Procedure di test diverse a seconda che l’auto messa alla prova sia del gruppo Fiat Chrysler o meno. Misure eseguite su alcune vetture mentre su altre no. Risultati non riportati per le Fiat Chrysler, senza che venga spiegato il perché. Il rapporto che il ministero dei Trasporti ha realizzato dopo lo scoppio del dieselgate per analizzare le emissioni reali dei diesel venduti in Italia farebbe storcere il naso a qualsiasi studente di ingegneria del primo anno. E così anche su questo documento dovrà fornire chiarimenti il viceministro dei Trasporti Riccardo Nencini, che giovedì 12 gennaio è in audizione davanti alla Emission Measurements in the Automotive Sector (Emis), la commissione d’inchiesta del Parlamento europeo nata dopo lo scandalo sui motori truccati da Volkswagen per portare avanti un’indagine sulle vetture in circolazione nel nostro continente. Il report, datato 27 luglio 2016 e mai reso pubblico sui canali ufficiali del ministero, contiene nelle sue 46 pagine lacune tali da fare nascere un sospetto: “E’ chiaro che il governo ha voluto coprire le case automobilistiche, e in particolare Fiat Chrysler”, sostiene Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’aria, un’associazione che fa parte della rete europea di ong ambientaliste per i trasporti sostenibili Transport & Environment. Analoga la posizione degli eurodeputati del M5S, ai quali si deve la pubblicazione del rapporto, avvenuta lo scorso ottobre sul loro sito, dopo che il ministero lo aveva tenuto a lungo chiuso a chiave in un cassetto, prima di consegnarlo alla commissione Emis. “Un rapporto scandaloso, che rasenta il ridicolo”, hanno accusato i Cinque stelle, arrivando a parlare di “occultamento scientifico dei dati più scomodi”. Omissioni che, in ogni caso, non evitano alle auto Fiat Chrysler, in quanto a emissioni, di fare peggio di tutte le altre. Ma prima di passare ai risultati deludenti delle Fca e alle stranezze di grafici e tabelle, facciamo un passo indietro.
Dai mille controlli promessi dal ministro ai test solo su 14 modelli
Nel settembre del 2015 il dieselgate travolge la Volkswagen: le autorità americane scoprono che la casa tedesca ha utilizzato un dispositivo che aggira i test sulle emissioni (defeat device, dispositivo di manipolazione), attivando i sistemi anti inquinamento solo nel corso delle prove su rulli. La questione non è da poco: “Considerando solo l’Italia – sostiene Gerometta di Cittadini per l’aria – ogni anno muoiono prematuramente 23mila persone a causa dell’esposizione al biossido di azoto (NO2), un gas fortemente nocivo per la salute umana e riconducibile prevalentemente alle emissioni dei veicoli diesel”. Da tempo le istituzioni internazionali sanno che in condizioni reali di guida le emissioni dei veicoli, comprese quelle degli ossidi di azoto (NOx), sono maggiori di quelle rilevate in fase di test. Un problema che in Europa dipende da un regolamento sulle omologazioni che non viene più aggiornato dal 2007. La novità che salta fuori con il dieselgate è che uno dei costruttori, Volkswagen appunto, ha addirittura truccato i test. Appena scoppiato lo scandalo, il nostro ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, promette in Italia “controlli a campione su almeno mille macchine diesel di tutti i marchi”. Ma a fronte dell’annuncio del settembre 2015, il mese successivo il ministero incarica l’Istituto Motori del Cnr di mettere a punto una metodologia di verifica del comportamento emissivo che, prima della stesura del report, verrà applicata solo a 14 modelli di auto: una Bmw, una Opel, una Volkswagen, due Ford, due Mercedes e sette vetture del gruppo Fca, queste ultime omologate dallo stesso ministero. E qui cade la prima obiezione: anziché i controlli a campione sul parco circolante, le auto testate sono nuove e messe a disposizione dalle stesse case automobilistiche. “E quindi – fa notare Gerometta – non possono dare alcuna garanzia di rappresentatività dei veicoli dello stesso modello realmente in circolazione”.
Test solo sulle euro 5. Salvate le euro 6
C’è poi un altro punto. A differenza di quanto fatto in Francia, Germania e Gran Bretagna, il nostro ministero ha deciso di testare solo alcuni diesel euro 5 e non gli euro 6, ovvero quelli attualmente in vendita. Una decisione che non può che destare qualche sospetto, visto che secondo uno studio realizzato da Transport & Environment, che ha analizzato i risultati delle indagini sull’inquinamento reale dei veicoli condotte dai governi di Francia, Germania e Regno Unito, le peggiori euro 6 per emissioni sono le auto Fiat e le Suzuki, a cui Fiat fornisce i motori: “Inquinano in media 15 volte di più dei limiti legali per gli NOx”, rileva lo studio.
Emissioni reali maggiori che nei test di omologazione. La pecora nera? Fca
Fuori tutte le euro 6, nel rapporto del ministero restano dentro, come detto, solo 14 modelli di euro 5. E i risultati dei test, in particolare per le vetture Fca, sono tutt’altro che esaltanti. Come già emerso nelle prove condotte negli altri Paesi, le soglie limite di emissioni vengono rispettate da tutti i marchi nelle condizioni di prova valide per ottenere l’omologazione europea (ciclo di test Nedc), mentre nelle prove, sia in laboratorio che su strada, che simulano i comportamenti delle auto in condizioni normali di guida, gli sforamenti sono generalizzati. Con le Fca a fare peggio delle altre: nei test eseguiti a motore caldo, e cioè in condizioni più simili al reale comportamento delle auto, le emissioni di NOx arrivano a essere 3,4 volte superiori rispetto alla condizione di motore a freddo per la Fiat 500 L, 3,8 maggiori per l’Alfa Romeo Giulietta 1.6 e 4,1 volte in più per il Cherokee 2.0.
Defeat device? Il ministro nega, ma i dubbi restano. Anche alla responsabile dell’Istituto motori del Cnr
“Le divergenze in caso di test a freddo e test a caldo – sostiene Gerometta – rappresentano un forte indizio dell’uso di defeat devices”. Una possibilità che il ministro Delrio, anticipando lo scorso giugno i risultati del report, ha escluso: “Non ci sono defeat devices illegali nei modelli diesel di altre case, a parte su quelli Volkswagen già identificati”. Una posizione su cui, però, nemmeno lo stesso report del ministero è così chiaro: sebbene nell’introduzione si legga che tra gli scopi del test c’è quello di individuare “la eventuale presenza di dispositivi di manipolazione delle emissioni (defeat device) vietati dalla vigente normativa”, nelle conclusioni una risposta negativa in tal senso non viene scritta a chiare lettere, ma solo suggerita. Infatti, dei veicoli che con partenza a caldo rilasciano emissioni molto maggiori che a freddo viene scritto: “Probabilmente in condizioni di partenza a freddo (previste dall’attuale ciclo di omologazione Nedc) viene utilizzata una differente calibrazione motore”. Il dubbio ammette di non esserselo tolta nemmeno Vittoria Maria Prati, responsabile delle attività sulle emissioni dei veicoli dell’Istituto Motori del Cnr, che nel corso di una conversazione telefonica con ilfattoquotidiano.it ammette: “Se questo comportamento dipende da un defeat device o da una strategia del costruttore per preservare il motore, io questo non glielo so dire”.
I test sulle Fca? Nello stabilimento del gruppo
Se il report del ministero lascia dubbi nelle sue conclusioni, altri ne sorgono per quelle lacune che nemmeno uno studente di ingegneria del primo anno si farebbe andare giù. Le auto – si legge nel documento – sono state testate in presenza di tecnici del ministero e di responsabili delle case costruttrici. Ma dove sono stati svolti i test? Per tutte le auto non Fca si sono utilizzate sedi neutre, e cioè una sala prove del Cnr e una pista dell’esercito a Montelibretti (Roma), mentre per le Fca i test sono stati eseguiti nelle strutture della stessa Fca. A casa del controllato dunque, e a differenza di tutti gli altri marchi senza la partecipazione dei ricercatori del Cnr.
La scomparsa dei dati sulle Fiat Chrysler
Al di là della diversa sede dei test, le prove procedono in parallelo su tutte le 14 auto fino a pagina 12 del report. Dopo di che i risultati della prova che simula sul banco a rulli il comportamento reale delle vetture (ciclo Urban) non vengono riportati per le Fca. E senza che nel documento venga spiegato il perché. I dati sulle Fca iniziano così a scomparire da grafici e tabelle. E per tre modelli, la Lancia Y 1.3, l’Alfa Romeo Giulietta 1.6 e il Cherokee 2.0 (questi due sono proprio i modelli che hanno mostrato gli aumenti maggiori di emissioni nei test a caldo), non fanno più ritorno per tutto il documento, visto che a differenza degli altri non vengono provati in pista. Per nessun veicolo Fca, inoltre, vengono riportati i grafici che mettono in relazione il funzionamento dei filtri anti inquinamento con la temperatura aspirata dal motore. Tutti grafici che invece per le vetture degli altri costruttori sono presenti. E, per finire, nel report non si entra mai nel merito delle accuse provenienti dalla Germania sull’utilizzo di defeat devices da parte di Fca, dopo che in alcuni modelli è stata riscontrata la disattivazione (“modulazione”, sostiene la Fiat) del sistema di controllo delle emissioni dopo 22 minuti, due minuti in più della durata del test di omologazione. “Chi ha firmato il rapporto presentato in commissione Emis – commenta Gerometta – dovrebbe rispondere dell’approssimazione, della mancanza di rigore scientifico e coerenza rispetto all’obiettivo dell’indagine e del danno all’immagine dell’Italia in sede europea”.
Contattata da ilfattoquotidiano.it, Fca non ha voluto rilasciare commenti sul report del ministero, ma ribadisce “di avere sempre rispettato le normative dell’Unione europea e che i veicoli Fca non sono dotati di dispositivi di manipolazione che rilevino quando il veicolo viene sottoposto a un test al banco in laboratorio o che rendano operativi i controlli delle emissioni durante i test in laboratorio. In altri termini, sebbene i livelli di emissioni varino in funzione delle condizioni di guida, i sistemi di controllo delle emissioni dei veicoli Fca funzionano nello stesso modo a parità di condizioni, sia che il veicolo si trovi in laboratorio sia che si trovi in strada”.
Twitter: @gigi_gno