbe adeguato alle disposizioni in essere, e che tale fatto esclude l’esistenza di una responsabilità. Non solo inutile e insufficiente: è anche errato. La legge 455/1953, e successivamente il DPR 1124/1965, indicano tra le malattie professionali cosiddette “tabellate” proprio l’asbestosi, come diretta conseguenza di esposizione ad amianto, e dunque sino dal 1943 era obbligatoria la predisposizione di strumenti specifici, tesi a impedire il diffondersi del rischio di inalazione della materia.
Infine, è anche irragionevole, in quanto è ovvio e intuitivo che l’esistenza di una condotta colposa altrui non esclude affatto la propria.
Certamente, sin dagli anni Sessanta, la scienza medica afferma che è certa la pericolosità del materiale, tanto che sempre più frequentemente venivano lanciati allarmi pressanti ma inascoltati. La pericolosità dell’amianto d’altronde è direttamente collegata all’entità dell’esposizione (quantità di amianto e quantità di tempo in cui è durata l’inalazione). Vero è che teoricamente basta una fibra per provocare alcune malattie (come il mesotelioma) ma altrettanto vero è che, più ce ne sono nell’aria che si respira, più elevate sono le possibilità di inalarle.
Così che l’adozione di semplici accorgimenti di prevenzione, così come prevede anche la normativa generale di protezione (art. 2087 c.c.) avrebbe potuto ridurre grandemente e anche eliminare l’azione del materiale. La lavorazione effettuata in condizioni di sicurezza, cioè, avrebbe escluso l’insorgere di un danno di così grave portata.
Ciò ovviamente avrebbe comportato, da un lato, la predisposizione di impianti di aspirazione adeguati, e dall’altro la fornitura di mascherine antipolvere dotate di filtri adeguati. Infine avrebbe dovuto imporre adeguate misure di informazione a tutto il personale e predisporre visite preventive di controllo.
Quella domanda – ma doveva sapere il datore di lavoro? – fa dunque i conti, oggi, con una responsabilità enorme, e non può consolare il fatto che tale responsabilità sia condivisa. Quantomeno al Giudice civile – per il tempo passato, molti di coloro che potevano essere imputati sono morti prima di un processo penale – dovremo chiedere il giusto e pesante risarcimento, nel difficile tentativo di determinare quanti euro “vale” una vita.
Allo Stato dovremo chiedere di dare una risposta non solo simbolica a coloro che nell’inerzia di un legislatore che doveva sapere, doveva intervenire, non sono più nelle condizioni di chiedere nulla a nessuno (perché il datore di lavoro è cessato, fallito, sparito, morto…) ma pretendono, a gran voce, giustizia.
* Sono nato nel 1957 a Domodossola, esercito dal 1980 la professione di avvocato, specializzato in diritto del lavoro. Sono consulente della CGIL, della FIOM e dell’INCA di Bologna. Collaboro sin dalla sua costituzione con AFeVa Emilia Romagna (Associazione famigliari e vittime dell’amianto) http://www.afeva.it/ e mi sono specializzato negli ultimi anni nella difesa davanti al Giudice del Lavoro delle vittime e dei parenti delle vittime dell’amianto. Non ha mai difeso un datore di lavoro: non per amore del manicheismo, ma per rispetto del criterio per cui le scelte non fluttuano, ma restano. Sono presidente di una ONLUS che si occupa di adozioni internazionali e di progetti di cooperazione all’estero. Ho pubblicato sei romanzi e alcuni racconti: di questi uno (nella collettanea Lavoro Vivo ed. Alegre) scrive di un amico, morto per amianto.
** Sono avvocata giuslavorista a Bologna, per i lavoratori. Ho scritto, assieme ad Alberto Piccinini, un libro in materia di comportamento antisindacale e faccio della parte della redazione regionale Emilia – Romagna della rivista RGL News. Collaboro con AFeVa Emilia Romagna (Associazione famigliari e vittime dell’amianto) http://www.afeva.it/.
Area pro labour
Giuristi per il lavoro
Lavoro & Precari - 16 Novembre 2016
Amianto, le responsabilità dello Stato
di Massimo Vaggi* e Stefania Mangione**
Alcuni dati ci dicono di oltre seimila morti all’anno per malattie correlate all’esposizione ad amianto. Di questi, una gran parte sono (stati) lavoratori dell’industria manifatturiera, tessile, chimica, dell’edilizia, dei trasporti. Gente che negli anni 60\80 ha manipolato materiali che contenevano quelle magiche fibre omicide, che dopo trenta, quarant’anni di sonnecchiosa latenza si svegliano, e uccidono.
In altre parole, una strage sul e del lavoro. Un insostenibile esempio di come una logica del puro profitto possa alzare l’asticella di confine che separa l’universo ipotetico del lavoro tutelato da quello concretissimo dell’omissione delle cautele che salvaguardano la salute del lavoratore, se non la sua vita.
La domanda, allora, quella strumentalmente agitata da chi sostiene che nessun sapeva, nessuno poteva sapere, può essere posta un questi termini: è ragionevolmente possibile pretendere che un datore di lavoro potesse conoscere, in quegli anni, le conseguenze terribili dell’uso di quel materiale che tutti utilizzavano? Quel materiale fantastico che ha ineguagliabili caratteristiche ignifughe, isolanti, fonoassorbenti, e che costa pure poco. Quel materiale il cui utilizzo uno Stato (uno Stato abituato a ignorare anche le direttive comunitarie che imporrebbero regole condivise) non solo non vietava, ma a volte imponeva nei suoi capitolati d’appalto.
L’amianto è un silicato a struttura fibrosa del quale esistono diverse varietà in natura, tra cui l’amianto blu, che è il più pericoloso per la salute. Il valore limite di esposizione è stato individuato dalla legge nel ‘91, con colpevolissimo ritardo, nella misura di 0,6 fibre per cm. cubo per il crisotilo e 0,2 fibre per cm. cubo per le altre varietà di amianto. E tuttavia, trattandosi di sostanza sicuramente cancerogena per l’uomo il predetto limite non assicura affatto la prevenzione del rischio cancerogeno. I frammenti di fibre (aghi) di amianto, infatti, una volta penetrati nell’organismo, possono rimanervi ancorati definitivamente, e far esplodere un potenziale devastante anche dopo tempi lunghissimi.
L’amianto è poi leggerissimo, volatile: l’esposizione non è limitata a coloro che lo trattano direttamente ma anche a quei lavoratori che nel ciclo produttivo, pur non utilizzando direttamente l’amianto, si sono trovati ad operare in ambiente di lavoro non protetto.
Così che non è affatto utile riferirsi all’adeguamento alle normative in essere, a loro volta viziate da una colpa se possibile ancora più grave nell’apprestare misure di tutela del lavoro. E’ dunque insufficiente affermare che un certo datore di lavoro si sarebbe adeguato alle disposizioni in essere, e che tale fatto esclude l’esistenza di una responsabilità. Non solo inutile e insufficiente: è anche errato. La legge 455/1953, e successivamente il DPR 1124/1965, indicano tra le malattie professionali cosiddette “tabellate” proprio l’asbestosi, come diretta conseguenza di esposizione ad amianto, e dunque sino dal 1943 era obbligatoria la predisposizione di strumenti specifici, tesi a impedire il diffondersi del rischio di inalazione della materia.
Infine, è anche irragionevole, in quanto è ovvio e intuitivo che l’esistenza di una condotta colposa altrui non esclude affatto la propria.
Certamente, sin dagli anni Sessanta, la scienza medica afferma che è certa la pericolosità del materiale, tanto che sempre più frequentemente venivano lanciati allarmi pressanti ma inascoltati. La pericolosità dell’amianto d’altronde è direttamente collegata all’entità dell’esposizione (quantità di amianto e quantità di tempo in cui è durata l’inalazione). Vero è che teoricamente basta una fibra per provocare alcune malattie (come il mesotelioma) ma altrettanto vero è che, più ce ne sono nell’aria che si respira, più elevate sono le possibilità di inalarle.
Così che l’adozione di semplici accorgimenti di prevenzione, così come prevede anche la normativa generale di protezione (art. 2087 c.c.) avrebbe potuto ridurre grandemente e anche eliminare l’azione del materiale. La lavorazione effettuata in condizioni di sicurezza, cioè, avrebbe escluso l’insorgere di un danno di così grave portata.
Ciò ovviamente avrebbe comportato, da un lato, la predisposizione di impianti di aspirazione adeguati, e dall’altro la fornitura di mascherine antipolvere dotate di filtri adeguati. Infine avrebbe dovuto imporre adeguate misure di informazione a tutto il personale e predisporre visite preventive di controllo.
Quella domanda – ma doveva sapere il datore di lavoro? – fa dunque i conti, oggi, con una responsabilità enorme, e non può consolare il fatto che tale responsabilità sia condivisa. Quantomeno al Giudice civile – per il tempo passato, molti di coloro che potevano essere imputati sono morti prima di un processo penale – dovremo chiedere il giusto e pesante risarcimento, nel difficile tentativo di determinare quanti euro “vale” una vita.
Allo Stato dovremo chiedere di dare una risposta non solo simbolica a coloro che nell’inerzia di un legislatore che doveva sapere, doveva intervenire, non sono più nelle condizioni di chiedere nulla a nessuno (perché il datore di lavoro è cessato, fallito, sparito, morto…) ma pretendono, a gran voce, giustizia.
* Sono nato nel 1957 a Domodossola, esercito dal 1980 la professione di avvocato, specializzato in diritto del lavoro. Sono consulente della CGIL, della FIOM e dell’INCA di Bologna. Collaboro sin dalla sua costituzione con AFeVa Emilia Romagna (Associazione famigliari e vittime dell’amianto) http://www.afeva.it/ e mi sono specializzato negli ultimi anni nella difesa davanti al Giudice del Lavoro delle vittime e dei parenti delle vittime dell’amianto. Non ha mai difeso un datore di lavoro: non per amore del manicheismo, ma per rispetto del criterio per cui le scelte non fluttuano, ma restano. Sono presidente di una ONLUS che si occupa di adozioni internazionali e di progetti di cooperazione all’estero. Ho pubblicato sei romanzi e alcuni racconti: di questi uno (nella collettanea Lavoro Vivo ed. Alegre) scrive di un amico, morto per amianto.
** Sono avvocata giuslavorista a Bologna, per i lavoratori. Ho scritto, assieme ad Alberto Piccinini, un libro in materia di comportamento antisindacale e faccio della parte della redazione regionale Emilia – Romagna della rivista RGL News. Collaboro con AFeVa Emilia Romagna (Associazione famigliari e vittime dell’amianto) http://www.afeva.it/.
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Liste d’attesa, attacco di FdI a Gimbe: “Fake news”. Cartabellotta: “La verità è lì”. Conte: “Complotti immaginari”. Schlein: “Bullismo”
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"Da sarda, -ha aggiunto- non posso che essere estremamente orgogliosa nel vedere i miei concittadini impegnati con tanto valore nelle operazioni internazionali. La Brigata Sassari è il fiore all’occhiello del nostro esercito, una realtà che continua a distinguersi per preparazione e coraggio”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Ci mancavano i sedicenti comitati civici che spalleggiano gli occupanti abusivi di immobili a rendere sempre più invivibile il quartiere Esquilino, uno dei più belli di Roma da tempo in mano ad immigrati clandestini e bande criminali. Ne ha fatto le spese un bravo giornalista come Luca Telese aggredito per aver difeso i presidi di legalità che dopo le denunce della Lega le istituzioni stanno predisponendo. Telese chiamato ad un’assemblea pubblica da un sedicente Polo Civico ha avuto l'ardire di affermare che cancellate di protezione dei luoghi di socialità non sono poi da demonizzare. Per difendere la possibilità di vivere in pace e nella legalità all'Esquilino di Roma, come in tutte le periferie d'Italia, è necessario che venga subito definitivamente approvato il ddl sicurezza”. Lo afferma il deputato della Lega ed ex magistrato Simonetta Matone.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Nella loro foga alla ricerca del complotto, di qualcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, di uno spauracchio a cui assegnare colpe per nascondere le inadeguatezze del governo Meloni, i colleghi di Fratelli d’Italia hanno nuovamente toccato inesplorate vette di contraddizione. L’ultimo attacco frontale è stato riservato a Gimbe e al suo presidente Cartabellotta, colpevole di aver detto con dati inequivocabili che il decreto dell’Esecutivo sulle liste d’attesa è fermo al palo e che solo uno dei sei decreti attuativi è stato già approvato". Lo afferma Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali della Camera e coordinatore del Comitato politico salute e inclusione sociale del M5S.
"Oltre a usare parole estremamente gravi nei confronti di chi porta avanti con serietà e professionalità un preziosissimo lavoro scientifico a tutela della sanità, il senatore Zaffini -aggiunge l'esponente pentastellato- ha però di fatto confermato i ritardi denunciati da Cartabellotta, sebbene secondo lui siano in realtà tempi record. Una contraddizione decisamente bizzarra. E nel frattempo, i medici di medicina generale operano come meglio credono e la proposta di Forza Italia in merito è ancora ben lontana dal concretizzarsi".
"Al presidente Cartabellotta -conclude Quartini- va tutta la mia solidarietà, visto che ultimamente è stato identificato come avversario politico, alla stregua di una forza di opposizione, come persino Bruno Vespa aveva avuto l’indecenza di dire. Questo attacco scomposto, in ogni caso, non fa che confermare la linea di questa maggioranza: è sempre colpa degli altri. Dai magistrati, a coloro che distribuiscono la benzina, fino a Gimbe”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Il nemico del giorno del governo è la Fondazione Gimbe e in particolare il suo presidente Nino Cartabellotta, accusato da esponenti di maggioranza di essere un bugiardo che falsifica i dati perché ‘cavalier servente’ e comunista. Affermazioni di una gravità inaudita contro un organismo indipendente e autorevole come Gimbe, che fa un grande lavoro di raccolta e verifica dei dati sanitari. La colpa di Cartabellotta? Aver fatto notare che a sei mesi dall’approvazione del decreto liste d’attesa mancano ancora cinque dei sei decreti attuativi, cosa tra l’altro confermata dalla stessa maggioranza". Lo afferma Mariolina Castellone, senatrice M5S e vicepresidente del Senato.
"Ancora una volta, questa destra cerca di trasferire su altri le colpe della propria incapacità e si produce in un costante bullismo contro professionisti che fanno il proprio lavoro, cercando di intimorirli. Per fortuna -conclude l'esponente pentastellata- ci sono i numeri a parlare e a smentire la propaganda di governo. E ci siamo noi a tutelare le voci libere e indipendenti”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Quello delle liste di attesa è un tema che riguarda non solo la salute ma anche la dignità della persona. Un tema che richiede senso di responsabilità e che non riscontro nelle dichiarazioni sparate a raffica da esponenti di Pd, 5 stelle e sinistra. Gli stessi che ci hanno consegnato un Servizio sanitario nazionale allo sfascio e per il quale ci stiamo adoperando per rimetterlo in sesto. Il collega Cartabellotta e la Fondazione Gimbe meritano rispetto, in quanto sono giustificati per la mancata conoscenza del lavoro che il Governo ha messo in campo sui decreti attuativi. Non posso al contrario giustificare i colleghi senatori che siedono nella commissione Sanità del Senato presieduta dal presidente Zaffini o i presidenti di Regione che prendono parte alla Conferenza Stato-Regioni". Lo afferma il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Sanità in Senato.
"Se non sanno -aggiunge- devo purtroppo arguire che dormono mentre se, come penso, sanno e attaccano il presidente Zaffini, che ha solo voluto puntualizzare il lavoro del Governo in risposta alle valutazioni della Fondazione Gimbe, è grave perché si tratta di un comportamento in grave mala fede. Si può anche non conoscere quanto si stia facendo sul tema, ma il senso di responsabilità vuole che prima di sparare a salve ci si informi e ci si documenti . In questo modo si prenderebbe facilmente atto che quanto annunciato dalla Fondazione Gimbe non è proprio puntuale perché -e lo ha spiegato bene il presidente Zaffini- la situazione riguardo ai decreti attuativi è la seguente: Criteri di funzionamento della piattaforma nazionale e regionali delle liste d’attesa: Il decreto è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. In attesa del parere della Conferenza Stato Regioni alla quale è stato inviato il 13 settembre 2024".
"Funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio in coerenza con il modello di classificazione e stratificazione della popolazione, risulta ‘fatto’. Poteri sostitutivi del ministero della Salute in caso di inottemperanza delle Regioni e il rispetto agli obiettivi della legge: decreto trasmesso in Conferenza Stato-Regioni il 6 novembre 2024. Linee di indirizzo per l’attivazione dei sistemi di disdetta da parte dei Cup: il decreto è in fase di definizione da attuare con il Piano nazionale delle liste d’attesa in lavorazione predisposto dalla Direzione generale della Programmazione sanitaria già condiviso con Regioni e Mef. Metodologia per la definizione del fabbisogno di personale del Ssn (superamento tetti di spesa): il decreto è in via di ultimazione. Il Piano di azione per rafforzare i servizi sanitari e sociosanitari (nelle Regioni del Sud destinatarie dei fondi del Piano nazionale Equità e salute): decreto trasmesso alla conferenza Stato-Regioni il giorno 8 gennaio 2025".
"In questo confronto tra Zaffini e i nostri avversari politici -conclude Zullo- si può cogliere la differenza tra noi e loro: noi lavoriamo per mettere riparo agli sfasci che ci hanno lasciato in eredità, loro non sanno andare oltre l’irresponsabile e deleteria polemica sterile, dannosa dell’immagine del nostro Servizio sanitario nazionale”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "La Fondazione Gimbe è un ente autonomo e indipendente che ormai da decenni studia e documenta i dati più importanti del nostro Servizio sanitario nazionale. Il suo presidente non ha mai fatto sconti a nessun Governo e a nessuna parte politica come dimostrano chiaramente i Rapporti che annualmente la Fondazione offre al dibattito e ai decisori politici. Ma forse dà fastidio a chi oggi è al governo che proprio dai rapporti Gimbe emerga ciò che la maggioranza si ostina a negare: cioè che stiamo riducendo le risorse per finanziare il Ssn in proporzione al Pil e che non si stanno dando risposte adeguate alla gravità della crisi che attraversa la sanità pubblica in Italia". Lo afferma Marina Sereni, responsabile Salute e sanità nella segreteria nazionale Pd.
"Cercare di minare la credibilità di un professionista serio e stimato ovunque perché non piacciono i numeri -peraltro tratti tutti da fonti ufficiali- su cui fa le analisi -aggiunge- è tipico di una destra illiberale e arrogante. Per questo voglio esprimere al presidente Cartabellotta la mia solidarietà e confermare la stima e l’apprezzamento nei confronti del lavoro prezioso della Fondazione Gimbe".