Il gruppo Volkswagen ha annunciato in una nota stampa di aver raggiunto un accordo con le autorità statunitensi per chiudere tutte le pendenze, civili e penali, legate alle vicende del dieselgate. Per mettere la parola fine al contenzioso con il Dipartimento di Giustizia, il colosso di Wolfsburg pagherà un importo pari a 4,3 miliardi di dollari (ovvero 4,09 miliardi di euro). Che vanno a sommarsi ai 14,7 miliardi stanziati dall’azienda tedesca per i risarcimenti ai clienti americani. Nel maxi patteggiamento è anche previsto che la Volkswagen ammetta le proprie colpe nell’aver violato le leggi americane, e accetti per i prossimi tre anni controlli stringenti da parte di un ente terzo che vigili sull’effettiva conformità dei propri veicoli alle normative vigenti.
“Non è ancora chiaro”, fanno sapere da Wolfsburg, “quale sarà l’impatto economico” di questo ulteriore esborso sui conti del gruppo, i risultati finanziari verranno infatti resi noti solo a metà marzo. Quelli “operativi” invece sembrano non aver risentito più di tanto dello scandalo dei motori diesel: proprio ieri Vw ha presentato i risultati del 2016, con un aumento delle vendite a livello globale che ha significato la commercializzazione di 10,3 milioni di veicoli.
L’accordo, dopo l’approvazione del board Vw, dovrà essere ratificato dalle autorità americane. Il tutto dovrebbe concludersi entro tempi non troppo lunghi e comunque prima dell’insediamento del nuovo presidente Donald Trump, come in realtà voleva la dirigenza del gruppo tedesco. L’intesa, tuttavia, non è certo un’amnistia: le eventuali responsabilità individuali, come quella del manager Oliver Schmidt arrestato con l’accusa di frode, potranno continuare ad essere perseguite.
A tale proposito sono di ieri le testimonianze, riportate dalla Sueddeutsche Zeitung, di due dei cinque lavoratori (quadri intermedi) dell’azienda a disposizione delle autorità americane, i quali hanno dichiarato ai giudici che “Winterkorn e Diess erano stati informati alla fine di luglio 2015 delle manipolazioni delle emissioni negli Stati Uniti”. Martin Winterkorn è l’ex numero uno del colosso tedesco, mentre Herbert Diess è tuttora membro del consiglio d’amministrazione, il che fa supporre che anche i vertici dell’azienda sapessero cosa stava succedendo. Fatto finora negato.
Se le testimonianze fossero vere, la questione si allargherebbe a macchia d’olio coinvolgendo il top management. Il che potrebbe spianare la strada alle richieste di risarcimento degli azionisti Vw, che pretendono 8 miliardi di euro per la perdita di valore delle azioni dovuta al ritardo nell’aver informato i mercati. A Wolfsburg, nondimeno, rimangono fermi sulle loro posizioni, sostenendo che l’azienda ha ammesso le manipolazioni alle autorità americane man mano che ne veniva a conoscenza. Per il dieselgate, insomma, la parola fine ancora non può essere scritta.