La diffusione in massa dell’auto elettrica non è neppure entrata nella fase iniziale di sviluppo, e già torna d’attualità il problema dell’approvvigionamento dell’energia necessaria per tutte le ricariche. O, per meglio specificare, il problema dell’assorbimento di energia elettrica negli orari di punta, che in ogni caso pare mettere seriamente in crisi il sogno dell’energia pulita esclusivamente da fonti rinnovabili.
Le previsioni riguardano per ora la Francia, tra le nazioni più attive nell’Unione Europea verso l’elettrificazione della mobilità insieme alla Germania: secondo un recente studio della Enedis, società francese di distribuzione dell’energia elettrica sul territorio, già nel 2030 la ricarica dei veicoli elettrici (EV) assorbirà addirittura il 30% dell’intera disponibilità del Paese, soprattutto negli orari di possibile accumulo con altri elettrodomestici: fatalmente nelle ore serali e notturne dopo le 19.Vale a dire, nel momento in cui la gran parte degli utenti rincasa e collega il veicolo alla rete per la ricarica quotidiana.
Secondo il programma francese di allestimento delle infrastrutture, già alla fine di quest’anno – il 2017 – saranno disponibili al pubblico 122 mila postazioni di ricarica, di cui quasi metà posizionate all’interno di aziende, un terzo nelle abitazioni private ed il rimanente terzo collocato su strade pubbliche: la somma della potenza installata corrisponderà a 730 MegaWatt, quantità di corrente che già così assorbe l’intera produzione di 240 impianti eolici.
Del resto, i piani francesi, se confermati, prevedono di raggiungere attorno ai due milioni di vetture elettriche circolanti nel 2020, mentre la Germania ne preventiva circa la metà per la stessa data: non è difficile immaginare scenari simili di richiesta energetica in pieno “boom” elettrico, come sarà nel 2030.
Naturalmente, la Francia in testa ha a disposizione in primo piano l’energia nucleare per soddisfare il fabbisogno del Paese (questa fonte nel 2011 ha rappresentato il 77,7% dell’energia elettrica prodotta) accanto alle rinnovabili pur in sviluppo, ma certamente per le nazioni “satellite” di questa fornitura gli oneri non saranno certo gli stessi: se gli scenari dell’elettrificazione della mobilità dovessero (in un futuro non troppo vicino, visto che il numero di auto elettriche circolanti è ancora basso) investire pienamente anche il Belpaese, il costo della ricarica – ma ancor più il prezzo per poter disporre di surplus di energia elettrica nei momenti topici di maggior assorbimento – rischia di divenire una voce cruciale di freno a questo genere di sviluppo.
Con il referendum del 1987 prima, seguito da quelli abrogativi del 2011 poi, in Italia ad esempio si è chiuso definitivamente il capitolo dell’energia nucleare, con le quattro centrali esistenti ormai chiuse da tempo (Trino Vercellese-Piemonte, Caorso-Emilia Romagna, Latina-Lazio, Garigliano-Campania). Ma questa scelta ci obbliga tutt’ora ad acquistare energia all’estero – di origine sostanzialmente nucleare – per il nostro fabbisogno, richiesta che cresce in special modo proprio nei picchi di assorbimento di energia elettrica: l’importazione di questa è nell’ordine del 14% circa del fabbisogno (dati 2014, Terna.it). La produzione di energia elettrica nazionale è invece affidata in buona misura a partire da fonti energetiche non rinnovabili, di cui ampia parte importata dall’estero (carbone e petrolio), e a una sostanziosa porzione di produzione affidata a fonti rinnovabili, circa il 43% – in crescita – ottenuta da geotermico, centrali idroelettriche, energia eolica, biomasse, solare.