Gli elettori degli Stati Uniti – a dire il vero solo il 25,5% – hanno appena eletto quello che Noam Chomsky ha definito come il capo del partito politico più pericoloso della storia del mondo. I motivi che lo rendono tale sono tanti, ma il più grave è il negazionismo rispetto alla scienza del cambiamento del clima, o ciò che The Lancet ha definito come la principale minaccia del secolo alla salute globale e futura sopravvivenza.

Tragicamente, o comicamente, la vittoria di Trump è coincisa con due annunci dell’Organizzazione Metereologica Mondiale: a) il 2016 sarà l’anno più caldo della storia, sopra il primato del 2015; e b) la temperatura del pianeta è già salita sopra 1.2 gradi rispetto all’era pre-industriale. E’ probabile che se raggiungerà il limite dei 2 gradi, i cambiamenti del clima diventeranno irreversibili.

Abbiamo pochi anni a disposizione per evitare il punto di non ritorno, ma senza il contributo degli Usa, gli accordi internazionali sul clima diventano aria fritta. Trump ha già piazzato Myron Bell, un noto e orgoglioso negazionista del cambiamento climatico, a capo del team di transizione dell’Agenzia di Protezione Ambientale (Epa). Lo stesso team potrebbe contribuire a un altro tipo di transizione: quella dell’umanità verso il precipizio. Eppure c’è chi festeggia.

Le celebrazioni della destra radicale, di Fox News, delle milizie patriottiche e del capo dei Ku Klux Klan, sono perfettamente comprensibili. Ha vinto chi li rappresenta in politica e nell’anima. In Italia, i sostenitori di Trump includono Brunetta, Salvini, Maroni, Toti, Briatore, Santanchè e Razzi, tanto per intenderci. Ma la vittoria di Trump non è solamente attribuibile al sostegno ricevuto dalla destra. Il Tycoon ha capitalizzato l’astensionismo dei disillusi di sinistra (il 46,9% degli elettori non ha votato) e gli attacchi politici alla Clinton sferzati da pensatori critici e indipendenti. Mi riferisco a personaggi pubblici che hanno spesso sostenuto posizioni radicali, nel senso più genuino del termine – che vanno cioè alla radice dei problemi, non solo in superficie – in politica ed economia.

Penso ad esempio ad autori come John Pilger, Chris Hedges e Julian Assange. Stiamo parlando di attivisti e autori che hanno dedicato la vita a denunciare e criticare le ingiustizie del mondo politico ed economico. Questi hanno primariamente, e giustamente, criticato Hillary Clinton per l’impatto sociale e umano delle politiche da lei sostenute nella sua lunga carriera politica. Di quali politiche stiamo parlando? Ne citiamo alcune: la guerra in Iraq, l’intervento in Libia, i trattati di libero commercio, la fratturazione idraulica, e la finanziarizzazione dell’economia all base della crisi economica.

A parere di questi autori, le differenze tra i due candidati, Hillary Clinton e Donald Trump, erano trascurabili. Assange stesso, che ha indirettamente influenzato le elezioni attraverso la pubblicazione delle email della Clinton – ed è stato pure ringraziato dal capo del Ku Klux Klan per questo – ha dichiarato che la scelta tra Trump e la candidata democratica era simile a quella tra la gonorrea ed il colera.

Chiariamo una cosa: la Clinton può incolpare solo se stessa per questa sconfitta. Il candidato che poteva davvero fronteggiare Trump era Bernie Sanders, ma la leadership del partito democratico (davvero?) ha fatto il possibile per ostacolarlo e favorire Hillary, più vicina agli interessi delle grandi banche di Wall Street come Goldman Sachs.

Tra gli autori radicali e indipendenti che hanno analizzato a fondo i problemi del capitalismo e dell’imperialismo Usa, Noam Chomsky è stato uno dei pochi a consigliare apertamente di tapparsi il naso e votare Hillary negli Swing States. Altri hanno aderito alla politica del “tanto peggio, tanto meglio”. L’avete mai sentita? E’ una frase di Georgi Plekhanov, un rivoluzionario russo. Chissà se l’elezione di Trump creerà paradossalmente un terreno fertile per lo sviluppo di un vigoroso movimento politico capace di ribaltare lo status quo e generare un’emancipazione della società. E chissà invece se i pensatori dell’ipotesi “Trump come il male minore” ci hanno pensato bene – prima di definirlo così.

Per ora una cosa è certa: la vittoria di Trump non è un passo in avanti verso l’emancipazione sociale, ma una sconfitta per il futuro dell’umanità. Trump è come un treno ad alta velocità verso l’inferno climatico. Non ci resta che provare a tirare il freno di emergenza.

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