Già il 4 agosto scorso l’agenzia di stampa Reuters aveva puntato l’attenzione su Mohamed Abdallah, il capo del sindacato egiziano degli ambulanti. Due fonti della sicurezza interna egiziana avevano raccontato come l’uomo fosse un informatore dei servizi segreti. In un’intervista all’edizione araba dell’Huffington Post, Abdallah ha confessato di aver consegnato il ricercatore italiano Giulio Regeni al ministero dell’Interno, cioè agli uomini che fanno capo direttamente al presidente Al Sisi.
Regeni, incaricato dall’università di Cambridge di fare una ricerca sul campo proprio nell’ambito del mondo sindacale, secondo Abdallah faceva troppe domande“. “Sì, l’ho denunciato e l’ho consegnato agli Interni e ogni buon egiziano, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso – racconta il capo del sindacato come riporta l’Espresso – Siamo noi che collaboriamo con il ministero degli Interni. Solo loro si occupano di noi ed è automatica la nostra appartenenza a loro. Quando viene un poliziotto a festeggiare con noi a un nostro matrimonio, mi dà più prestigio nella mia zona”. E poi “è illogico che un ricercatore straniero si occupi dei problemi degli ambulanti se non lo fa il ministero degli Interni. Quando io l’ho segnalato ai servizi di sicurezza, facendo saltare la sua copertura, lo avranno ucciso le persone che lo hanno mandato qua”. Non è tutto. Abdallah fornisce anche una propria versione sugli scambi avvenuti con Giulio. In merito al video che il procuratore generale egiziano avrebbe consegnato al collega italiano, il sindacalista sostiene che la versione fornita dagli inquirenti del Cairo sia corretta. “Io non lo spiavo” aggiunge. “Collaboravo con lui, non avete notato che la situazione si è calmata da quando hanno visto quel video?”. L’allusione di Abdallah – si legge ancora su L’Espresso – è che quelle scene riprendessero Giulio nel tentativo di offrire una somma di denaro al sindacalista in cambio di alcuni informazioni. Non ha però precisato che tipo di informazioni.
Dubbi e sospetti sul ruolo di Abdallah erano emersi già a marzo, quando un’amica del ricercatore Hoda Kamel, dell’Egyptian Center for Economic and social rights, in una intervista aveva parlato di una “vendetta” dell’uomo nei confronti di Regeni e affermato che il sindacato è “infiltrato dai servizi”. I tabulati di Abdallah sono stati richiesti e consegnati lo scorso maggio alla magistratura italiana che indaga sull’omicidio. Secondo diverse fonti, l’uomo avrebbe avuto una lite con il giovane ricercatore per avergli chiesto di acquistare a suo nome un cellulare e dei biglietti aerei. Un esponente del sindacato, sospetta che Abdallah, dopo il rifiuto di Regeni, abbia riferito la vicenda alla polizia.
I due avevano appena parlato dell’organizzazione di un workshop, che il ricercatore italiano – rapito e torturato prima di essere ucciso – voleva organizzare per il sindacato. “Ci siamo incontrati in tutto sei volte”, aveva riferito Abdallah che si era detto anche “pentito” di aver stretto rapporti con Regeni.
Oggi Abdallah racconta: “L’ultima volta che l’ho sentito al telefono è stato il 22 gennaio, ho registrato la chiamata e l’ho spedita agli Interni”. Dunque appena tre giorni prima del sequestro del ricercatore italiano, avvenuto il 25 gennaio 2016. Il corpo del 28enne fu trovato senza vita il 3 febbraio, un corpo che portava i segni inequivocabili di torture prolungate. Le ferite ritrovate sul suo corpo dimostrano che le torture sarebbero “avvenute ad intervalli di 10-14 ore”. “Questo significa che chiunque sia accusato di averlo ucciso, lo stava interrogando per ottenere informazioni”. Il cadavere del giovane friulano fu trovato abbandonato lungo una strada che dal Cairo porta ad Alessandria. Da allora la famiglia chiede verità e giustizia. Venti giorni fa l’ultimo incontro tra inquirenti italiani ed egiziani a Roma e al sostituto procuratore Sergio Colaiocco erano stati finalmente consegnati alcuni atti richiesti in una rogatoria di mesi fa: una lista in cui sono stati identificati alcuni poliziotti entrati nella vicenda Regeni: da chi aveva ricevuto la denuncia di Mohamed Abdallah a chi aveva seguito l’inchiesta di tre giorni sul ricercatore scomparso il 25 gennaio.