Archiviato il referendum, passa la paura. Anche dalle parti di Confindustria. Così il Centro studi di viale dell’Astronomia, che a luglio aveva previsto l’apocalisse in caso di vittoria del No, ora non solo ammette che quelle stime – boom della povertà, crollo dei posti di lavoro – erano largamente esagerate, ma rivede addirittura al rialzo le stime sul pil e al ribasso quelle sul tasso di disoccupazione. Non è più tempo di catastrofismo, insomma: se restano incognite legate alla stabilità del nuovo esecutivo Gentiloni, la “maggiore flessibilità nel rapporto deficit pil previsa dalla legge di Bilancio” e il “forte effetto leva sugli investimenti in macchinari creato dagli stimoli fiscali” promettono ora, secondo il Centro studi guidato da Luca Paolazzi, di dare slancio alla crescita.
I nuovi numeri sono nero su bianco nel rapporto La crisi a un punto di snodo presentato mercoledì a Roma: vi si legge che il pil crescerà dello 0,9% quest’anno contro il +0,7% stimato nel report precedente (diffuso a settembre) e dello 0,8% nel 2017 (la previsione precedente era +0,5%). Ulteriore accelerata, all’1%, nel 2018. Un bel salto rispetto alle stime di luglio, quando il Centro studi sosteneva che in caso di bocciatura della riforma costituzionale il pil sarebbe calato dello 0,7% nel 2017 e dell’1,2% nel 2018, salendo dello 0,2% solo nel 2019. Il pil pro capite, “una misura di benessere”, avrebbe dovuto poi “calare di 589 euro”, con conseguente “aumento di 430mila persone in condizione di povertà“.
Invece, a sorpresa, ora si registra “una dinamica trimestrale più robusta di quella attesa per quest’anno e per gli effetti espansivi delle recenti misure governative”. La spesa delle famiglie dopo la crescita dell’1,5% del 2015, salirà dell’1,4% quest’anno, dell’1% nel 2017 e dello 0,8% nel 2018, grazie all’incremento in termini reali del reddito disponibile (+1,2% nel 2017 e +0,9% nel 2018) e all’andamento del credito alle famiglie. Quanto al mercato del lavoro, Confindustria si attende un aumento di 905mila occupati tra l’ultimo trimestre 2013 e la fine del 2018, restando inferiore di 1,1 milioni di unità rispetto al massimo registrato a inizio 2008. Ma il tasso di disoccupazione l’anno prossimo calerà dall’11,4 all’11% (stime riviste entrambe al ribasso) e nel 2018 si ridurrà al 10,5%. A luglio, gli analisti di viale dell’Astronomia sostenevano al contrario che la bocciatura della riforma avrebbe fatto diminuire l’occupazione “complessivamente di 258mila unità, mentre altrimenti salirebbe di 319mila”.
Sullo sfondo restano ovviamente i rischi al ribasso legati al nuovo governo (“un’instabilità politica depotenzierebbe gli stessi incentivi agli investimenti”), alla Brexit, alla vittoria di Trump negli Usa e alle elezioni in calendario in Italia (ancora da capire quando), Francia, Germania e Olanda. Ma non sembra che l’Italia sia subito precipitata nel baratro come ventilato durante la campagna elettorale. La scelta di dar vita ad un nuovo governo ha scongiurato lo scenario che il Csc riteneva peggiore, quello di elezioni immediate. E la recessione appare “ormai lontana”, nonostante “un contesto di arretramento del benessere e di sfilacciamento sociale e politico che non ha precedenti nel dopoguerra” e l’imminente rincaro del petrolio che insieme al ritardo accumulato nel confronto internazionale potrebbe minare lo sviluppo futuro dell’economia italiana.
Per crescere a ritmi più elevati, scrive ancora il Csc, “è indispensabile mantenere alta la tensione verso la questione industriale”. In una parola “bisogna evitare che l’attuazione del piano Industria 4.0“, leggi maxi incentivi fiscali per le imprese che investono in macchinari e tecnologie, “finisca su un binario morto” e che le politiche attive del lavoro sbiadiscano. Gentiloni è avvertito: dal governo-fotocopia gli industriali si aspettano continuità sulle politiche di sostegno agli investimenti. Ora per Confindustria inizia poi un’altra battaglia: quella per il no al referendum per l’abolizione di alcune norme del Jobs act, sulla cui ammissibilità la Consulta si pronuncerà il prossimo 11 gennaio. Secondo il numero uno Vincenzo Boccia aggiunge “nuova incertezza e aggrava l’ansia del Paese”. Il numero uno degli industriali, chiudendo il convegno, ha spiegato: “Se il referendum arriva cosa accade? Io imprenditore attendo e non assumo. Questi sono i capolavori italiani dell’ansietà e dell’incertezza totale”.