Neanche il tempo di firmare l’ordine esecutivo che ha sospeso per tre mesi con effetti immediati tutti i rifugiati e le persone provenienti da sette Paesi a maggioranza islamica, e la decisione di Donald Trump sta già causando i primi contraccolpi. Il New York Times ha segnalato diversi casi di persone che erano in volo verso gli Stati Uniti e sono state fermate agli aeroporti di arrivo. L’Egitto, paese a maggioranza islamica che però non è tra i sette coinvolti (Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen), si è subito adeguato al bando di almeno 90 giorni imposto dal neo-presidente americano e ha impedito a cinque iracheni e a uno yemenita di raggiungere gli Usa. E la società Google ha richiamato i suoi dipendenti provenienti dai Paesi islamici a “rientrare negli Stati Uniti il prima possibile”.
“I rifugiati che erano in volo verso gli Usa nel momento in cui l’ordine è stato firmato, sono stati fermati e detenuti negli aeroporti”, scrive il Nyt. Tra i casi segnalati dal quotidiano, uno riguarda due rifugiati iracheni fermati allo scalo di New York: Hameed Khalid Darweesh, che ha lavorato per conto del governo Usa in Iraq per 10 anni, e Haider Sameer Abdulkhaled Alshawi, giunto negli Stati Uniti per ricongiungersi alla moglie, che ha lavorato come contractor per gli Usa, e il giovane figlio. Gli avvocati che li rappresentano hanno già presentato ricorso e avviato le procedure per una possibile class action. Anche vari gruppi per la difesa dei diritti umani stanno attivando azioni legali contro l’ordine esecutivo firmato da Trump.
Al Cairo, come rivela una “fonte autorizzata” dell’aeroporto internazionale, “le autorità della sicurezza egiziane hanno impedito a cinque iracheni e a uno yemenita di partire alla volta degli Stati Uniti a bordo di un aereo Egyptair diretto a New York”. I sei avevano cominciato il loro viaggio tre giorni fa, quindi prima dell’ordine impartito da Trump. Inoltre erano già in possesso del visto di ingresso per entrare negli Stati Uniti. “Quando il funzionario all’aeroporto JFK è stato informato del loro status, ha emesso un ordine con cui ha vietato loro di entrare negli Stati Uniti – ha spiegato la fonte al Cairo – i passeggeri, che erano accompagnati da un rappresentante dell’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), sono stati messi al corrente del divieto ed è stato loro chiesto di fare una verifica presso le ambasciate americane che avevano emesso i loro visti”.
Anche la linea aerea olandese Klm ha reso noto che ha dovuto allontanare sette passeggeri. “Ci piacerebbe portarli a destinazione – ha detto Manel Vrijenhoek dell’ufficio stampa della Klm – ma per gli Stati Uniti queste persone non sono più benvenute”. Vrijenhoek non ha specificato le loro nazionalità, ma ha confermato che provengono dai Paesi colpiti dal divieto di immigrazione di tre mesi e che avrebbero dovuto volare con Klm diretti negli Usa da diversi aeroporti in tutto il mondo.
L’ordine esecutivo di Trump preoccupa anche Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, visto che più di 100 dipendenti dell’azienda sono colpiti dalla misura. Come riportato da Bloomberg, i lavoratori provenienti dai Paesi islamici sono stati invitati a “rientrare il prima possibile”. “È doloroso vedere il costo personale di questo ordine esecutivo sui nostri colleghi. Abbiamo sempre reso pubblica la nostra visione in materia di immigrazione e continueremo a farlo”, ha commentato lo stesso Pichai. Di uguale opinione Mark Zuckerberg, che si è detto “preoccupato” dalla stretta sui migranti e sulla sua pagina Facebook ha esortato il neo-presidente a mantenere aperti i confini degli Stati Uniti ai rifugiati e a non deportare milioni di persone “senza documenti” che non pongono alcuna minaccia alla sicurezza nazionale.