“Meno soldi al calcio”: il cerchio aperto due anni fa con lo storico taglio di fondi pubblici alla Figc si chiuderà questa settimana. Il Coni si prepara ad approvare i nuovi criteri di distribuzione dei finanziamenti alle Federazioni sportive: questione di vita o di morte per la maggior parte delle discipline praticate nel nostro Paese, che in molti casi dipendono interamente o quasi dal contributo pubblico; in ballo ci sono circa 140 milioni di euro per lo sport italiano.
La riforma prevede una serie di innovazioni (ad esempio su valutazione dei risultati internazionali e calcolo dei tesserati), ma soprattutto si applicherà per la prima volta anche alla Federcalcio (fin qui aveva ricevuto sempre un trattamento di favore). Il risultato è che il pallone dovrebbe perdere altri soldi, a favore degli sport minori: ancora non ci sono numeri ufficiali, ma si parla di una cifra vicina ai 10 milioni di euro. Così negli ultimi 5 anni la Figc vedrebbe più che dimezzati i suoi contributi: dai circa 80 milioni del 2011 a meno di 30. Anche se parte di queste risorse uscite dalla porta rientreranno dalla finestra: il governo ha appena approvato un emendamento Pd al decreto fiscale che permetterà alla Federazione di Carlo Tavecchio di tenersi quella quota di diritti tv che fino a ieri veniva destinata a finanziare giovanili e altre discipline. La soluzione al problema sembra già trovata.
Nel 2014 il primo taglio – La rivoluzione parte da lontano, dal 2014, quando i cosiddetti “sport minori” (capeggiati dall’Atletica leggera del presidente Alfio Giomi) si erano ribellati contro il calcio, che fino ad allora aveva preso il 18% del totale dei contributi pubblici al Coni: una percentuale fissa che si traduceva in un finanziamento pari alla metà di quanto destinato a tutte le circa 50 Federazioni sportive italiane. All’epoca uno storico Consiglio nazionale del Comitato olimpico aveva votato un taglio netto di 25 milioni di euro (la prima proposta era stata ancora più severa, quasi il doppio). Ma in quella sede si era deciso anche di stabilire dei nuovi criteri che sarebbero valsi per tutti in futuro. Per due anni ci ha lavorato una commissione composta da una decina di presidenti, compreso Carlo Tavecchio (che però alle riunioni si è fatto vedere giusto un paio di volte). Ora il dossier elaborato da quel tavolo tecnico è pronto: arriverà venerdì in Giunta Coni e farà sicuramente discutere.
Più valore ai piazzamenti – Ilfattoquotidiano.it è in grado di anticipare in esclusiva i criteri con cui già dal 2017 verranno distribuiti i fondi Coni alle Federazioni: una torta da circa 140 milioni di euro, sul totale dei 410 milioni che ogni anno lo Stato destina allo sport italiano. La novità principale, probabilmente, riguarda il calcolo della performance nelle gare internazionali (Olimpiadi, Mondiali, Europei), che acquista più peso, e soprattutto non contemplerà più soltanto i podi come avveniva in passato, ma tutti i piazzamenti dal primo all’ottavo posto. “Un modo per valutare meglio lo spessore del movimento che non è formato solo dai campioni”, spiegano i sostenitori del provvedimento.
“Un riconoscimento ingiusto a chi non vince mai nulla”, risponde chi invece da questa riforma ci rimetterà. Di certo a guadagnarci saranno più di altri atletica, canoa e canottaggio. La commissione ha deciso di affrontare di petto anche un altro problema di vecchia data: il numero dei tesserati, che spesso veniva gonfiato a dismisura includendo semplici amatori al fine di ottenere più contributi. D’ora in poi potranno essere considerati utili al calcolo dei finanziamenti soltanto gli iscritti che hanno un certificato medico agonistico e hanno versato una quota per il tesseramento. Così, per fare un esempio, il tennis scenderà da quasi 300mila a 185milla tesserati, la pesca sportiva da circa 200mila a 100mila.
“Tesoretto” nelle mani di Malagò – Questi sono solo alcuni dei nuovi parametri alla base del complesso algoritmo che verrà svelato presto. La commissione ha scelto di lavorare sui “principi”, senza una proiezione di quale sarà la prossima ripartizione. Ma è chiaro che ci saranno delle Federazioni che ci guadagneranno, e altre che usciranno con le ossa rotte dalla riforma (non è neanche difficile immaginare quali). Perciò il testo comprende anche dei correttivi: innanzitutto nessuna disciplina potrà beneficiare di un incremento delle risorse superiore al 30%; l’eccedenza verrà ridistribuita tra gli sport più penalizzati. Inoltre il 20% del totale (circa 30 milioni di euro) resterà nelle mani del presidente Giovanni Malagò, per compensare situazioni di eccessivo squilibrio. Questo però solo per i prossimi tre anni: dal 2020 ognuno dovrà camminare sulle proprie gambe.
Paracadute per il calcio – Fra i più preoccupati c’è sicuramente la Federcalcio, nonostante il sistema preveda alcuni criteri che la aiuteranno ad attutire il colpo (appunto i tesserati, che per il calcio sono tutti veri e sono più del triplo di qualsiasi altra disciplina; oppure il nuovo parametro della visibilità sui media, su cui il pallone non ha rivali). “Abbiamo già dato”, dice Tavecchio, convinto di non essere penalizzato ulteriormente. Ma per il semplice fatto di rientrare nel calcolo come tutti, la Figc perderà altri soldi, dopo quelli già sfumati nel 2014: l’ipotesi è di un’ulteriore sforbiciata da circa 10 milioni di euro.
Stavolta, però, i vertici del pallone italiano si sono mossi per tempo. Qualche settimana fa la Commissione bilancio ha approvato un emendamento al decreto fiscale (firmato dal Partito Democratico) che abolisce la Fondazione per la mutualità degli sport di squadra (recentemente al centro di diversi scandali), per cui il 10% dei soldi dei diritti tv per il campionato di Serie A veniva ridistribuito anche ad altre discipline. Circa 120 milioni, che adesso resteranno nel mondo del pallone, tra Serie B, Lega Pro e Dilettanti. In particolare l’1% di questa somma finirà direttamente nelle casse della Federcalcio, che prima non prendeva nulla. Parliamo di 12 milioni di euro, spicciolo più, spicciolo meno: secondo fonti ben informate, questa cifra dovrebbe pareggiare il taglio ai contributi Coni, riportando in pari il bilancio. “Meno soldi al calcio”, sì, ma senza esagerare.
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