La resistenza all’ordine di Donald Trump di congelare l’accoglienza ai cittadini di sette paesi non passa solo attraverso le aule di giustizia e le manifestazioni in piazza. Nei prossimi cinque anni, Starbucks assumerà 10mila rifugiati. La catena di caffetterie – che ha store in tutto il mondo – risponde così alla decisione del presidente. In una lettera ai suoi dipendenti, l’amministratore delegato della azienda, Howard Schultz, ha affermato che le assunzioni riguarderanno i punti vendita in tutto il mondo, anche se inizieranno proprio dagli Stati Uniti, dove la priorità verrà data agli immigrati “che hanno servito con le forze Usa come interpreti o personale di supporto”.
Schultz, che alle elezioni presidenziali era schierato dalla parte di Hillary Clinton, nella sua lettera ha anche preso di mira altre iniziative politiche del presidente Trump, come le misure contro la riforma sanitaria Obamacare, e ha tra l’altro affermato che Starbucks sosterrà i coltivatori di caffè messicani. “Sto ascoltando l’allarme – ha scritto ancora Schultz – che voi tutti state sollevando per la civiltà e i diritti umani che finora davamo per garantiti e che sono sotto attacco”. “Vi scrivo oggi con grande preoccupazione, il cuore pesante e una ferma promessa”, si legge nella lettera scritta ai dipendenti perché sappiano che “noi non rimarremo a guardare, non rimarremo in silenzio mentre l’incertenza sulle iniziative della nuova amministrazione cresce ogni giorno che passa”. Ricordando la “lunga storia” della sua azienda nell’assumere giovani in cerca di opportunità, Schultz ha quindi annunciato: “Ci sono più di 65 milioni di cittadini del mondo riconosciuti come rifugiati dalle Nazioni unite e noi stiamo definendo piani per assumerne 10.000 nei prossimi cinque anni nei 75 paesi del mondo dove è presente Starbucks. E inizieremo qui negli Stati Uniti, concentrandoci inizialmente su questi individui che hanno servito le truppe Usa come interpreti e personale di supporto nei diversi paesi dove il nostro esercito ha chiesto sostegno”.
Nei giorni scorsi anche il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg si era detto preoccupato dalla stretta sui migranti esortando il presidente a mantenere aperti i confini degli Stati Uniti ai rifugiati che hanno bisogno di un rifugio sicuro e a non deportare milioni di persone senza documenti che non pongono alcuna minaccia alla sicurezza nazionale. Sulla stessa lunghezza d’onda i dirigenti di Twitter e Google, quest’ultima affrettatasi a far rientrare il prima possibile circa 100 suoi dipendenti provenienti dai Paesi islamici. Proprio i dirigenti di Google hanno dato vita a un fondo già dotato di 2 milioni di dollari, che con le donazioni dei dipendenti potrà raddoppiare, per rispondere alla crisi dei migranti attraverso quattro organizzazioni che si occupano del problema, American Civil Liberties Union (Aclu), l’Immigrant Legal Resource Center, l’International Rescue Committee e l’Unhcr. Mai il motore di ricerca aveva realizzato uno stanziamento simile per rispondere a una crisi. Anche Airbnb ha la sua strategia: la società degli affitti brevi ha detto che metterà a disposizione gratuitamente alloggi per aiutare coloro che sono rimasti intrappolati nel bando di Trump. Uber sta creando un fondo di difesa legale da 3 milioni di dollari per aiutare i suoi autisti con le questioni legate all’immigrazione. E la rivale Lyft ha annunciato ai suoi iscritti che donerà un milione di dollari all’Aclu per i prossimi 4 anni. L’associazione no profit, riporta il sito Slate, ha già raccolto una cifra record di oltre 24 milioni di dollari in donazioni durante il weekend: 6 volte di quello che raccoglie in un anno.