Critiche esterne, fuoco amico e polemiche interne. Il tutto corredato da toni di certo non diplomatici. Gli effetti del bando anti-immigrazione islamica voluto Donald Trump continua ad avere risvolti solo fino a un certo punto pronosticabili. Perché se le proteste di piazza e le reazioni dei leader europei erano quanto meno prevedibili, diverso il discorso per quanto sta accadendo all’interno degli Stati Uniti. E non tanto per le parole di Barack Obama, che nella sua prima dichiarazione pubblica si è detto preoccupato per i valori fondanti degli States, quanto per la guerra in atto tra una parte del corpo diplomatico Usa e la Casa Bianca. I diplomatici hanno manifestato dissenso palese per il provvedimento del tycoon, con l’entourage di Trump a rispondere per le rime: “Se non aderiscono al programma possono andare”. Tradotto: chi non sta con il presidente rischia grosso. Il botta e risposta tutto statunitense, tuttavia, è solo l’ultimo atto di una giornata contraddistinta dalle critiche al presidente. Accuse arrivate da ogni dove.
ONU: “ATTO LEGALE, MESCHINO E MALVAGIO”
Un atto “illegale“, “meschino” e “malvagio“. Ma anche uno spreco di risorse nella lotta al terrorismo. È la durissima definizione utilizzata dall’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Zeid Ràad Al Husein per definire l’ordine esecutivo con cui Donald Trump ha bloccato ingresso negli Stati Uniti di rifugiati e cittadini di 7 Paesi a maggioranza islamica. Una dichiarazione netta che arriva a tre giorni dalla decisione presidenziale di bloccare le frontiere statunitensi per i cittadini di Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.
“La discriminazione basata sulla nazionalità è proibita dal diritto umanitario“, ha commentato Zeid con un messaggio su Twitter. Sulla questione sono intervenuti anche l’Agenzia Onu per i rifugiati e l’Organizzazione mondiale per le migrazioni, che hanno chiesto agli Usa di mantenere la loro “lunga tradizione” di protezione di chi fugge dai conflitti. Secondo le Nazioni unite, da ottobre scorso le autorità Usa hanno ammesso 25.600 rifugiati, mentre nell’anno precedente i profughi accolti erano quasi 85 mila.
protesters and the tears of Senator Schumer. Secretary Kelly said that all is going well with very few problems. MAKE AMERICA SAFE AGAIN!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 30 gennaio 2017
UNIONE EUROPEA: “NOI NON DISCRIMINIAMO NESSUNO”
E nel giorno in cui la decisione di Trump raccoglie le durissime critiche da parte dell’Onu, anche Bruxelles prende una posizione netta. “Questa è l’Unione europea e noi non discriminiamo sulla base della nazionalità, della razza o della religione, non solo per l’asilo ma per qualsiasi altra nostra politica. La Commissione ed il presidente Juncker hanno costantemente ribadito il nostro attaccamento a questi principi”, ha detto il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas. che cita quanto scritto da Jean Claude Junker sul quotidiano tedesco Die Welt. “Dobbiamo fare scelte sul mondo in cui vogliamo vivere. Dobbiamo scegliere tra isolazionismo, disuguaglianza ed egoismo nazionale da una parte e apertura, uguaglianza sociale e forte solidarietà dall’altra. Scegliere tra la regressione ed il futuro. È difendendo l’apertura, l’uguaglianza sociale e la solidarietà che l’Europa può agire credibilmente sul palcoscenico mondiale”, è il passaggio ricordato da Schinas.
IL FRONTE INTERNO: DA OBAMA AI DIPLOMATICI, TUTTE LE ACCUSE
Sul fronte interno, invece, oltre alle proteste di piazza, il tycoon ha dovuto incassare anche le critiche del suo predecessore Barack Obama, secondo cui “i valori statunitensi sono in pericolo”. Al tempo stesso, tuttavia, l’ex presidente si è detto “incoraggiato” dall’impegno sociale scattato nel Paese contro le restrizioni all’immigrazione: “I cittadini che esercitano il loro diritto costituzionale di riunione, organizzazione e che fanno in modo che le loro voci vengano ascoltate dai funzionari eletti – è stato il parere di Obama, riportato dal suo portavoce Kevin Lewis – sono esattamente quello che speriamo di vedere quando i valori statunitensi sono in pericolo”. Si tratta della prima dichiarazione dell’ex inquilino della Casa Bianca da quando lo scorso 20 gennaio ha ceduto il potere a Trump. La protesta contro il bando del tycoon monta anche nella diplomazia made in Usa. Un numero imprecisato di diplomatici ha infatti sottoscritto un memorandum circolato internamente al Dipartimento di Stato, che ha confermato di essere al corrente del messaggio, veicolato attraverso il cosiddetto ‘canale del dissenso‘, un canale di comunicazione formale interna attraverso il quale diplomatici possono esprimere le proprie perplessità circa decisioni e politiche adottate. Non si è fatta attendere, però, la risposta ufficiale della Casa Bianca. “Se non aderiscono al programma possono andare” ha detto il portavoce Sean Spicer interpellato dai giornalisti sul dissenso dei diplomatici. “Se qualcuno ha problemi con l’agenda si pone la questione se debbano rimanere in quel ruolo o meno – ha aggiunto – Si tratta della sicurezza dell’America”.
DONALD TRUMP E LE ACCUSE ALL’EUROPA
Appena ieri, del resto, il presidente statunitense aveva tirato in ballo direttamente l’Europa per replicare all’ondata di polemiche scatenata dal suo ordine esecutivo. “Il nostro Paese ha bisogno di confini forti e di controlli rigidi, adesso Guardate a quello che sta succedendo in Europa e, anzi, in tutto il mondo – un caos orribile!”, ha scritto su twitter il neo inquilino della Casa bianca. Un concetto rilanciato sempre sui social network con un altro tweet: “Se bando fosse stato annunciato con una settimana di preavviso i cattivi si sarebbero precipitati nel nostro Paese nel corso di quella settimana. Ci sono parecchi cattivi ragazzi la fuori”.
Da Bruxelles. però, non arriva solo una dura presa di posizione nei confronti di Trump. Perché il portavoce della Commissione ha anche annunciato che l’Unione europea sta analizzando il divieto di ingresso negli Stati Uniti per valutare se riguardi o meno gli europei. Schinas, infatti, ha spiegato che l’Ue sta ricevendo “input contrastanti” sull’eventualità che il divieto riguardi i cittadini europei con doppia nazionalità.
There is nothing nice about searching for terrorists before they can enter our country. This was a big part of my campaign. Study the world!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 30 gennaio 2017
Il riferimento agli “input contrastanti” è evidentemente legato a quanto sta avvenendo in Germania e Inghilterra. A Berlino l’ambasciata Usa ha annunciato che anche i cittadini che abbiano la doppia nazionalità – con un passaporto rilasciato da uno dei sette Paesi colpiti dallo stop all’entrata su suolo americano – sono pregati di “non chiedere visti” per gli Stati Uniti. A riferirlo è il portavoce del ministro degli Esteri tedesco, in una conferenza stampa durante la quale ha letto il messaggio pubblicato su twitter dall’ambasciata americana. Secondo il governo di Berlino, saranno decine di migliaia i cittadini tedeschi, in possesso di doppia nazionalità, che verranno colpiti dallo stop degli Usa. Nel dettaglio si parla di 80 mila tedeschi di origine iraniana, oltre 30 mila di origine irachena, e circa 25 mila persone provenienti dalla Siria. Si aggiungono a questi mille sudanesi, 500 libici e 300 yemeniti. Numeri che però risalgono ai censimenti regionali fatti nel 2011, come ha precisato il portavoce del ministero del’Interno.
STOP A DOPPIO PASSAPORTO, MA NON PER I BRITANNICI
Al contrario lo stop ai cittadini con doppio passaporto non verrà applicato invece ai britannici. Lo ha spiegato il Foreign Office, dopo che il governo di Theresa May aveva già fatto trapelare sui giornali la stessa notizia, per giustificare la decisione di non cancellare la visita di Stato di Trump a Londra già in agenda per i prossimi mesi malgrado le pressioni delle opposizioni e di una petizione popolare. “Noi non siamo d’accordo con queste restrizioni, non è il modo con cui lo faremmo”, ha detto il portavoce di Downing Street specificando che di aver ottenuto un chiarimento sul fatto che i cittadini britannici con “doppio passaporto saranno autorizzati a viaggiare” verso gli Usa e che i loro “diritti” saranno rispettati.
Mistero invece sulle condizioni che saranno riservate alle migliaia di ebrei israeliani nate nei paesi del Medio Oriente interessati dal provvedimento. Proprio su questo punto, Israele sta chiedendo chiarimenti alla rappresentanza diplomatica Usa. In Israele ci sono, secondo dati ufficiali, circa 140 mila persone nate nei sette paesi coinvolti dal provvedimento di Trump. Tra questi, circa 45 mila sono nati in Iran e 53 mila in Iraq ed il luogo di nascita è riportato sul passaporto israeliano. La maggioranza di loro ha oltre 65 anni e molti sono fuggiti dalle persecuzioni nei paesi di origine.
CONTINUA IL CAOS NEGLI AEROPORTI
Intanto continua il caos negli aeroporti. “Secondo le nostre informazioni ci sono almeno 100 persone intrappolate negli aeroporti ma potrebbero essere molte di più, non tutti sono riusciti a comunicare con l’esterno. E c’è chi è stato rispedito indietro, perché alle guardie di frontiera resta il diritto di agire con discrezionalità”, ha detto al quotidiano Repubblica Nicholas Espiritu del National Immigration Law Center, uno degli avvocati che sabato mattina ha firmato il documento dove si chiede la revoca del decreto di Trump. Lo stesso presidente è intervenuto su twitter, scrivendo che “i problemi agli aeroporti sono stati causati dal blocco dei computer Delta, dai manifestanti e dalle lacrime del senatore Schumer. Il segretario Kelly dice che tutto sta andando bene con pochissimi problemi. Rendiamo l’America sicura di nuovo”. Il presidente ha sostenuto che “solo 109 persone su 325.000 sono state fermate”, per poi commentare: “Non c’è niente di bello nel cercare terroristi prima che possano entrare nel nostro Paese. Questo era una grossa parte della mia campagna, studiate il mondo!”.
If the ban were announced with a one week notice, the “bad” would rush into our country during that week. A lot of bad “dudes” out there!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 30 gennaio 2017
E in effetti è da tutto il mondo che continuano ad arrivare reazioni contrarie al primo sostanziale atto da presidente del tychoon. Secondo l’Organizzazione della cooperazione islamica “atti selettivi e discriminatori come questi serviranno solo a incoraggiare la narrativa radicale degli estremisti“. Sulla stessa lunghezza d’onda il commento del premio Nobel per la pace, Shirin Ebadi. “Non si può prevedere sin da ora il risultato delle elezioni, ma credo che le decisioni estreme nei rapporti tra i due Paesi accrescano l’estremismo aumentando le probabilità che gli oltranzisti prendano più potere”, ha detto l’avvocata iraniana.
Il segretario generale della Lega Araba Ahmed Aboul-Gheit, invece, chiesto alla nuova amministrazione americana di riconsiderare l’ordine esecutivo. “Queste limitazioni – ha detto – contraddicono gli sviluppi positivi che il mondo ha visto negli ultimi decenni, caratterizzati dall’apertura tra le nazioni e dalla libertà di movimento delle persone. Sospendere l’arrivo di rifugiati siriani negli Usa – ha continuato – anche se temporaneamente, è una fonte di particolare preoccupazione, considerata la gravità della tragedia siriana, che negli ultimi anni ha portato a un massimo flusso di rifugiati”, ha aggiunto.
Il sindaco di Madrid Manuela Carmena, eletta con Podemos, ha invece bollato l’ascesa al potere del presidente americano con quella di Adolf Hitler. “Sappiamo – ha affermato in consiglio comunale – che è un governo legittimamente eletto e appoggiato da un gran numero di cittadini. Ma nel XX secolo abbiamo vissuto le peggiori violazioni dei diritti umani da parte di un governo che pure inizialmente aveva l’appoggio dagli elettori, e che ha causato terribili genocidi“. Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel è tornata a commentare le decisioni di Trump. già definite in precedenza come “ingiustificate. “La necessaria e decisiva lotta al terrorismo non giustifica in alcun modo un generale sospetto contro persone di una specifica fede, in questo caso musulmana, o persone di specifica origine. L’azione contraddice a mio avviso il concetto fondamentale dell’aiuto internazionale ai profughi e della cooperazione internazionale”, ha detto prima del colloquio con il presidente ucraino Petro Poroschenko..
Intanto il Parlamento iracheno ha chiesto al governo di Baghdad di “rivalersi” con misure analoghe contro gli Stati Uniti. A riferilo è l’agenzia di stampa Dpa, che sottolinea come il voto non dovrebbe essere vincolante per il governo del premier Haider al-Abadi. In Iraq sono dispiegati oltre 5.000 soldati Usa per sostenere la battaglia delle forze di sicurezza irachene e dei combattenti curdi contro l’Is.