Non ne avrei scritto. Troppo lungo e complesso. Poi ho letto alcuni articoli di colleghi, su altri giornali, solo preoccupati di dire una frase polemica, qualcosa che riesca a “bucare” l’indifferenza in cui spesso precipitano i loro articoli. Allora dirò solo due parole.
L’avventura di Fidel Castro e della rivoluzione cubana è una storia unica per la nostra vicenda umana. Cuba è stata il confine tra mondi, modelli, impostazioni. Una sutura e una ferita, in cui i lembi irritati non hanno mai smesso di guarire e riaprirsi. Un’isola a poche miglia dal più grande colosso mondiale che ha deciso di ribellarsi alla sua influenza e tentare una via propria. Giovani laureati che avevano un ottimo futuro personale decisero di stravolgere il proprio destino e quello delle loro famiglie per ribellarsi a un tiranno eterodiretto che aveva reso puttane le loro madri e le loro sorelle, e fatto merce dei loro cuori e delle loro speranze.
Fino a che non fu inevitabile e necessario, Cuba rimase autonoma e libera, neppure comunista, semplicemente unica. I giovani rivoluzionari si sparsero per le campagne insegnando a leggere e a scrivere a masse tenute nell’ignoranza. Cuba divenne uno dei luoghi più scolarizzati al mondo, nazionalizzò ciò che era stato svenduto a privati corruttori, organizzò un nuovo modello di sussistenza in cui istruzione, salute, sicurezza e dignità potessero essere garantite. Nessun paese in centro e sud America fece mai nulla di simile. Un laboratorio senza eguali, sopravvissuto a decenni di guerra fredda e aggressioni.
Poi, dall’epoca del crollo dell’Urss in avanti, quell’ispirazione andò perdendosi. La dittatura, la burocrazia orligarchica, umiliarono progressivamente i diritti civili fondamentali, perpetrando un tragico e violento ostracismo verso dissidenza, diversità, libertà, opinione. Una pena, per me e per molti, trovarsi a disprezzare ciò che si era amato e ammirato, ciò in cui si era sperato. Ma fu spesso inevitabile, dati i fatti, e le tante cause, le tante pur vere motivazioni di questa deriva autoritaria, rendono solo comprensibile il processo, non possono cambiare il giudizio.
Oggi molti si affrettano a scrivere, citando Fidel, che la storia non lo assolverà. Si vede che Cuba e una certa utopia egualitaria, resistente, libertaria, non vanno più di moda. Un atteggiamento penoso, monco, che non consentirebbe di capire Cuba a un marziano precipitato sulla Terra, e che non si addice a commentatori che ambiscano a sembrare illuminati.
Ricordo un grande cartello, appena fuori dall’aeroporto José Martì all’Havana. Colpì subito la mia attenzione. C’era scritto: Ante todo, tenemos dignidad (prima di ogni altra cosa, abbiamo una dignità). Per decenni è stato così, ed è già uno straordinario miracolo, che dovremmo ammirare e studiare. Come sappiamo oggi, sulla nostra pelle, la dignità conta quanto il cibo, quanto l’acqua, quanto e più della libertà, forse. Peccato che chi commenta la morte di Fidel non se ne ricordi, e così dimenticando, ne perda un po’.