La sentenza con cui il gup di Arezzo ha assolto l’ex presidente di Banca Etruria, Giuseppe Fornasari, l’ex direttore generale Luca Bronchi e il direttore centrale Davide Canestri ha già suscitato un coro di indignazione e di aspre polemiche, com’è naturale. Sul banco degli imputati c’erano banchieri ritenuti tra i responsabili del dissesto che ha poi portato all’azzeramento di azionisti e possessori di obbligazioni subordinate: migliaia di risparmiatori, in buona parte correntisti, indotti nella stragrande maggioranza dei casi ad acquistare titoli spacciati per sicuri e poi rivelatesi una trappola. Occorre chiarire, però, che la sentenza riguarda un filone d’indagine particolare, quello per ostacolo all’attività di vigilanza, e non le inchieste avviate dalla stessa procura per bancarotta e truffa e che riguardano anche i danni subiti dai risparmiatori, inchieste peraltro ancora in corso.
Il processo per rito abbreviato che si è appena concluso con un sonoro schiaffo alla procura e alla Banca d’Italia (unica parte civile ammessa) ci mette di fronte a un’evidenza: non c’è stato alcun ostacolo all’attività di vigilanza (“il fatto non sussiste”), anzi la banca ha fornito tutta la documentazione e gli elementi utili per valutare correttamente la contestata operazione di spin-off immobiliare. Questo significa che se quell’operazione – come sostenuto dall’accusa e dalla Banca d’Italia – è servita a dissimulare in un qualche modo le difficoltà finanziarie in cui versava l’istituto già nel 2012, Banca d’Italia aveva tutti gli elementi per accorgersene e bloccarla e non se n’è accorta, salvo contestare l’accaduto a cose fatte. Dunque se quell’operazione non andava bene c’è anche una responsabilità oggettiva di Via Nazionale.
Troppo spesso il reato di ostacolo all’attività di vigilanza è stato utilizzato dalle Authority per scaricare su altri le proprie responsabilità e omissioni, delle quali purtroppo quasi mai vengono chiamate a rispondere. Anche da questo punto di vista, il caso di Arezzo è un caso da manuale: non risulta che la Banca d’Italia e la Consob per i suoi profili (ad esempio, quelli relativi al collocamento di strumenti finanziari in violazione della Mifid), siano in un qualche modo coinvolti dalle indagini della solerte procura guidata dal consulente di palazzo Chigi, Roberto Rossi.
E qui veniamo ad un altro punto importante, molto più generale rispetto alla sentenza che ha assolto per questo specifico reato (ostacolo all’attività di vigilanza) i tre banchieri. Al di là del conflitto d’interesse potenziale o reale del procuratore che fa il consulente del governo Renzi e che indaga sulla banca legata a doppio filo alla famiglia Boschi, ha senso chiedersi se sia opportuno che a indagare su reati finanziari di questa gravità e importanza siano delle procure di provincia spesso sprovviste di specializzazione, di cultura, di mezzi adeguati per portare a termine indagini anche molto complesse. Quella che servirebbe è una Procura nazionale sul modello di quella Antimafia. E non è solo una questione di mezzi o di specializzazione: nelle realtà locali gli interessi spesso si intrecciano e questo può avere effetti devastanti: basti pensare a Vicenza, dove tutte le denunce presentate negli anni a carico di Zonin e della “sua” Popolare di Vicenza sono sistematicamente cadute nel vuoto, dove l’autorità di vigilanza ha chiuso per anni entrambi gli occhi e dove oggi – nonostante quello che è successo – le indagini paiono ferme, mentre Zonin indisturbato continua a fare i propri affari.
Le nuove norme sulle crisi bancarie – che ormai tanto nuove non sono più – avrebbero dovuto essere accompagnate da subito da misure tese a rendere più celere l’accertamento delle responsabilità e a inasprire le sanzioni e i risarcimenti a favore di chi ha patito dei danni, evitando così di perdere la fiducia dei cittadini che hanno subito l’azzeramento dei loro risparmi. Invece continua la frammentazione delle indagini e dei processi con il risultato che alla fine quasi nessuno pagherà per ciò che ha fatto, mentre il governo si guarda bene dall’emanare persino il decreto sugli arbitrati (atteso da luglio), impedendo così ai cittadini truffati di ottenere un ristoro in tempi celeri e a costi modesti.