Il dizionario enciclopedico della corruzione italiana si è arricchito ieri di un nuovo lemma: le cortesie. Ce ne illustra il significato il senatore e presidente della Commissione agricoltura Roberto Formigoni, fresco di condanna a sei anni per corruzione: “Ho solo accettato qualche invito in barca da un amico. Tra amici ci si scambiano delle cortesie e molte volte sono venuti a cena anche a casa mia. Io non ho mai fatto i conti di quanto spendevo per quelle cene (…) Tra amici si fa cosi, uno dice ho messo cento euro per la benzina, un altro offre la cena”. Scende invece nel dettaglio tecnico-giuridico l’avvocato difensore dell’ex-Presidente della Regione Lombardia: “L’assoluzione dei funzionari della Regione dimostra che le attività erano svolte in maniera legale e che la sanità lombarda era gestita correttamente. Questo conferma che i cosiddetti benefit non erano corruzione ma ‘cortesie‘”. Nel caso in oggetto, la conversione in valore monetario delle “cortesie” a Formigoni operata dai giudici milanesi col sequestro di beni è pari ad almeno 6,6 milioni di euro, comprendente quadri, quote di proprietà di sette abitazioni (da Sanremo a Lecco ad Arzachena), due box, un terreno, un ufficio, un negozio a Lecco, tre auto, conti correnti.
Il nebuloso confine tra prezzo della corruzione e “cortesia” andrebbe dunque individuato nella natura amichevole delle relazioni che in una circolarità di piaceri legano chi li fa e chi li riceve, e che può tradursi nella compartecipazione – in un clima prevedibilmente conviviale – a una serie di “benefit” tra cui soggiorni in resort di lusso ai Caraibi, crociere su yacht, cene in ristoranti stellati, oltre che contributi alla campagna elettorale. Non viene chiarito se rientrino nella scivolosa categoria delle “cortesie” anche i corrispettivi che hanno avvalorato la sentenza di condanna, ossia l’approvazione tra il 1997 e il 2011 di una serie delibere della giunta lombarda con cui sono stati erogati finanziamenti e rimborsi indebiti all’Ospedale San Raffaele e alla Fondazione Maugeri (circa 200 milioni di euro solo a quest’ultima), e i 70 milioni di euro che nello stesso arco temporale dai due enti sono confluiti nelle tasche e nei bilanci societari dei due intermediari e “grandi amici” di Formigoni, Daccò e Simone, gli stessi che erogavano al “Celeste” i benefit di cui sopra. Se è l’amicizia che distingue la cortesia dalla tangente, bisogna riconoscere che è arduo non affezionarsi a chi si mostra tanto prodigo di attenzioni.
Il concetto di “cortesie” ci regala dunque una gentile rappresentazione lessicale sia delle nuove forme della corruzione italiana, che delle crescenti difficoltà con cui la magistratura riesce a intercettarla e reprimerla. Così l’assoluzione per associazione a delinquere è “un’ottima cosa”, commenta il difensore di Formigoni. Nonostante le formule di circostanza, il senatore e i suoi legali sono consapevoli che solo la condanna per il reato associativo avrebbe assicurato il raggiungimento del terzo grado di giudizio a un processo probabilmente avviato sul binario morto della prescrizione. Si spiega allora perché l’Italia è verosimilmente l’unico paese al mondo nel quale i condannati per corruzione manifestano una malcelata soddisfazione – quando non esultano, come di recente Ottaviano Del Turco – al momento di una sentenza non particolarmente sfavorevole.
Quando una banda di topi d’appartamento mette a segno con regolarità una serie di colpi è relativamente agevole per i magistrati ricondurne le modalità d’azione alla fattispecie dell’associazione a delinquere. Quest’ultima richiede infatti la presenza di un accordo stabile finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti attraverso una sia pur rudimentale suddivisione di compiti. Ma non appena ci addentriamo nel girone dei crimini dei colletti bianchi e della “corruzione organizzata”, che spesso ne rappresenta il nucleo propulsore, questi criteri risultano inadatti a catturare la natura sfuggente delle relazioni tra i partecipanti, specie se improntate a reciproche “cortesie”. Solo in rarissimi casi l’imputazione di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione regge fino al terzo grado di giudizio, nonostante il danno economico e sociale prodotto sia incommensurabilmente superiore a quello dei furti negli appartamenti.
Eppure le inchieste degli ultimi anni hanno svelato il moltiplicarsi di robuste e persistenti reti di relazioni che connettono corrotti e corruttori, caratterizzate dal coinvolgimento di una pluralità di figure pubbliche e private. A “organizzare” e coordinare gli scambi nell’affollato universo della corruzione valgono così “regole non scritte” che i partecipanti al gioco intendono e rispettano, talvolta spontaneamente (perché così conviene), in altri casi perché tutti riconoscono la presenza di una struttura informale di autorità imperniata sul potere deterrente di leader politici, dirigenti ministeriali, vertici di consorzi d’imprese, organizzazioni mafiose o altro ancora, capace d’imporne l’osservanza, ove occorra anche con le maniere spicce.
Parrebbe riconducibile a una formula “associativa” di questa natura anche la vicenda che ha condotto alla condanna di Formigoni e soci. Tuttavia non sono stati sufficienti gli oltre dieci anni di pratiche improntate al saccheggio dei bilanci regionali destinati alla spesa sanitaria e alla generosa redistribuzione incrociata di “cortesie” e benefit – alcuni immortalati persino da riviste di gossip – perché queste risultassero riconducibili al reato di associazione a delinquere. Questa e le altre interpretazioni giurisprudenziali restrittive vanno imputate in parte alla cultura giuridica formalistica dominante in Italia, che induce un orientamento tendenzialmente “debole coi forti” e “forte coi deboli”. La stessa formulazione della norma appare del resto inadeguata a fronte delle più sofisticate manifestazioni della “corruzione organizzata”, che si realizza proprio quando le tangenti si convertono in “cortesie”, le contropartite paiono smaterializzarsi, il cemento fiduciario si salda tra la comune militanza in Comunione e Liberazione e la familiarità delle amicizie strumentali.
Di certo non è rassicurante per i cittadini (e contribuenti) italiani scoprire come in punto di diritto una banda di “amiconi” con una spiccata attitudine a vacanze e cene di lusso possa riuscire in più di dieci anni a depredare oltre 200 milioni di euro dai bilanci sanità regionale senza neppure l’esigenza di “associarsi” e programmare le proprie attività illecita con una minima struttura di coordinamento.
Oggi il senatore Formigoni dichiara di apprestarsi a un’esistenza di privazioni: “Vivrò con poco. Del resto, ho sempre fatto una vita morigerata”. Per festeggiare sobriamente almeno l’assoluzione dal reato di associazione a delinquere potrà forse concedersi un ultimo calice di champagne, in memoria dei buoni vecchi tempi nei quali – ricorda il proprietario di un ristorante di lusso: “Avevamo ricevuto personalmente da Daccò la disposizione che i conti del presidente fossero a suo carico. Formigoni, anche quando veniva senza Daccò, non si preoccupava affatto del conto e, una volta finita la cena, andava via. Ringraziava e andava senza neppure chiedere quale fosse l’importo. Ordinava peraltro con libertà, bevendo solo champagne del quale è particolarmente appassionato”.
Alberto Vannucci
Professore di Scienza Politica
Giustizia & Impunità - 23 Dicembre 2016
Formigoni condannato, non benefit ma ‘cortesie’. Si arricchisce il dizionario della corruzione italiana
Il dizionario enciclopedico della corruzione italiana si è arricchito ieri di un nuovo lemma: le cortesie. Ce ne illustra il significato il senatore e presidente della Commissione agricoltura Roberto Formigoni, fresco di condanna a sei anni per corruzione: “Ho solo accettato qualche invito in barca da un amico. Tra amici ci si scambiano delle cortesie e molte volte sono venuti a cena anche a casa mia. Io non ho mai fatto i conti di quanto spendevo per quelle cene (…) Tra amici si fa cosi, uno dice ho messo cento euro per la benzina, un altro offre la cena”. Scende invece nel dettaglio tecnico-giuridico l’avvocato difensore dell’ex-Presidente della Regione Lombardia: “L’assoluzione dei funzionari della Regione dimostra che le attività erano svolte in maniera legale e che la sanità lombarda era gestita correttamente. Questo conferma che i cosiddetti benefit non erano corruzione ma ‘cortesie‘”. Nel caso in oggetto, la conversione in valore monetario delle “cortesie” a Formigoni operata dai giudici milanesi col sequestro di beni è pari ad almeno 6,6 milioni di euro, comprendente quadri, quote di proprietà di sette abitazioni (da Sanremo a Lecco ad Arzachena), due box, un terreno, un ufficio, un negozio a Lecco, tre auto, conti correnti.
Il nebuloso confine tra prezzo della corruzione e “cortesia” andrebbe dunque individuato nella natura amichevole delle relazioni che in una circolarità di piaceri legano chi li fa e chi li riceve, e che può tradursi nella compartecipazione – in un clima prevedibilmente conviviale – a una serie di “benefit” tra cui soggiorni in resort di lusso ai Caraibi, crociere su yacht, cene in ristoranti stellati, oltre che contributi alla campagna elettorale. Non viene chiarito se rientrino nella scivolosa categoria delle “cortesie” anche i corrispettivi che hanno avvalorato la sentenza di condanna, ossia l’approvazione tra il 1997 e il 2011 di una serie delibere della giunta lombarda con cui sono stati erogati finanziamenti e rimborsi indebiti all’Ospedale San Raffaele e alla Fondazione Maugeri (circa 200 milioni di euro solo a quest’ultima), e i 70 milioni di euro che nello stesso arco temporale dai due enti sono confluiti nelle tasche e nei bilanci societari dei due intermediari e “grandi amici” di Formigoni, Daccò e Simone, gli stessi che erogavano al “Celeste” i benefit di cui sopra. Se è l’amicizia che distingue la cortesia dalla tangente, bisogna riconoscere che è arduo non affezionarsi a chi si mostra tanto prodigo di attenzioni.
Il concetto di “cortesie” ci regala dunque una gentile rappresentazione lessicale sia delle nuove forme della corruzione italiana, che delle crescenti difficoltà con cui la magistratura riesce a intercettarla e reprimerla. Così l’assoluzione per associazione a delinquere è “un’ottima cosa”, commenta il difensore di Formigoni. Nonostante le formule di circostanza, il senatore e i suoi legali sono consapevoli che solo la condanna per il reato associativo avrebbe assicurato il raggiungimento del terzo grado di giudizio a un processo probabilmente avviato sul binario morto della prescrizione. Si spiega allora perché l’Italia è verosimilmente l’unico paese al mondo nel quale i condannati per corruzione manifestano una malcelata soddisfazione – quando non esultano, come di recente Ottaviano Del Turco – al momento di una sentenza non particolarmente sfavorevole.
Quando una banda di topi d’appartamento mette a segno con regolarità una serie di colpi è relativamente agevole per i magistrati ricondurne le modalità d’azione alla fattispecie dell’associazione a delinquere. Quest’ultima richiede infatti la presenza di un accordo stabile finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti attraverso una sia pur rudimentale suddivisione di compiti. Ma non appena ci addentriamo nel girone dei crimini dei colletti bianchi e della “corruzione organizzata”, che spesso ne rappresenta il nucleo propulsore, questi criteri risultano inadatti a catturare la natura sfuggente delle relazioni tra i partecipanti, specie se improntate a reciproche “cortesie”. Solo in rarissimi casi l’imputazione di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione regge fino al terzo grado di giudizio, nonostante il danno economico e sociale prodotto sia incommensurabilmente superiore a quello dei furti negli appartamenti.
Eppure le inchieste degli ultimi anni hanno svelato il moltiplicarsi di robuste e persistenti reti di relazioni che connettono corrotti e corruttori, caratterizzate dal coinvolgimento di una pluralità di figure pubbliche e private. A “organizzare” e coordinare gli scambi nell’affollato universo della corruzione valgono così “regole non scritte” che i partecipanti al gioco intendono e rispettano, talvolta spontaneamente (perché così conviene), in altri casi perché tutti riconoscono la presenza di una struttura informale di autorità imperniata sul potere deterrente di leader politici, dirigenti ministeriali, vertici di consorzi d’imprese, organizzazioni mafiose o altro ancora, capace d’imporne l’osservanza, ove occorra anche con le maniere spicce.
Parrebbe riconducibile a una formula “associativa” di questa natura anche la vicenda che ha condotto alla condanna di Formigoni e soci. Tuttavia non sono stati sufficienti gli oltre dieci anni di pratiche improntate al saccheggio dei bilanci regionali destinati alla spesa sanitaria e alla generosa redistribuzione incrociata di “cortesie” e benefit – alcuni immortalati persino da riviste di gossip – perché queste risultassero riconducibili al reato di associazione a delinquere. Questa e le altre interpretazioni giurisprudenziali restrittive vanno imputate in parte alla cultura giuridica formalistica dominante in Italia, che induce un orientamento tendenzialmente “debole coi forti” e “forte coi deboli”. La stessa formulazione della norma appare del resto inadeguata a fronte delle più sofisticate manifestazioni della “corruzione organizzata”, che si realizza proprio quando le tangenti si convertono in “cortesie”, le contropartite paiono smaterializzarsi, il cemento fiduciario si salda tra la comune militanza in Comunione e Liberazione e la familiarità delle amicizie strumentali.
Di certo non è rassicurante per i cittadini (e contribuenti) italiani scoprire come in punto di diritto una banda di “amiconi” con una spiccata attitudine a vacanze e cene di lusso possa riuscire in più di dieci anni a depredare oltre 200 milioni di euro dai bilanci sanità regionale senza neppure l’esigenza di “associarsi” e programmare le proprie attività illecita con una minima struttura di coordinamento.
Oggi il senatore Formigoni dichiara di apprestarsi a un’esistenza di privazioni: “Vivrò con poco. Del resto, ho sempre fatto una vita morigerata”. Per festeggiare sobriamente almeno l’assoluzione dal reato di associazione a delinquere potrà forse concedersi un ultimo calice di champagne, in memoria dei buoni vecchi tempi nei quali – ricorda il proprietario di un ristorante di lusso: “Avevamo ricevuto personalmente da Daccò la disposizione che i conti del presidente fossero a suo carico. Formigoni, anche quando veniva senza Daccò, non si preoccupava affatto del conto e, una volta finita la cena, andava via. Ringraziava e andava senza neppure chiedere quale fosse l’importo. Ordinava peraltro con libertà, bevendo solo champagne del quale è particolarmente appassionato”.
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‘In Ucraina è guerra per procura’: a dirlo è il segretario di Stato Usa Marco Rubio. E il Cremlino plaude
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.