La riapertura dei termini per la conversione dei bond subordinati non è bastata: dai primi dati sull’operazione che si è conclusa mercoledì 21 alle 14, le adesioni si sarebbero collocate intorno al miliardo di euro (probabilmente al di sotto del miliardo) che, sommate al miliardo e qualche spicciolo raccolto presso gli investitori istituzionali, portano il totale intorno ai 2 miliardi di euro. Sembra molto, ma non basta dato che il Monte dei Paschi di Siena deve raccogliere complessivamente 5 miliardi di euro e l’aumento di capitale non è supportato da alcun consorzio di garanzia (le banche si sono sfilate ormai da tempo), e di investitori stabili disposti a sottoscrivere le nuove azioni non ce n’è neanche uno. Il fondo sovrano del Qatar, di cui molto si è parlato nei mesi scorsi, è sparito dai radar, così come tutti gli altri investitori “potenziali”.
Dunque, come scritto da mesi, alla fine toccherà allo Stato intervenire aprendo quell’ombrello da 20 miliardi appena approvato dal Parlamento. L’intervento verrà realizzato nei prossimi giorni, forse addirittura già giovedì sera, dopo che l’istituto senese avrà comunicato di non essere riuscito a raccogliere i capitali sul mercato (l’operazione di aumento di capitale si chiuderà ufficialmente giovedì 22 alle 14). Come si configurerà questo intervento e quanti miliardi di euro assorbirà è però ancora tutto da vedere. Così come è da vedere se con l’intervento si riuscirà a evitare la risoluzione dell’istituto senese.
L’aumento di capitale, infatti, è solo un elemento (e nemmeno il più importante) di un’operazione complessiva di messa in sicurezza della banca, un salvataggio che passa dalla cessione di 27,1 miliardi di crediti in sofferenza e dalla loro cartolarizzazione. Il fondo Atlante gestito da Quaestio sgr è il fulcro su cui si basa l’intera operazione e nei giorni scorsi aveva sollevato “forti perplessità e tematiche” riguardo ai termini del contratto siglato da MontePaschi per ottenere da Jp Morgan il prestito ponte necessario a realizzare entro la fine dell’anno la cessione delle sofferenze. Perplessità poi rientrate il 20 dicembre, quando Quaestio ha sottoscritto l’impegno formale a investire oltre 1,5 miliardi nella tranche mezzanina della cartolarizzazione. Ma le condizioni messe nero su bianco da Quaestio per dare luogo a questo impegno prevedono alcuni vincoli. Tra questi, secondo il supplemento al documento di registrazione pubblicato mercoledì mattina dal MontePaschi, c’è quello che l’aumento di capitale “preveda una adesione da parte dello Stato complessivamente non superiore a euro 1 miliardo senza misure di sostegno finanziario pubblico straordinario o altre forme di intervento pubblico previste ai sensi del decreto legislativo Brrd (quello sulle risoluzioni bancarie che prevede il bail-in, ndr)”. Dunque, o Quaestio ci ripensa e rinuncia a questa condizione, oppure con l’intervento dello Stato viene contestualmente meno il ruolo e l’impegno del fondo Atlante e salta l’intera operazione di salvataggio. In realtà, in serata un comunicato della stessa Quaestio ha precisato che, “come già rappresentato formalmente al Consiglio di Amministrazione di Bmps sin dal 10 dicembre”, il fondo Atlante “rimane disponibile a realizzare il piano di cartolarizzazione degli npl, peraltro già sostanzialmente definito nel prezzo e in tutte le sue fasi di implementazione, senza senior bridge financing, anche qualora ci fosse un intervento dello Stato nel capitale, nelle modalità e nei tempi che il Consiglio di amministrazione di BMPS vorrà considerare”.
Una precisazione che contiene due notizie. La prima è che mercoledì MontePaschi ha diffuso un documento incompleto e fuorviante (che ha contribuito ad accentuare il crollo del titolo in Borsa) in quanto non fa menzione della disponibilità manifestata da Atlante ad andare avanti in ogni caso, disponibilità “rappresentata formalmente al Consiglio di Amministrazione di Bmps sin dal 10 dicembre”. E su questo dovrebbero intervenire le autorità preposte, tra cui la magistratura. La seconda notizia, persino più importante, è che Atlante prefigura un’operazione sui non performing loans senza il finanziamento ponte erogato da Jp Morgan (il senior bridge financing di cui si parla nel comunicato di Quaesto). Cosa significa questo? Poiché la cessione dei crediti in sofferenza alla società veicolo deve essere effettuata entro il 31 dicembre e poiché non è possibile realizzarla senza un finanziamento, l’ipotesi avanzata da Quaestio fin dal 10 dicembre è che probabilmente lo Stato (o chi per lui) dovrà accollarsi non solo la copertura dell’aumento di capitale da 5 miliardi, ma anche i 9 e rotti miliardi che il MontePaschi dovrebbe incassare dalla cessione alla società veicolo di 27,1 miliardi di sofferenze lorde. Cioè stiamo parlando di quasi 15 miliardi e ciò torna con le indiscrezioni circolate nelle scorse settimane secondo cui il decreto in preparazione prevedeva un intervento dello Stato a favore delle banche per appunto 15 miliardi di euro, cifra poi portata a 20 miliardi negli ultimi giorni per riuscire a coprire con “l’ombrello” statale anche altre situazioni di difficoltà.
Ammesso e non concesso che ci siano i tempi tecnici, i termini dell’operazione MontePaschi potrebbero significativamente cambiare rispetto all’autorizzazione ottenuta dalla Bce. E difficilmente lo Stato potrebbe farsi carico anche dell’operazione sulle sofferenze senza incappare nella violazione delle norme europee sugli aiuti di Stato.
E’ ancora presto per azzardare ipotesi, ma il rischio molto concreto è che se davvero il Tesoro non ha concordato preventivamente con Bruxelles e Francoforte un piano “B” a fronte del fallimento dell’aumento di capitale di Mps, la sorte dell’istituto senese sia segnata. E mentre il ministro Pier Carlo Padoan faceva una patetica scena muta alla Camera rispondendo con dei “no comment” alle giuste richieste di chiarimento dei parlamentari, in Borsa il titolo è letteralmente affondato, fino a toccare il minimo storico di 15 euro (15 centesimi se non si tiene conto del raggruppamento azionario deliberato dall’assemblea poche settimane fa) per poi chiudere in calo del 12,08% a 16,30 euro. Tra le poche certezze c’è quella che gli obbligazionisti che hanno aderito alla conversione in azioni riceveranno indietro i loro titoli in quanto non si sono verificate le condizioni prospettate nell’offerta lanciata dalla banca. Se poi questi titoli verranno convertiti forzosamente (o addirittura cancellati) per effetto dell’intervento dello Stato è ancora da vedere, così come è da vedere se il governo intenda o meno mantenere alla guida dell’istituto un azionista (il presidente Alessandro Falciai) e un amministratore delegato nominato da Jp Morgan (Marco Morelli) che hanno fallito su tutta la linea. Sempre ammesso e non concesso che il Monte riesca ad evitare la risoluzione.