D.i.Re donne in rete contro la violenza ieri, sulla sua pagina Facebook, ha espresso solidarietà e vicinanza alla donna che ha subito uno stupro di gruppo nella sede della Raf (rete nazionale antifascista) a Parma. I fatti, accaduti nel 2010, sono raccontati sul blog personale di Eretica dal comunicato delle Romantic Punx, che ha portato alla luce una violenza sessista che suscita orrore e disgusto. Se le violenze fossero avvenute negli ambienti di destra che la Raf parmense combatteva, gli stupratori oggi sotto processo forse avrebbero condannato con indignazione una violenza sessuale di stampo fascista.
Invece sullo stupro avvenuto nella sede della rete nazionale antifascista, per anni è calata l’omertà e la vittima è stata oggetto di ostracismo e derisione da parte di uomini e donne di quel collettivo, solidali con gli aggressori. Una violenza che si è ripetuta negli anni, ogni volta che il video in cui è stato filmato lo stupro è passato di cellulare in cellulare, guardato con compiacimento o indifferenza. La cultura del femminicidio ha sempre le stesse caratteristiche e dinamiche sia che accada in ambienti fascisti o in quelli che si dichiarano antifascisti. A destra come a sinistra, nell’emarginazione e in contesti di agiatezza sociale. La normalità dello stupro e della violenza contro le donne è trasversale ma quando avviene nei luoghi che crediamo siano liberi dal sessismo ci coglie l’imbarazzo e il disorientamento. E forse è improprio etichettarla solo come violenza fascista e dobbiamo guardare oltre. Scavare fino alle radici del sessismo e dell’odio per le donne e per i loro corpi, comprendere come si costruisce l’identità maschile e femminile, spezzare quelle alleanze tra uomini che si fondano e si rafforzano sull’esclusione delle donne: relegandole al silenzio, cancellandone la storia e l’identità, imponendo loro ruoli prestabiliti, investendole col disprezzo, con la denigrazione, con l’umiliazione fino alla conseguenza estrema, l’uso della violenza.
Sono decenni che il movimento delle donne contrasta la cultura del femminicidio che resiste oggi con rinnovata forza e si rivela nei luoghi dedicati all’antifascismo o in quelli che si definiscono progressisti o persino si credono rivoluzionari purché la rivoluzione non coinvolga i rapporti di potere tra uomini e donne.
Monica Lanfranco lo aveva già scritto nel 2013 (E se i compagni antagonisti fossero violenti?) raccontando con amara ironia che nel 2001, durante il primo Global Forum di Porto Alegre in Brasile, nella “generale gestione democratica del grande evento si erano verificati stupri” mentre nel settembre del 2013 a Milano, durante l’occupazione temporanea dell’Acqua Potabile da parte del Centro Sociale Zam, tre donne erano state prese a calci e a pugni. Alcuni giovani militanti avevano reagito con rabbia e violenza, irritati dall’inaspettata presenza delle donne che avevano “invaso” uno spazio riservato a maschi.
Anche nel 2013 come oggi, sono state alcune donne a rompere il silenzio e l’omertà, buttando alle ortiche quell’antico motto per cui “i panni sporchi si lavano in famiglia” che vuole sia tutelato il gruppo di appartenenza prima del diritto di una donna a non essere umiliata e violata. Ma qualcosa sta maturando ed è l’esigenza che l’antisessismo sia centrale nei movimenti politici giovanili.
Il 27 novembre prima dell’assemblea plenaria all’Università La Sapienza a Roma organizzata da #NonUnadiMeno (il giorno dopo la manifestazione) si erano aperti otto tavoli di discussione. Uno di quei tavoli era stato fortemente voluto dalle donne ed era dedicato al sessismo nei movimenti. “Una intuizione che si è rivelata preziosa”, ha scritto ieri nel comunicato D.i.Re, “una riflessione cruciale proprio perché solleva il velo sui comportamenti maschili violenti che si riproducono in qualunque contesto, anche in quelli che si vogliono radicali e progressisti”. In quel tavolo erano stati individuati tre obiettivi: riconoscere e nominare la violenza e il sessismo e sviluppare pratiche condivise di prevenzione e di gestione e reazione; destrutturare le dinamiche sessiste e di potere all’interno dei processi decisionali e nelle pratiche del movimento; legittimare la politica dell’antisessismo rendendo strutturale il discorso e le pratiche antisessiste all’interno delle lotte. Deve essere chiaro per tutte e tutti che non esiste nessuna democrazia senza la partecipazione e l’inclusione delle donne e il rifiuto incondizionato della violenza che si esercita per affermare il potere.
@nadiesdaa