Angela Merkel china la testa e compie il primo passo indietro sulla politica delle porte aperte ai migranti. Quello che sembrava un dogma del programma della cancelliera tedesca, costatole attacchi da parte di opposizioni e di alcune frange del proprio partito (Cdu), è stato abbattuto il 15 dicembre con il primo rimpatrio forzato di 34 cittadini afghani che si sono visti respingere la richiesta di asilo politico. “Accoglieremo centinaia di migranti da Italia e Grecia”, aveva assicurato a fine settembre. Ma la continua ascesa del partito nazionalista Alternative für Deutschland (AfD), in vista delle elezioni di settembre 2017 per il rinnovo del Bundestag, ha convinto Merkel a fare un passo indietro su un tema che le ha causato una perdita di consensi interni. Rimpatri anche da Svezia, Norvegia e Bulgaria, “ma non esiste il rischio di un effetto domino – dice a ilfattoquotidiano.it Francesco Cherubini, ricercatore di Diritto dell’Unione Europea all’Università Luiss Guido Carli di Roma – I rimpatri forzati costano troppo”.

Le elezioni 2017 fanno paura, Angela Merkel mette un freno all’accoglienza
L’accordo di ottobre tra Unione Europea e governo dell’Afghanistan aveva già destato preoccupazione tra coloro che si dichiarano contrari ai rimpatri forzati. Kabul e Bruxelles hanno trovato un punto d’incontro per il rientro degli irregolari. In cambio, anche se l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha negato un collegamento tra i due accordi, Bruxelles si è impegnata a stanziare 13,6 miliardi di euro di aiuti per lo sviluppo del Paese asiatico, con la Germania capofila (1,7 miliardi).

Accordi che anche Angela Merkel ha deciso di sfruttare. Con le elezioni per il rinnovo del Parlamento tedesco fissate per il prossimo autunno, il calo di consensi che l’aveva vista scendere fino al 32% e l’ascesa del malcontento cavalcato dal partito nazionalista AfD, dato al 13%, la cancelliera si è vista costretta ad ammorbidire la sua posizione sul tema rifugiati. Dopo la rielezione ai vertici della Cdu, ha dichiarato che cercherà di vietare il burqa in Germania, ha specificato che i criteri per l’accoglienza sono più restrittivi rispetto al passato, con il 35% delle richieste d’asilo che non viene accolta, fino all’ultima decisione di rimpatriare i 34 cittadini afghani. Un cambio di rotta che lascia trasparire una preoccupazione per l’ascesa dei partiti nazional-populisti in tutta Europa che le forze tradizionali non possono più ignorare, neanche il più solido degli esecutivi europei.

Effetto domino? No, i rimpatri forzati costano troppo”
La decisione del governo tedesco rischierebbe di creare un precedente favorevole a tutti i governi che hanno nella politica anti-immigrazione il loro punto di forza o che devono contrastare le forti opposizioni nazionaliste. Negli ultimi giorni, anche Svezia, Norvegia e Bulgaria hanno rimpatriato un totale di 162 cittadini afghani. “In teoria sì, ma in pratica non credo sia possibile pensare ai rimpatri forzati come a una costante – continua Cherubini – questo per due motivi: sono molto costosi ed è necessario un monitoraggio preciso e continuativo di tutti gli immigrati irregolari presenti nel proprio Paese”. Il ricercatore continua spiegando che un accordo come quello Ue-Afghanistan non stravolge la situazione rispetto al passato: “L’Unione Europea e i singoli Stati hanno accordi sui rimpatri con decine di Paesi – dice Cherubini -, solo che non sono mai riusciti a metterli in atto o non gli è mai convenuto. La percentuale dei rientri in rapporto agli irregolari rilevati è da sempre intorno al 30% e i rimpatri volontari rappresentano la netta maggioranza (solo quest’anno, diecimila afghani sono tornati dall’Europa nel loro Paese, ndr). Il provvedimento del governo tedesco, come quello degli altri esecutivi coinvolti, deve essere letto come un’azione di propaganda politica e non come una formula valida per risolvere l’emergenza immigrazione”.

Twitter:@GianniRosini

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