Soltanto “imbecillità che non servono a niente” sulle “alici fritte”. Vincenzo De Luca segue la linea dettata dal partito. Freme il governatore della Campania, ma è costretto, dice lui, a mordersi la lingua sulle accuse che lo hanno investito dopo l’incontro in cui ha chiesto a 300 sindaci campani di portare voti alla causa del Sì imitando il sindaco di Agropoli, “notoriamente clientelare“. Sta “facendo training autogeno” per evitare di rispondere alle accuse rivoltegli dopo le parole pronunciate il 15 novembre all’hotel Ramada di Napoli, accuse che giudica degne dei “più grandi venditori di fumo al mondo”. Intanto però le sue frasi finiscono in procura: il M5s ha annunciato che presenterà un esposto ai magistrati partenopei contestando all’esponente del Pd lo “scambio elettorale politico-mafioso, previsto dall’articolo 416 ter del codice penale”. E il senatore Luigi Gaetti, capogruppo di turno dei pentastellati a palazzo Madama, chiederà l’acquisizione della registrazione pubblicata dal Fatto Quotidiano e porterà la questione anche in Commissione Antimafia.
“L’importante è che non stesse facendo dichiarazioni pubbliche. Mi è toccato anche difenderti”, scherzava Matteo Renzi il 19 novembre a Caserta, vedendo De Luca entrare in ritardo in sala durante una iniziativa a sostegno del Sì al referendum del 4 dicembre. Lo sceriffo ha preso alla lettera le parole del presidente del Consiglio e del caso non parla: “In questo momento sono vincolato al voto del silenzio“, ha spiegato il ras del Pd in Campania in un convegno a Napoli. “C’è un’ultima campagna moralizzatrice che è partita: l’ultima crociata contro il voto di scambio è la crociata contro le alici fritte di Agropoli – ha proseguito – non ho bisogno di farmi clienti, ma non posso ritornare sul voto di scambio. Una delle più grandi fatiche per una persona con il mio carattere è questo training autogeno che sto facendo e il martirio è non poterne parlare”.
“Non posso rispondere neanche a osservazioni che potrebbero avere significati mitico-allegorici – ha quindi gigioneggiato da par suo – l’Italia è quella del non fare, si può buttare il sangue per fare un progetto che costa anni di fatica. Basta una battuta e si avranno pagine di giornale. A me viene la depressione perché penso a come si lavora negli altri Paesi, a quante energie di dedicano a cose concrete e quanto siano cancellate da vita pubblica imbecillità che non servono a niente. Non è un caso che anche la natura sottolinei questa caratteristica: solo noi in Europa abbiamo due vulcani attivi, l’Etna e il Vesuvio, perché siamo i più grandi produttori di fumo al mondo”.
Solo fumo, quindi, le polemiche scaturite dalle frasi pronunciate a Napoli. “Battute“, secondo il Partito Democratico, o al massimo un tentativo di inseguire “gli estremi della sua caricatura”, per un Gianni Cuperlo uscito dalla riottosa minoranza e tornato nel grande recinto del renzianesimo militante. Ma cosa aveva detto De Luca il 15 novembre? Contando sul fatto che “non ci sono giornalisti”, aveva invitato i 300 amministratori pubblici che lo ascoltavano all’hotel Ramada a prendere come esempio “Franco Alfieri, notoriamente clientelare” per raccogliere voti alla causa del Sì: “Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Che cosa bella”, aveva scandito il governatore con la consueta enfasi. Applausi. “Ecco, l’impegno di Alfieri sarà di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4mila persone su 8mila – dettagliava De Luca – li voglio vedere in blocco, armati, con le bandiere andare alle urne a votare il Sì. Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu, ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso”.
L’ennesimo caso in cui De Luca ha deliziato la platea degli adepti con l’iperbolica retorica che gli è propria? Forse no, perché quello che De Luca derubrica al rango di “imbecillità”, la magistratura lo considera un reato. Secondo la procura di Vallo della Lucania, che il 2o marzo ha notificato l’avviso di conclusione indagini firmato dal procuratore Giancarlo Grippo, il sindaco Alfieri – che è consigliere del governatore per le questioni inerenti a caccia, pesca e agricoltura – avrebbe evitato di acquisire al comune di Agropoli appartamenti confiscati in cambio del sostegno elettorale dei proprietari di quei beni, un clan criminale a conduzione familiare. Al centro dell’inchiesta la mancata esecuzione della confisca di tre appartamenti alla famiglia Marotta, detti gli ‘zingari’, che avrebbe continuato a fruire di quelle case nonostante l’assegnazione dell’Agenzia dei beni confiscati al comune del Cilento. Secondo gli inquirenti, Alfieri avrebbe lasciato gli appartamenti nella disponibilità dei Marotta in cambio del sostegno elettorale della folta e variegata comunità rom di Agropoli.