La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa, scriveva Karl Marx. Nel 2008 Alitalia fu salvata dai capitani coraggiosi, imprenditori (Colannino, Benetton, Banca Intesa guidata da Passera, Marcegaglia, Riva, Ligresti, Gavio ecc.) che nella compagnia di bandiera hanno messo la faccia, ma non i soldi che invece sono rimasti a carico della spesa pubblica, visto che lo Stato si è accollato la parte di debiti non coperti dagli aiuti di Stato e maturati nel periodo del monopolio di Alitalia.

Nel 2014 è stata la volta di Etihad, entra al 49%, di due banche sistema Banca Intesa e Unicredit e Poste italiane, già presenti nell’azionariato, costringendo AF-KLM dal 25% al 7%.
Complessivamente si tratta di 7,4 miliardi pubblici secondo Mediobanca spesi dal 2008 ad oggi. Un fiume di danaro per coprire la voragine di debiti generati da consulenze, fornitori, manager, rotte clientelari, da una incredibile flotta “Arlecchino” e per sostenere degli ammortizzatori sociali d’oro per migliaia di addetti (con trattamenti retributivi e normativi dalla durata eccezionale, 7 anni).

Anziché decollare, memorabili le parole dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi – “Vorrei chiedervi di allacciarvi le cinture perché stiamo decollando davvero. Stiamo rimettendo il Paese a correre come deve correre perché il Paese deve farlo” – alla presentazione del marchio di Alitala Etihad, ed impostare un’aggressiva politica sul breve raggio riducendo i costi operativi per competere con le low-cost e rafforzare il lungo raggio, la compagnia si è distinta un anno fa per una campagna pubblicitaria sulle nuove divise del personale navigante.

Si è distinta inoltre per la ricerca di nuovi canali di sussidi pubblici da aggiungere a quelli tradizionali. Ed ecco così apparire i contributi dei gestori degli scali periferici (sotto mentite spoglie del co-marketing), usati a piene mani da Ryanair grazie all’incredibile frammentazione aeroportuale (la più alta d’Europa).

Dunque, un settore come quello del trasporto aereo che dovrebbe creare ricchezza – secondo uno studio di Cassa depositi prestiti, l’incidenza sul Pil è solo del 3,6% mentre i paesi turistici come il nostro stanno attorno al 7% – è oggetto di continui sussidi ai piccoli scali in perdita che, a loro volta, foraggiano le compagnie low-cost e all’Alitalia, la quale aprirà un nuovo ciclo di aiuti promettendo che sarà l’ultima volta. Neppure un anno di carburante a basso costo che ha migliorato i conti di tutte le compagnie è servito per rilanciare il vettore italo-emiratino.

Sul tavolo ci sarà ancora il tema della liberalizzazione delle rotte di Linate, possibile solo se prima verranno ridistribuiti gli slot a tutti i vettori operanti sullo scalo. In caso contrario, dei voli extraeuropei ne approfitterà solo Alitalia, visto che detiene l’80% degli slot del Forlanini.

Non solo lo Stato fa la sua parte ma anche i passeggeri che a loro insaputa ogni volta che si imbarcano pagano oltre alle tasse aeroportuali (imbarco, bagaglio,controllo di polizia ecc,) anche 7,5 euro di fondo per gli ammortizzatori del settore aereo (utilizzato soprattutto da Alitalia e da altre piccole aziende per dargli una veste di universalità). In pratica una parte dei costosissimi  ammortizzatori sociali (che assicurano assegni mensili di diverse migliaia di euro al personale navigante) sono pagati dai viaggiatori. Fatto unico al mondo e uno schiaffo a chi non solo ha ammortizzatori da soli 1.000 euro al mese ma a chi è precario o in nero senza nessuna tutela.

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