La Brexit sarà meno rapida di quanto sperava il primo ministro inglese Theresa May. La Corte Suprema di Londra ha disposto martedì in via definitiva che la notifica dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, indispensabile per far partire i negoziati con la Ue sull’uscita, dovrà essere autorizzato da un voto del Parlamento britannico. Il verdetto, espresso con una maggioranza di otto giudici contro tre, conferma quello di primo grado dell’Alta Corte lo scorso novembre e dà torto al governo May, che aveva presentato ricorso invocando il diritto ad attivare l’articolo 50 d’autorità, nel rispetto della volontà popolare espressa con il referendum del 23 giugno 2016, quando il Leave ha vinto con il 52% dei voti.

La Corte Suprema ha però anche escluso qualunque potere di veto da parte delle assemblee di Scozia, Galles e Irlanda del Nord sulla Brexit. Stop, dunque, ai propositi della premier scozzese Nicola Sturgeon di bloccare l’uscita della Gran Bretagna chiedendo ai suoi parlamentari di esprimersi contro. In compenso Downing Street dovrà fare i conti con gli emendamenti preannunciati dai partiti di opposizione: il Labour per esempio ha anticipato che chiederà la garanzia di un pieno accesso, senza tariffe, al mercato unico“, di cui invece la May ha annunciato che il Regno Unito non farà più parte, e il mantenimento dei diritti per i lavoratori. Dopo l’annuncio, la sterlina ha perso terreno rispetto al dollaro. Poco mosse, invece, le borse europee.

Le motivazioni della sentenza – Il presidente della Corte Lord Neuberger ha riconosciuto che tra le prerogative dell’esecutivo c’è anche quella di “stabilire l’uscita da un trattato internazionale, qualora lo ritenga opportuno”, ma questo non può essere applicato alla fattispecie presentata dal ricorso: “Non è possibile esercitare tale potere – recita la sentenza – se questo porta a un cambiamento nelle leggi del Regno Unito” e quindi “a un cambiamento del diritto, attraverso cui “i cittadini perderanno alcuni diritti di cui altrimenti godrebbero”. Pertanto, il governo non può invocare l’articolo 50 senza prima aver ottenuto “l’autorizzazione del Parlamento”.

Downing Street: “Delusi, ma ci atterremo al giudizio. Attivazione articolo 50 entro marzo” – L’attorney general Jeremy Wright ha reagito dicendo che il governo britannico è “deluso” dell’esito della controversia legale, ma lo rispetta e attuerà quanto richiesto dal verdetto. Già in giornata sarà presentata alle Camere di una legge ad hoc per l’avvio alle procedure di divorzio dall’Ue e Downing Street conferma che l’attivazione dell’articolo 50 avverrà “entro al fine di marzo”. “Andiamo avanti!”, il commento via Twitter del ministro degli Esteri Boris Johnson, grande alfiere della Brexit. “La Corte Suprema ha parlato. Ora il Parlamento deve realizzare la volontà del popolo. Attiveremo l’articolo 50 entro la fine di marzo. Andiamo avanti!”.

L’attivista che presentò il ricorso esulta – Esulta, dal canto suo, Gina Miller, la donna d’affari che insieme ad altri attivisti pro Ue aveva presentato il ricorso sfidando il governo: “Solo il Parlamento è sovrano”, ha detto dopo il verdetto, ribadendo comunque di non aver voluto sabotare il risultato pro Brexit del referendum di giugno, ma solo imporre lo scrutinio del Parlamento sulla procedura di uscita. L’imprenditrice ha quindi ricordato che “la Gran Bretagna è un Paese libero” e si è detta “scioccata del livello di abusi personali” e minacce subite negli ultimi mesi “solo per aver posto una questione legittima” dinanzi ai giudici.

Labour: “Presenteremo emendamenti. Pieno accesso al mercato unico” – Intanto dai partiti britannici arrivano anticipazioni sulle loro intenzioni di voto: “Il Labour rispetta il risultato del referendum e la volontà del popolo britannico e non bloccherà l’attivazione dell’Articolo 50″, ha annunciato attraverso un portavoce il leader laburista Jeremy Corbyn. “Tuttavia – ha aggiunto Corbyn – il Labour chiederà un emendamento alla legge che verrà votata per attivare l’Articolo 50 per impedire ai Conservatori di utilizzare la Brexit per trasformare la Gran Bretagna in un paradiso fiscale al largo delle coste europee”. I Laburisti chiedono un “pieno accesso, senza tariffe, al mercato unico” e il mantenimento dei diritti per i lavoratori e delle protezioni Ue in tema di diritti sociali e ambiente“. Il Labour chiede anche che il governo riferisca al Parlamento durante tutto il processo di negoziato con l’Europa e che l’accordo finale con Bruxelles per l’uscita dalla Ue sia sottoposto al voto parlamentare. Secondo Norman Smith, commentatore politico della Bbc, i primi due emendamenti laburisti appaiono digeribili per il governo May, mentre il terzo rappresenta un problema, poiché la premier intende sottoporre al voto finale di Westminster solo un’intesa di divorzio già firmata. E del resto difficilmente potrebbe definire con Bruxelles – dopo un negoziato la cui durata è prevista in due anni dal momento dell’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona – un accordo sub iudice.

Indipendentisti scozzesi: “Chiederemo modifiche sostanziali” – Più rigida la posizione del gruppo degli indipendentisti scozzesi dello Scottish National Party e del piccolo gruppo europeista dei Libdem, il cui leader Tim Farron pretenderebbe addirittura la garanzia di un (improbabile) secondo referendum prima di dire sì all’avvio dei negoziati sulla Brexit. L’Snp, ha affermato l’ex leader Alex Salmond, oggi portavoce Esteri del partito, presenterà 50 “seri e sostanziali” emendamenti alla legge con la quale il Parlamento dovrà attivare il processo di uscita dalla Ue. Salmond chiede inoltre che il governo di Theresa May, oltre al progetto di legge sull’articolo 50, presenti a Westminster anche un ‘libro bianco’ sulla Brexit, come richiesto dalla commissione bipartisan sulla Brexit istituita alla Camera dei Comuni.

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