Sono passati dieci anni dalla morte di Piergiorgio Welby, ma oggi in Italia decine di malati terminali sono ancora in attesa di una legge sul fine vita. Dal 2006 oltre a dibattiti pubblici, discussioni e polemiche poco altro è stato fatto: il tema è sempre rimasto fuori dai radar della politica. Solo nell’ultimo anno in Parlamento qualcosa sembra essersi mosso, seppur lentamente. Il 7 dicembre è stato approvato dalla Commissione affari sociali della Camera la proposta di legge sul testamento biologico.
Il testo base, che unifica 15 proposte in materia, è stato approvato all’unanimità e ora c’è tempo fino al 12 gennaio per gli emendamenti. Poi potrà partire l’iter alle Camere per arrivare, sperano i Radicali, ad avere il via libera prima della fine della legislatura. Alla base, ha spiegato la relatrice Donata Lenzi del Pd, c’è “il rispetto della volontà del paziente”, che “è vincolante per il medico e lo esime da responsabilità“. Dunque al cittadino viene riconosciuto il diritto a vedere rispettate le proprie dichiarazioni anticipate di trattamento, anche se si tratta di sospensione della nutrizione e della idratazione artificiale.
“E’ un buon testo – commenta Marco Cappato, esponente dei Radicali, promotore della campagna Eutanasia legale e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni – Anche se migliorabile”. E se oggi in Parlamento si parla di testamento biologico e diritti del malato è anche merito di Welby, che ha scelto di fare della sua esperienza di vita uno strumento di battaglia collettivo. “Non dobbiamo pensare a lui come un caso umano di una singola persona – ricorda Cappato – la sua fu una battaglia politica di un presidente (dell’Associazione Luca Coscioni, ndr) che si è battuto con noi per conquistare il suo diritto e quello di tutti”.
Ma se oggi la strada del testamento biologico sembra aperta, c’è anche una proposta di legge sull’eutanasia che invece è ferma in Parlamento. Si tratta di quella di iniziativa popolare depositata nel 2013 dai Radicali e dall’Associazione Luca Coscioni, che ha come prima firmataria la vedova di Welby, Mina Welby. Il testo si compone di 4 articoli. Prevede, tra le altre cose, il diritto del cittadino “di rifiutare l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari”, compreso “il trattamento di sostegno vitale e/o terapia nutrizionale”, l’obbligo del medico a rispettare la volontà del paziente. Mentre l’articolo 4 chiarisce che “ogni persona può stilare un atto scritto”, con il quale “chiede l’applicazione dell’eutanasia”.
“A marzo – spiega ancora Cappato – è partito l’esame in commissione congiunta Giustizia e Affari sociali, ma poi si è bloccata, perché nessuno ha la volontà di mandarla avanti. Non credo ci sia possibilità di arrivare a un risultato in questa legislatura”. In Europa l’eutanasia è legale nei Paesi Bassi, in Belgio e in Lussemburgo, mentre in Svizzera lo stato consente quello che viene definito il “suicidio assistito”. In Italia invece una norma che regoli la materia è completamente assente. “Il problema è il ceto politico, non gli italiani. Tutti i sondaggi dicono che sono a favore dell’eutanasia e del testamento biologico, e questo a prescindere dall’appartenenza politica. Basti pensare che la prima proposta di legge risale a 30 anni fa. Il Paese quindi è maturo, ma manca la volontà politica”.