“Poi lei è andata a dormire ed io sono rimasto in salotto a finire la cocaina. Mi è venuto un attimo di ‘schizzo‘, ho preso una bottiglia e l’ho colpita mentre lei stava dormendo”. Un cortocircuito innescato dalla droga, un presunto debito da poche migliaia di euro, molta solitudine. Non c’è molto altro dietro l’omicidio di Tiziana Pavani, la segretaria di asilo di 55 anni trovata morta nella sua casa nel quartiere di Baggio, estrema periferia occidentale di Milano. A ricostruire quello che è andato in scena giovedì sera nell’appartamento al quarto piano di via Bagarotti 44 è lo stesso assassino. Luca Raimondo Marcarelli, 32 anni, fermato dagli uomini della Squadra Mobile diretta dal dottor Lorenzo Bucossi. Tre pagine scarse di verbale. Il racconto in presa diretta dell’assassinio di una donna buona, che pochi giorni prima di essere massacrata ha salvato il suo futuro killer da un tentativo di suicidio.
Si conoscono da circa cinque anni, ma la loro non è mai stata una vera storia, piuttosto una relazione occasionale iniziata su Badoo e grazie ad amicizie comuni. “La frequentavo uno o due weekend al mese”, ricorda Luca, che non è un tipo facile. Fa uso di cocaina, è in cura presso il Sert, ha tentato più volte il suicidio, è stato ricoverato in psichiatria, pensa alla comunità. Lei gli dà una mano come può. “Mi aveva anche trovato un lavoro in una ditta di pulizie”. Giovedì sera Marcarelli sale nell’appartamento di Tiziana. Sono le 18 e 30. Chiacchierano un po’, poi lui tira fuori la cocaina e se la fa da solo. Iniziano a discutere per soldi. Lui sostiene di averle prestato 2.450 euro. Li rivuole indietro entro fine mese. Discorso chiuso. La discussione si esaurisce. La voglia di cocaina no. Finito l’effetto della prima dose, Luca esce di casa per andare a comprarne un’altra. Sono le 23. Un’ora dopo “sono rientrato in casa. Ho assunto la cocaina”. A quel punto la lite si innesca nuovamente. Fino a quando Tiziana non va dormire. Lui invece continua a tirare. Finisce la seconda dose in salotto. L’interruttore mentale ormai è spento. “Mi è venuto un attimo di ‘schizzo‘, ho preso una bottiglia e l’ho colpita mentre lei stava dormendo. Prima di colpirla mi ero levato i vestiti per non sporcarmi. Ero rimasto in mutande. L’ho colpita tre volte con una bottiglia presa in cucina, con la mano destra. Con il primo colpo lei ha aperto gli occhi ma non si è nemmeno resa conto. Poi ho preso un cuscino e gliel’ho messo in faccia, ma forse era già morta”.
Marcarelli continua a riavvolgere il nastro mentale. I ricordi si susseguono a rallentatore. Ed è un crescendo di orrore. “Poi ho preso la borsetta da un armadio ho svuotato il contenuto e ho preso il bancomat. Mi sono lavato le mani e gli avambracci nel lavandino. Mi sono rivestito, ho messo la bottiglia e i mozziconi di sigaretta nel
sacchetto della spazzatura della cucina. Prima di uscire ho aperto il gas del piano cottura. Essendo un modello vecchio non aveva la valvola di sicurezza. L’idea era quella di cancellare le prove con l’incendio della casa. Il mio cervello in quel momento era completamente in pappa”.
Marcarelli si muove alla ceca, commette errori grossolani, dissemina tracce ovunque. E’ imbottito con due grammi di coca. Porta via i due cellulari di Tiziana. Getta il sacchetto della spazzatura alla fermata dell’autobus vicino lo stabile. Si sbarazza di un telefono. Verso le 5 del mattino “sono andato verso via Gianella dove c’è la banca Intesa dove ho prelevato 500 euro con il bancomat di Tiziana”. Dice come era vestito. Una descrizione che combacia con quella dell’uomo immortalato dalle telecamere di videosorveglianza, determinanti per incastrarlo.
“Tornando a casa – continua Marcarelli – ho gettato in un altro cestino il secondo telefono. Prima di salire ho spezzato in due il bancomat e l’ho gettato in un sacchetto della plastica all’esterno del palazzo”. Lo stesso posto dove poche ore dopo lo ritroveranno gli agenti della Omicidi. Poi entra nel suo appartamento dove vive con i genitori. Si lava i denti, si toglie gli abiti e mette i jeans nel cesto dei panni sporchi. “Saranno state le 5 e 30. Mio padre mi ha sentito rientrare. Non avevo più cocaina. La mattina dopo mi sono alzato e ho fatto la doccia. Jeans e mutande sono stati successivamente lavati da mia madre”.
I soldi per cui ha ucciso li ha spesi “tutti il giorno dopo in gratta e vinci, birra, macchinette slot machine e un paio di ricariche del telefono. Ad oggi non ho più nulla. Ho tentato tre volte il suicidio nell’arco di sei mesi. Mi veniva la depressione dopo che finiva l’effetto della cocaina. Nell’ultimo episodio, circa una settimana fa, Tiziana mi ha trovato in strada che stavo male. Lei mi aveva dato cinque gocce di calmante e io di nascosto ne avevo presa mezza boccetta. Quando lei se ne è accorta è venuta a cercarmi, mi ha fatto sedere in auto ed ha chiamato l’ambulanza“.