Loquace sui social network in silenzio davanti ai magistrati. Anche la deputata Giulia Di Vita si è avvalsa della facoltà di non rispondere davanti ai pm che indagano sulle firme depositate dal Movimento 5 stelle alle amministrative palermitane del 2012. Un interrogatorio lampo quella della parlamentare grillina, rimasta nella stanza del procuratore aggiunto Dino Petralia appena 12 minuti, in compagnia della sua legale, l’avvocato Antonina Pipitone. Un colloquio identico a quello degli colleghi deputati Riccardo Nuti e Claudia Mannino, anche loro indagati nell’inchiesta sulle firme false.
Anche il marito della Lupo non risponde ai pm – Subito dopo la deputata è stato l’attivista Riccardo Ricciardi ad avvalersi della facoltà di non rispondere. Ricciardi è il marito della deputata Loredana Lupo (non indagata ma interrogata solo come persona informata sui fatti): nel 2012 aveva materialmente depositato le firme a sostegno della lista del M5s, originariamente raccolte in alcuni moduli che contenevano un errore nel luogo di nascita di un indagato al consiglio comunale. Con il silenzio della Di Vita diventano tre, dunque, i parlamentari grillini che si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Sia Nuti, che Mannino e Di Vita hanno anche rifiutato di sottoporsi alla prova del “saggio grafico”. Gli inquirenti, infatti, stanno chiedendo a tutti gli indagati di scrivere su un foglio bianco una frase di fantasia: saranno poi i periti a stabilire se esistono somiglianze con la grafia delle firme depositate in municipio dal M5s. Una strategia difensiva che ha implicitamente provocato la sospensione dei tre dal M5s. Lunedì scorso, infatti, il neo eletto collegio dei probiviri – composto dai parlamentari Paola Carinelli, Nunzia Catalfo e Riccardo Fraccaro – ha decretato il momentaneo allontanamento dei deputati indagati dal gruppo pentastellato.
La giornata in procura – Una sospensione de imperio che è scattata anche per l’attivista Samantha Busalacchi, la prima ad avvalersi della facoltà di non rispondere davanti ai pm che però aveva accettato di rilasciare un campione della sua calligrafia ai magistrati. “Per quanto riguarda Nuti, Mannino e Busalacchi sono stati segnalati inoltre come comportamenti non conformi ai principi del MoVimento l’avvalersi della facoltà di non rispondere di fronte ai Pm e il rifiuto di procurare un saggio grafico (come appreso dalle agenzie di stampa)”, avevano scritto i probiviri motivando la sospensione dei quattro. Fino a quel momento, infatti, Di Vita era stata interrogata soltanto come persona informata sui fatti. Tre giorni dopo la sospensione è quindi comparsa nella veste di indagata al secondo piano del palazzo di giustizia di Palermo. “Non ho niente da dire”, è stata l’identica risposta fornita a tutte le domande dei cronisti che l’attendevano nei corridoi della procura. “Giustificarmi con i miei elettori? Lo farò quando voglio e come voglio: Chi vivrà, vedrà”, ha aggiunto Di Vita.
La difesa su Facebook – Poi, dopo il silenzio tenuto davanti a magistrati e giornalisti, la parlamentare ha scelto i social network per esprimersi. Un lungo post su Facebook dove ha confermato di essersi avvalsa della facoltà di non rispondere. Il motivo? “Da oltre 2 mesi, ormai, siamo sotto attacco mediatico e additati, più o meno esplicitamente, come dei delinquenti di terz’ordine, la feccia della politica, il disonore del Movimento 5 Stelle”, scrive Di Vita, aggiungendo: “Noi siamo innocenti. È stato sempre chiaro e lampante, fin dall’inizio, l’attacco pretestuoso nei nostri confronti, e quando abbiamo capito che la presunta ricopiatura delle firme non era un’accusa campata totalmente in aria ma cominciava ad apparire verosimile siamo stati i primi a preoccuparci e, diciamolo pure, a incazzarci, sia per il presunto errore/tremenda stupidaggine compiuta ma soprattutto per essere stati, addirittura, additati come i fautori della stessa! Da lì è cominciato, infatti, tutto un susseguirsi di colpi di scena (almeno per noi, per altri è invece un disegno già ben definito) che ci ha lasciati sgomenti, non per ultimo dal punto di vista umano, dato che gli inopinati protagonisti sono persone con le quali, per anni e prima che i rapporti si incrinassero a causa di sostanziali, e forse fisiologiche (?), divergenze politiche, abbiamo condiviso numerose battaglie e vere e proprie esperienze di vita. Essendo questo lo scenario ci ritroviamo davanti a un uovo di Pasqua, ogni giorno ci svegliamo con una nuova sorpresa, una nuova coltellata, una nuova accusa”. La deputata promette di sottoporsi in futuro “con molto piacere e determinazione, ai dovuti interrogatori, e tutto ciò che si riterrà necessario, quando tutti i giochi sottobanco saranno definitivamente messi sul tavolo e tutti i veleni saranno finalmente venuti a galla (e ci siamo quasi). Abbiamo sempre detto di essere a disposizione della magistratura, ed io infatti sono stata già sentita dai pm, quando sono stata convocata in qualità di persona informata dei fatti, per un’ora e mezza, rispondendo a tutte le domande e dando le informazioni che cercavano e di cui sono a conoscenza”. Quindi ecco quello che sembra una sorta di attacco ai parlamentari regionali e agli attivisti che hanno collaborato con i pm, autosospendendosi dal Movimento. “Mi è veramente difficile – scrive Di Vita – valutare il fatto che alcuni dei coinvolti si siano decisi a parlare, e così attendo di sapere cosa è realmente successo e con quali escamotage siano state tirate in ballo anche le persone ignare, non solo parlamentari che fa più notizia e scalpore (guarda caso) ma anche attivisti ed ex attivisti che la causa del M5S l’hanno ormai abbandonata da tempo per ragioni personali. La deputata conclude il suo post auspicando le dimissioni dei colleghi consiglieri regionali che si sono autoaccusati, rivendicando invece ancora una volta la sua innocenza e quella dei due parlamentari nazionali che invece sono stati sospesi de imperio dal Movimento. “Chi si è autosospeso – continua – a quanto pare, è chi si è autoaccusato o ha confermato le accuse. Mi sembra un passaggio sacrosanto a cui fare seguire quanto prima le dovute dimissioni, proprio per questo l’autosospensione di chi è stato accusato ingiustamente non sta né in cielo né in terra, questo ovviamente è il mio personale pensiero e il motivo per cui non ho proceduto ad autosospendermi nonostante i tanti distinguo del fuoco amico. La sospensione, incredibilmente, pare essere considerata la soluzione alla vicenda”.
Anche Nuti rompe il silenzio: “Io innocente” – Ha scelto i social network per rompere un silenzio durato giorni anche Nuti, ex capogruppo del M5s alla Camera. “Sono sempre il Riccardo Nuti che a Palermo ha lottato contro un intero sistema di potere, di mafia bianca e nera. Proprio quell’impegno, senza gloria e arricchimento, mi ha consentito di rappresentare una comunità e una speranza alla Camera dei Deputati. Da parlamentare ho proseguito la battaglia: senza risparmiarmi, esponendomi e facendomi nuovi nemici. Stessa battaglia che ho tentato di portare avanti per le prossime comunali. Oggi questa storia delle firme è come un contrappeso”, scrive su facebook l’ex capogruppo del M5s alla Camera. “La mia difesa – aggiunge – nel procedimento penale, mio diritto e dovere, proverà che sono estraneo ai fatti. Per il momento accetto in silenzio (presto se ne capirà il motivo) e con fatica quotidiana la gogna e gli insulti compiaciuti che mi piovono da settimane, convinto che le indagini della magistratura confermino la mia coerenza, il mio rigore morale e la mia affidabilità di uomo e politico. Allora sarò lo stesso Riccardo Nuti di sempre, quello che non abbassa mai la testa”.
Indagine al giro di boa – Con i due colloqui lampo di oggi, intanto, la procura di Palermo ha praticamente concluso gli interrogatori delle persone coinvolte nell’indagine. In totale fino ad oggi gli indagati nell’inchiesta sulle firme false sono 13. Di questi in otto hanno scelto la via del silenzio davanti ai magistrati: oltre ai tre parlamentari e gli attivisti Ricciardi, Busalacchi e Pietro Salvino (marito della deputata Mannino), anche l’avvocato Francesco Menallo, uscito dal M5s due anni fa, e Giovanni Scarpello, il cancelliere che ha autenticato le firme depositate dai pentastellati. In cinque, invece, hanno risposto alle domande dei magistrati: si tratta dei deputati regionali Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio – che hanno collaborato con i pm e si sono autosospesi subito dopo la richiesta di Beppe Grillo – e gli attivisti Giuseppe Ippolito, Stefano Paradiso e Alice Pantaleone. Quest’ultima ha parlato con i magistrati respingendo ogni accusa, negando di essere presente al meet up di via Sampolo la notte del 4 aprile 2012, quando le firme sarebbero state ricopiate.