È un cittadino dominicano di 26 anni l’uomo fermato dalla polizia per l’omicidio di Antonio Rafael Ramirez, il 37enne di Santo Domingo ferito a morte con coltellate e con un colpo di pistola la sera del 12 novembre scorso in piazzale Loreto, a Milano per questioni legate allo spaccio di strada. Le indagini, coordinate dal pm Piero Basilone, hanno consentito di accertare che dopo l’omicidio del connazionale l’uomo si è rifugiato in una villetta di Bettolle (Siena), dove è stato catturato dagli agenti della Squadra mobile milanese, assieme ai colleghi di Siena.
Il 26enne è stato individuato in Toscana nella notte tra il 5 e il 6 dicembre, scampato di un soffio all’arresto in un appartamento in zona via Padova, a Milano, ma ormai gli investigatori ormai lo avevano agganciato. Un episodio, quello di piazzale Loreto, da cui scaturì la richiesta al governo del sindaco di Milano Giuseppe Sala di avere più militari per presidiare le periferie. La vittima non risultava legata ad alcuna pandilla, per questo c’è stata sempre molta cautela sull’ipotesi di un regolamento di conti tra gang di latinos, e non aveva precedenti, il sospetto è sempre stato quello che l’omicidio fosse legato allo spaccio in zona. È per questo che una delle piste seguite è stata quella di un’aggressione feroce per punire uno sgarro tra pusher. “Non ci sono riferimenti alle gang di latini – ha spiegato il dirigente della Squadra Mobile, Lorenzo Bucossi, durante la conferenza stampa in Questura -. Per quanto accertato finora si tratta di una vicenda nata nel contesto del medio spaccio di droga”. “Tra gli aggressori e la vittima c’era un affare in sospeso per mezzo chilo di cocaina”, ha precisato Achille Perone, a capo della sezione omicidi. “La risposta è arrivata e doveva arrivare su un fatto grave, avvenuto in centro in un’ora molto frequentata. È un primo passo per ristabilire, oltre che le responsabilità del crimine, la serenità dei cittadini”, ha aggiunto il questore di Milano, Antonio De Iesu.
La scena registrata dalle telecamere del Comune e di una filiale di banca lasciano pensare che la brutalità nascondesse qualcosa di più profondo della semplice lite di strada. Quella sera sono stati in due a colpire Ramirez: l’uomo fermato in Toscana e un altro sudamericano che, secondo indiscrezioni, avrebbe lasciato l’Italia ma non l’Europa. Resta tutto top secret, le indagini sono ancora in corso. Durante l’interrogatorio con il pm Piero Basilone, Ozuna ha anche spiegato che il movente non è legato a un regolamento di conti tra gang ma che si è trattato soltanto di una questione di droga.
I tre avevano discusso mesi prima per quel mezzo chilo di coca. Si sono ritrovati il giorno prima dell’omicidio in via Curiel, a Rozzano. L’incontro non è andato bene, da qui il piano per eliminare il connazionale. I due sono andati decisi all’obiettivo, lo hanno affrontato davanti a un barbiere in via Padova senza pronunciare una parola, si sono trascinati fino in piazzale Loreto incuranti dei passanti, delle tante telecamere del Comune e della banca. Ozuna indossava un cappello da cowboy, a riprova della totale incoscienza. Lo stesso cappello visto dagli investigatori in alcune foto del suo profilo Facebook disattivato a poche ore dall’aggressione. Come dimostrano le immagini è il 26enne ad aver sparato mentre il complice ancora in fuga, ha accoltellato la vittima. “Dopo aver esploso i due colpi ha raccolto i bossoli – ha continuato Bucossi – Una premura non da poco. La pistola, una Beretta 7.65 non risulta rubata (sono in corso accertamenti, ndr) è stata nascosta in una zona industriale dismessa a Pioltello, dove ha parenti. È stato Ozuna ad aiutarci a ritrovarla”.
Gli investigatori hanno creato una fitta rete di controllo attorno ai contatti del dominicano, hanno atteso e infine sono stati premiati. A tradirlo è stata la telefonata d’aiuto a un amico per espatriare e la ricarica telefonica a Bettolle. Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre (ma la notizia si è appresa ieri) gli agenti hanno circondato la casa, lui ha provato inutilmente a nascondersi in bagno. Nell’abitazione un cellulare smontato per evitare l’individuazione attraverso le celle, e una parrucca da usare per continuare la fuga.
Ramirez è morto due giorni dopo all’ospedale San Raffaele, non sono bastate le due operazioni per asportargli un rene e una parte del colon. Gli assassini hanno usato quelle 48 ore per pianificare la latitanza sfruttando la rete di amici e conoscenti. La politica, invece, ha aperto un dibattito sul tema sicurezza che si è concluso con la decisione del ministro Alfano di inviare a Milano altri 150 militari.