E alla fine arrivò il verdetto: anche l’Italicum è incostituzionale. O almeno lo è parte: abolito il ballottaggio tra le due liste che prendono più voti, sopravvive, invece, il premio di maggioranza per la forza politica che raggiunge il 40% al primo turno. Bocciate- ma solo a metà – le pluricandidature. È questa la decisione della Corte Costituzionale alla fine di una camera di consiglio durata otto ore. “All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione“, sottolinea il comunicato della Consulta.
Restano pluricandidature ma col sorteggio – Via il ballottaggio dunque, salva invece la soglia del 40% dei voti per ottere un premio di maggioranza pari a 340 seggi, e cioè il 54%. Colpite dalla decisione degli alti giudici, ma solo in parte, anche le pluricandidature. In questo senso è stata dichiarata illegittima la parte che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione per quale optare. In questo modo si sarebbe potuto decidere a tavolino a quale tra i primi dei non eletti dei vari collegi garantire un seggio a Montecitorio: eventualità che la Corte ha bocciato. Salva, invece, a possibilità di candidarsi in più collegi elettorali: in caso di elezione in più di uno, si procederà al sorteggio per stabilire per quale optare. Il dispositivo richiamato esplicitamente dai giudici della Consulta, dopo la camera di consiglio, è esattamente l’articolo 85 del Testo unico delle leggi elettorali, che recitava: “Il deputato eletto in più circoscrizioni deve dichiarare alla presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla data dell’ultima proclamazione, quale circoscrizione prescelga. Mancando l’opzione, si procede al sorteggio”. Il ricorso al sorteggio, dunque, era già previsto ma soltanto come “criterio residuale” ovvero come seconda possibilità in caso non si procedesse a una scelta. Ora, invece, diventa l’unico criterio per l’assegnazione del collegio parlamentare.
Il comunicato della Consulta – “La Corte ha respinto le eccezioni di inammissibilità proposte dall’Avvocatura generale dello Stato. Ha inoltre ritenuto inammissibile la richiesta delle parti di sollevare di fronte a se stessa la questione sulla costituzionalità del procedimento di formazione della legge elettorale, ed è quindi passata all’esame delle singole questioni sollevate dai giudici”, si legge nella nota integrale diffusa dagli alti giudici. A chiedere di dichiarare totalmente incostituzionale l’Italicum era stato l’avvocato Felice Besostri, visto che la legge elettorale era stata approvata con il voto di fiducia dal governo di Matteo Renzi. L’avvocato generale dello Stato, Massimo Massella Ducci Teri, invece, aveva difeso il ballottaggio, sottolineando che”la Costituzione non lo vieta” ed è uno strumento adottato in altri Paesi e anche da noi per i sindaci. Respinte le due eccezioni, dunque la Consulta ha spiegato “rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno e ha invece accolto le questioni relative al turno di ballottaggio, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono”. Inoltre, “ha accolto la questione relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio”.
Le reazioni. “Buon risultato ma si poteva fare di più” – “E’ stato fatto il minimo indispensabile – è il primo commento di Vincenzo Palumbo, uno dei legali ricorrenti – Io avrei voluto che questa legge elettorale, fatta con un procedimento di dubbia costituzionalità che ha messo tra parentesi la rappresentatività del Paese, fosse eliminata. Così non è stato, la Corte ci spiegherà perché”. Secondo un altro avvocato, Roberto Lamacchia, “un buon risultato anche se si poteva fare di più”. Per il legale “ha prevalso il concetto del valore della rappresentanza dei cittadini e l’importanza del loro voto. Forse si è persa l’occasione per affossare definitivamente una legge che a nostro avviso era antidemocratica. Ma tutto sommato è un risultato positivo”.
Sentenza subito applicabile, ma è omogenea? La camera di consiglio della Corte Costituzionale si era riaperta alle 9,30 dopo alcune ore di discussione di ieri. Al centro della decisione dei giudici della Consulta i ricorsi presentati dai tribunali di Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova. A sollevare quelle obiezioni lo stesso pool di avvocati che aveva portato la Corte a smontare la precedente legge elettorale, cioè il Porcellum. In particolare i punti su cui si sono dovuti pronunciare gli alti giudici sono stati il ballottaggio, il premio di maggioranza, i capilista bloccati e le multicandidature. Il presidente della Consulta Paolo Grossi avrebbe voluto chiudere tutto entro la serata di martedì, ma da quanto è emerso è servito altro tempo non sulla sostanza della sentenza, ma sulla scrittura delle motivazioni, affidata al giudice relatore Nicolò Zanon. Il punto insomma è stato nell’articolazione del dispositivo in modo da non produrre vuoti normativi in materia elettorale. Ed è per questo che la Corte ci ha tenuto a specificare nel suo comunicato che “all’esito della sentenza la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”. Certo rimane sempre la questione della omogeneità dei due sistemi elettorali di Camera e Senato, chiesta a più riprese dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Questa però è una questione politica. Quella giuridica si è esaurita intorno alle ore 17 del 25 gennaio con la sentenza della Consulta. Almeno per ora.