Arrestato, pestato a sangue dagli stessi carabinieri che lo fermarono e quindi deceduto in un letto d’ospedale. Otto anni dopo ecco che la procura di Roma contesta a tre militari l’omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi. Il procuratore capitolino Giuseppe Pignatone e il sostituto Giovanni Musarò hanno infatti chiuso l’inchiesta bis sulla morte del geometra romano, avvenuta in un reparto protetto dell’ospedale Pertini, il 22 ottobre 2009, sette giorni dopo il suo arresto nel parco degli Acquedotti.
I carabinieri che lo arrestarono – e cioè Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco – sono ora ritenuti responsabili del pestaggio del giovane geometra. Ai tre è contestata anche l’accusa di abuso di autorità, per aver sottoposto Cucchi “a misure di rigore non consentite dalla legge” con “l’aggravante di aver commesso il fatto per futili motivi, riconducibili alla resistenza di Cucchi al momento del foto-segnalamento“.
Le accuse di falso e calunnia nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria processati nella prima inchiesta, sono invece contestate a vario titolo a Tedesco, a Vincenzo Nicolardi e al maresciallo Roberto Mandolini, comandante della stazione Appia, dove fu portato Cucchi dopo il suo arresto il 15 ottobre del 2009.
Cucchi – come si legge nell’avviso di chiusura delle indagini, atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio – fu colpito a “schiaffi, pugni e calci“. Le botte, per l’accusa, provocarono “una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale”, provocando sul giovane “lesioni personali che sarebbero state guaribili in almeno 180 giorni e in parte con esiti permanenti, ma che nel caso in specie, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte“.
“Le lesioni procurate a Stefano Cucchi – si legge sempre nel provvedimento dei pm – il quale fra le altre cose, durante la degenza presso l’ospedale Sandro Pertini subiva un notevole calo ponderale anche perché non si alimentava correttamente a causa e in ragione del trauma subito, ne cagionavano la morte”. “In particolare – scrivono i pm – la frattura scomposta” della vertebra “s4 e la conseguente lesione delle radici posteriori del nervo sacrale determinavano l’insorgenza di una vescica neurogenica, atonica, con conseguente difficoltà nell’urinare, con successiva abnorme acuta distensione vescicale per l’elevata ritenzione urinaria non correttamente drenata dal catetere”. Una quadro clinico che “accentuava la bradicardia giunzionale con conseguente aritmia mortale“.
Tedesco, Nicolardi e Mandolini, invece, sono accusati di avere “affermato il falso in merito a quanto accaduto nella notte tra il 15 e il 16 del 2009 in occasione dell’arresto” di Cucchi. In particolare “implicitamente accusavano, sapendoli innocenti, tre agenti della penitenziaria, dei delitti di lesioni personali pluriaggravate e abuso di autorità”. Gli agenti della Penitenziaria erano accusati per un pestaggio che si “ipotizzava perpetrato – scrive il pm – ai danni di Cucchi nella mattina del 16 ottobre del 2009, nella qualità di agenti preposti alla gestione del servizio delle camere di sicurezza del tribunale adibite alla custodia temporanea degli arrestati in flagranza di reato in attesa dell’udienza di convalida”.
Il pm Musarò ha dunque ritenuto infondata l’ipotesi della morte per epilessia di Cucchi, emersa dalla perizia d’ufficio disposta dal giudice in sede di incidente probatorio. L’attacco epilettico del quale è stato vittima il giovane nei giorni di detenzione dopo il suo arresto, infatti, non figura tra le cause che ne hanno causato il decesso. Da qui il cambio di imputazione: i carabinieri ai quali viene ora contestato l’omicidio, infatti, sono stati a lungo indagati per lesioni personali aggravate, mentre i militari accusati di calunnia erano sospettati solo di falsa testimonianza. Uno di questi – il maresciallo Mandolini – era stato di recente promosso nonostante l’indagine in corso.
Inchiesta che adesso arriva a una svolta. Fino ad ora ben quattro giudizi avevano portato soltanto ad assoluzioni: confermate due volte in appello quelle per i sanitari dell’ospedale Pertini, diventate definitive, invece, quelle per gli agenti penitenziari che lavoravano nelle celle del tribunale di Roma.
“I carabinieri sono accusati di omicidio, calunnia e falso. Voglio dire a tutti che bisogna resistere, resistere, resistere. Ed avere fiducia nella giustizia”, commenta Ilaria Cucchi, sorella del giovane assassinato. “Non lo so come sarà la strada che ci aspetta d’ora in avanti, sicuramente si parlerà finalmente della verità, ovvero di omicidio“, aggiunge la donna, che poi ringrazia l’avvocato Fabio Anselmo. “Ci sono voluti sette anni ma ce l’abbiamo fatta – dice invece il legale – Sono emozionato, felice. Credo sia un messaggio importante per tutti: quando si sa di essere dalla parte del giusto, bisogna resistere, resistere, resistere e la verità prima o poi viene fuori”. “La Procura ha esercitato una sua prerogativa e ha formulato il capo di imputazione che ritiene sussistente. Noi riteniamo, di contro, che tale contestazione non potrà essere provata nel giudizio in quanto gli elementi di fatto su cui fonda non sono riscontrabili in atti e, tanto meno, nella perizia disposta dal Gip con incidente probatorio”. dice l’avvocato Eugenio Pini, legale di uno dei carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale. “L’attacco all’Arma è sotto gli occhi di tutti, nonostante le innumerevoli perizie stabiliscano con assoluta certezza che non ci sono state lesioni di alcun tipo che ne abbiano potuto procurare la morte (vedasi perizia disposta dal Gip), vengono cambiati i capi d’imputazione per non incorrere nella prescrizione e mandano a processo dei Carabinieri innocenti, dei padri di famiglia, dei Servitori dello Stato, solo per infangarli“, dice invece Mandolini, uno dei carabinieri indagati per falso e calunnia.