L’acquisizione delle mail che i grillini si scambiarono tra il 3 e il 5 aprile del 2012, e le testimonianze degli attivisti che non hanno riconosciuto la propria firma tra quelle presentate a sostegno della lista del M5s alle amministrative palermitane del 2012. E poi un nuovo possibile testimone: Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, figlia del magistrato assassinato in via D’Amelio il 19 luglio del 1992. Quella che è cominciata oggi sarà una settimana cruciale per l’inchiesta sulle firme false depositate dal Movimento 5 Stelle alle comunali palermitane di quattro anni fa. Al secondo piano del palazzo di giustizia di Palermo, infatti, continuano a sfilare i testimoni di quello che Beppe Grillo ha definito un “dramma dell’ignoranza”.

Davanti ai pm Dino Petralia e Claudia Ferrari si sono presentati due attivisti storici del M5s a Palermo, poi estromessi dal meet up: si tratta di Giuseppe Marchese e Fabio D’Anna. Il primo aveva mostrato a Le Iene, la trasmissione Mediaset che ha fatto scoppiare la vicenda, il carteggio mail che gli attivisti del meet up si scambiarono nei primi giorni di aprile del 2012. Sono gli stessi messaggi di posta elettronica in cui uno degli attivisti ringrazia alla fine Claudia La Rocca, Claudia Mannino e Samantha Busalacchi per essere rimaste in sede fino alle 4 del mattino per finire “un estenuante lavoro”. Che tipo di lavoro? Secondo Le Iene si trattava della ricopiatura di centinaia di firme che erano state raccolte in un primo momento in alcuni moduli che però contenevano un errore nel luogo di nascita di uno dei candidati. E anche in relazione a quel carteggio di email che è stata interrogata La Rocca: la deputata regionale ha deciso nei giorni scorsi di andarsi a sedere davanti ai pm raccontare i dettagli dell’intera vicenda. È in questo modo che la sua posizione è passata da quella di persona informata sui fatti a indagata.

In mattinata i pm hanno interrogato anche Fabio D’Anna, attivista tra i fondatori del meet up palermitano che ha raccontato di aver effettivamente firmato per sostenere la lista del M5s alle comunali, ma davanti ai moduli depositati in municipio non ha potuto fare altro che disconoscere la sua grafia. “Alcuni attivisti hanno veramente firmato, ma evidentemente la loro firma è stata ricopiata a loro insaputa: hanno appreso dell’intera questione solo dopo l’inchiesta delle Iene”, dice l’avvocato Alessandro Cocchiara, che difenderà, come parte civile, i cittadini le cui firme sarebbero state falsificate. Tra questi spunta adesso anche il nome di Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, figlia del magistrato assassinato in via d’Amelio il 19 luglio del 1992.

Mentre si trovava a Roma, Trizzino è stato convocato dalla polizia per riconoscere la sua firma contenuta nei moduli consegnati dai grillini, ma non ricorda di non aver mai firmato a sostegno della lista dei 5 Stelle. “Non ho ancora potuto vedere la mia firma acquisita dalla Digos perché mi trovavo a Roma – dice Trizzino al fattoquotidiano.it, – ma da giovedì, cioè quando mi hanno telefonato per convocarmi, mi arrovello su un punto: per la mia storia personale mi sembrava difficile aver firmato in sostegno alla lista dei 5 Stelle”. Poi però due persone – un avvocato e un commercialista – convocati dalla Digos non solo non hanno riconosciuto la propria firma, inclusa nei moduli depositati dai grillini in municipio, ma hanno spiegato ai giornali di aver firmato solo per sostenere il referendum per l’acqua pubblica. “A quel punto – continua Trizzino – ho pensato: è possibile che anche io abbia firmato soltanto per il referendum? Ricordo chiaramente di essere stato avvicinato da un attivista, poi diventato parlamentare, e cioè Riccardo Nuti, che mi chiese di sostenere il referendum. Al contrario continuo a pensare che difficilmente avrei firmato per la loro lista alle comunali. Ma il mio al momento è soltanto un dubbio: è chiaro che prima di avere alcuna certezza, visto che sono anche passati anche quattro anni, devo prima parlare con gli inquirenti”.

Più netta invece la presa di distanza degli altri due testimoni che negano di aver mai sostenuto con la loro firma la lista del M5s. “Non ricordo di avere firmato per le liste elettorali – ha raccontato uno dei due professionisti – ma ricordo con certezza di avere firmato per il quesito sull’acqua pubblica”. Tra domani e dopodomani intanto in procura cominceranno gli interrogatori degli indagati: in totale al momento dovrebbero essere otto tra attivisti, deputati nazionali e regionali. Questi ultimi, e cioè La Rocca e Giorgio Ciaccio, nei giorni scorsi hanno deciso di sospendersi dal Movimento, mentre l’inchiesta potrebbe addirittura allargarsi. Secondo le norme, infatti, il reato ipotizzato dagli inquirenti – e cioè quello previsto dall’articolo 90 del Testo Unico 570 del 1960 – deve essere contestato non solo a chi ha alterato gli atti relativi all’elezione ( e cioè i moduli con le firme) ma anche a chi ne ha tratto beneficio. In via ipotetica si tratta dell’intera lista di candidati al consiglio comunale, in cui figurano molti futuri eletti alla Camera e all’Assemblea regionale siciliana.

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