C’era qualcuno che avrebbe potuto fermare l’uomo che diceva “Io sono Dio“? O impedire alla donna che istruiva il figlio undicenne sull'”omicidio perfetto” quello “farmacologico”, di avvelenare il marito fino alla morte? A leggere l’ordinanza di custodia cautelare che ieri ha portato in carcere Leonardo Cazzaniga, 60 anni, medico anestesista, e la sua amante, Laura Taroni, 40 anni, infermiera, la risposta è sì. Tanti, troppi nell’ospedale di Saronno, sapevano dell’esistenza del protocollo Cazzaniga, quello che prevedeva che pazienti anziani e fragili venissero terminati. E c’era anche chi sapeva che Massimo Guerra, il marito di lei, la quinta vittima, non era diabetico.

Ignorate le conclusioni della commissione interna sulle dosi eccessive
La commissione interna d’inchiesta – attivata dall’unica segnalazione di un’infermiera  che aveva capito che qualcosa non andava con quella “persona volgare nell’eloquio e aggressiva” – fu chiarissima, ma i vertici dell’ospedale non presero nessun provvedimento nei confronti del viceprimario di anestesia. “… Elemento degno di considerazione è la peculiarità dell’approccio terapeutico del dottor Cazzaniga oppiodi + benzodiazepine + ipnotici che non trova analogo riscontro nei casi analoghi selezionati trattati dagli altri medici del PS (Pronto soccorso)…. è indubitabile … che le dosi dei farmaci somministrati nei casi selezionati sembrano superare, in modo evidente, i valori indicati nel prospetto esemplificativo contenuto nelle linee guida della SIAARTI (società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva, ndr)”. Nonostante queste conclusioni la “direzione sanitaria della struttura – scrive il gip Luca Labianca – non adottava alcun provvedimento nei confronti di costui“. Ed è per questo che il pm di Busto Cristina Ria ha iscritto nel registro degli indagati altre dodici persone: undici sono medici. Tra loro Nicola Scoppetta, primario del pronto soccorso dove Cazzaniga poteva dire “faccio l’angelo della morte, e due direttori sanitari, l’attuale e il suo predecessore. Queste camici bianchi, che avrebbero dovuto tutelare la vita dei pazienti e che non hanno impedito la morte del marito della donna Massimo Guerra – a vario titolo rispondono di omessa denuncia, favoreggiamento personale, falso ideologico per aver certificato false patologie per convincere una delle vittime di una malattia inesistente: quel diabete di cui il marito dell’infermiera non soffriva e che, per chi indaga, è stato usato per avvelenarlo fino alla morte.

I testimoni: “Tutti in reparto hanno sentito parlare del protocollo”
L’infermiera che segnalò, Clelia Leto, poi si presentò in Procura. Era il 20 giugno del 2014. Ed è così che iniziata l’inquietante girandola di testimonianze che ha portato ad accuse da ergastolo. Raffaella Banfi, coordinatrice delle infermiere, era stata allertata dalla Leto. Al pm, il 23 agosto 2014, la dottoressa racconta di sapere dei problemi di alcuni infermieri con Cazzaniga che disponeva “terapie eccessive“, riferisce di ricordare che quegli infermieri gli avevano elencato casi in cui “il  paziente, sebbene non agonizzante, era poi deceduto” dopo le decisioni del medico. Anche lei sapeva del protocollo: “Ovviamente non si tratta un protocollo scritto né riguarda protocolli sanitari ministeriali. Per come mi è stato riferito si tratterebbe della gestione terapeutica dei pazienti un’aspettativa bassa di vita che nella visione di Cazzaniga dovrebbero essere aiutati a morire“.  Anche un’altra infermiera, Jessica Piras, al pm rivela l’esistenza del metodo conosciuto da tutti: “Sono stata testimone di quello che è noto a tutti come il protocollo Cazzaniga… Tutti in reparto e non solo hanno sentito parlare di questo protocollo. Ovviamente non è scritto e consiste nella somministrazione di farmaci sedativi ed anestetici in dose massiccia senza il supporto di funzioni vitali a pazienti cosiddetti fragili ovvero con una bassa aspettativa di vita per patologia o età. Ho personalmente sentito il dotto Cazzaniga parlare di pazienti che potevano rientrare in queste tipologie in questi termini: ‘Questo è un paziente perfetto da sottoporre al mio protocollo; questi puntualmente morivano poco dopo in Pronto Soccorso“.

Osserva il gip: “Cazzaniga aveva manifestato direttamente a colleghi e collaboratori i suoi metodi, anzi meglio il suo ‘protocollo’, per determinare in anticipo la morte di pazienti con speranza di vita medio-breve”. Nell’elenco del giudice almeno altri sette testimoni compreso l’infermiere che si rifiutò di somministrare le dosi prescritte dal medico a un paziente che ha raccontato che Cazzaniga parlava del suo metodo anche agli operatori del 118: “Va bene inviatelo e io applicherò il mio protocollo”. Tanti sapevano che esistevano pazienti che nella sua visione “non meritano di essere curati”, perché non gli sembrava “sensato produrre sforzi” per chi sarebbe morto a breve. Tutti che sapevano che Cazzaniga ripeteva: “Faccio l’angelo della morte” oppure “Io sono Dio”. L’assessore regionale alla Sanità Giulio Gallera, in una intervista a Radio24, ha spiegato che i due a gennaio erano stati allontanati dai nuovi dirigenti dopo il sequestro da parte dei carabinieri di 50 cartelle cliniche.

Cinque morti, ma le vittime potrebbero essere di più
Anche la dottoressa Simona Sangion, prima sentiva come teste e poi iscritta nel registro degli indagati, sapeva. Alla domanda del pm se sapeva del protocollo ammette: “Ne ho sentito parlare nell’ultimo anno direttamente dal dottor Cazzaniga in tre o quattro circostanze quando mi è capitato di essere in turno con lui in presenza di pazienti agonizzanti o in stato tumorale terminale. Con questo intendo dire che ho sentito Cazzaniga parlare ad alta voce di un paziente che si trovava in quelle condizioni e dire ‘con lui applichiamo il protocollo Cazzaniga. Per come ho interpretato queste parole, ritengo che si tratti del modo con cui il dottor Cazzaniga gestisce questi pazienti a cui probabilmente somministra farmaci per accelerarne la morte … Solitamente quando Cazzaniga è di turno si occupa dei casi più gravi, quelli con codice rosso. Mi sembra che tutti i casi in cui l’ho sentito parlare del suo protocollo si trattasse di pazienti accettati in codice rosso e quindi gravi ma non so dire se tutti agonizzanti”.

Fu la dottoressa Sangion che informò il primario Scoppetta di “un pasticcio” che avevano combinato i due amanti con il marito di lei con un campione di sangue (probabilmente di Cazzaniga poi alterato) che risultava con tasso glicemico da coma. L’uomo però era stato dimesso dalla stessa dottoressa su ordine di Cazzaniga nonostante quel valore altissimo. Scoppetta interpellato dalla Sangion su quanto avvenuto però non fece una piega dicendole che era tutto a posto. L’uomo “avvelenato” dalla moglie con farmaci messi anche nel “caffè” e nel “pesto”, il 30 giugno 2013 è morto. Ucciso, secondo la Procura di Busto, come Angelo Lauria, 69 anni, malato di tumore, Giuseppe Pancrazio Vergani, 71 anni, colpito dal morbo di Parkinson, Luigia Lattuada, 77 anni, anche lei aggredita da un cancro, Antonino Isgrò, 93 anni, cardiopatico, caduto dal suo letto e portato al pronto soccorso per un femore fratturato. Ma il numero di pazienti fragili e anziani potrebbe aumentare. Forse anche quello dei familiari della coppia spirati, il papà di lui e la mamma di lei. Non si sa quante siano le vittime sottoposte al protocollo Cazzaniga né quanti potevano vivere una intera vita o anche un solo giorno di più.

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