L’inizio è spiazzante: “Ti ascolto”. Trenta e più anni di sue radiocronache e la prima frase di Riccardo Cucchi ribalta i ruoli. “In realtà il segreto di Tutto il calcio minuto per minuto è proprio quello: essendo un prodotto circolare, dobbiamo essere protagonisti e allo stesso tempo ascoltatori del racconto per capire quando è il momento di fermarsi o di interrompere un collega. Da questo discende l’attitudine ad ascoltare”. Sessantacinque anni ad agosto, la prima voce del calcio ai microfoni di Rai Radio1 va in pensione. Inter-Empoli sarà l’ultima partita durante la quale i “gentili radioascoltatori” potranno seguire la sua narrazione. La prima volta in cui Cucchi prese la linea fu in un Campobasso-Fiorentina di Coppa Italia: “Ezio Luzzi era malato, toccò a me”. L’esordio in Serie A risale al 1982, Roma-Ascoli. Da allora, un numero indefinito di partite (“Mai preso nota di quante fossero, Sandro Ciotti fu più bravo di me”), nove edizioni delle Olimpiadi con l’oro dei fratelli Abbagnale nel cuore (“Avevo accanto Giampiero Galeazzi, urlava come un ossesso”), il sogno irrealizzabile di seguire in diretta la maratona di Londra 1908. E tanti momenti intimi da recuperare: “Ho due cose da fare domenica prossima, la prima senza microfono: pranzare finalmente con mia moglie e tornare ad essere quel bambino che a otto anni accese la radio e scoprì l’amore”.
Grazie a chi è scoccata la scintilla?
Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Nicolò Carosio e tutti gli altri straordinari artisti della parola. Con i primi radiocronisti di Tutto il calcio minuto per minuto ho iniziato a sognare di fare questo mestiere, ci sono riuscito ed è una cosa meravigliosa.
La porta si spalancò nel 1979 grazie al concorso Rai.
Capo della commissione d’esame era Sergio Zavoli, una specie di papa per tutti noi. Durante l’orale mi chiese con quel suo tono ecclesiale: “Ma lei, se noi decidessimo davvero un giorno di assumerla, cosa vorrebbe fare?”. Osai rispondere che mi sarebbe piaciuto essere un giornalista sportivo. “E allora mi faccia vedere come racconterebbe una partita di calcio”, mi disse. Zavoli però non poteva sapere che fin da bambino giocavo a fare la radiocronaca con l’album delle figurine davanti, un registratore a bobina accanto e mio cugino a fare il secondo campo. Insomma, quel giorno ero abbastanza preparato.
A quella cronaca improvvisata ne sono seguite quante in diretta?
Ricordo la prima, Campobasso-Fiorentina. Accade per caso. Ezio Luzzi aveva la febbre alta e toccò a me. Poi ho perso il conto. Sandro Ciotti fu molto più bravo: in un’intervista disse il numero esatto di partite che aveva seguito. Io non ho mai preso nota. Ma lui aveva il vantaggio che, ai suoi tempi, si giocava solo la domenica, al massimo il mercoledì si seguiva una partita di coppa. Quando nel 1994 diventai una prima voce, anticipi e posticipi iniziavano a moltiplicarsi. Oggi non è più sufficiente contare le settimane per risalire al numero di partite raccontate.
Prima degli esordi al microfono, la Rai affiancava i giovani ai radiocronisti dell’epoca. Lei si è formato accanto ad Enrico Ameri. Un segreto che ha rubato?
Eravamo in cabina con loro, silenziosi. Il nostro unico compito era imparare il mestiere. Dovevamo capire come preparavano le partite, come impostavano il racconto. La mia prima volta accanto ad Ameri fu per un Milan-Juventus. Ero un ragazzino e anche parecchio emozionato. Mi permisi di chiedere: ‘Maestro, ma cosa deve fare un radiocronista prima di iniziare una diretta?”. Mettendomi una mano sulla spalla, sorrise e rispose: “Vai in bagno, che dopo non ne hai il tempo”. Un insegnamento che ho seguito pedissequamente.
La prima radiocronaca di Serie A?
Fu un Roma-Ascoli, 2-1, stadio Olimpico. Era il 1982, la Roma vinse poi lo scudetto. Mi trovai in scaletta dopo Ameri, Ciotti, Provenzali e Ferretti. Mi tremavano le gambe. Andò bene, per fortuna.
Quale giocatore l’ha esaltata più di ogni altro?
Diego Armando Maradona, una meraviglia. Un gioiello, mai visto niente di simile dal vivo. Ricordo una partita in particolare, a Como. La tribuna stampa era accanto al terreno di gioco, si coglievano i dettagli: la velocità e la leggerezza con cui percorreva il campo, malgrado non fosse magro. Ero esterrefatto e lo sono ancora oggi se ci ripenso. Il più grande in assoluto.
L’allenatore più garbato con il quale ha avuto a che fare.
Osvaldo Bagnoli, un maestro di semplicità e umiltà. Aveva la grande capacità di mettere a proprio agio i giornalisti e lasciava che parlassero di calcio. Spesso la domanda di un cronista, specialmente giovane come me allora, se è tecnica, può essere interpretata in maniera fastidiosa. Osvaldo invece rispondeva con leggerezza, dandoti importanza. E sapeva spiegare. I suoi interventi in radio erano delle lezioni per noi e per gli ascoltatori.
La squadra che più l’ha divertita durante le radiocronache?
Il Milan di Sacchi era meraviglioso: meccanismo perfetto, automatismi straordinari. Uno spettacolo della natura. Devo dire però che anche le squadre allenate da Zeman avevano un tasso altissimo di spettacolarità. Ho visto il suo Licata, in B, giocare un calcio incredibile.
Gli stadi sono una cornice importante per il vostro lavoro. Qual è il più coinvolgente?
In Italia, il San Paolo di Napoli. Penso che concordino tutti i colleghi. Quel pubblico ti travolge, ti esalta, ti mozza il fiato. È davvero il dodicesimo uomo in campo, capace di avvisare i calciatori quando arriva un avversario da dietro. La loro partecipazione ti spinge a dare il massimo, anche al microfono. La nostra postazione è sospesa: quando il pubblico salta, trema. All’estero, il Santiago Bernabeu incute paura. Ricordo una volta da secondo di Ameri: avevo il compito di intervistare i giornalisti della carta stampata durante le pause di gioco. Ma, nonostante indossassi la cuffia, non riuscivo a sentirli.
C’è una partita che avrebbe voluto raccontare ma spettò a un collega?
Con permesso, lascio il mondo del calcio. Per ovvie ragioni anagrafiche non ho potuto, ma mi sarebbe piaciuto seguire la maratona di Dorando Pietri a Londra 1908. Se in quell’epoca ci fosse stata la possibilità di raccontarla in diretta, trasferendo le emozioni e lo sviluppo psicologico, credo che sarebbe stata la radiocronaca più bella del mondo, quella che tutti avrebbero voluto riascoltare per sempre. È l’emblema dello sport, del sacrificio, anche dell’amicizia che per sorreggerti finisce per danneggiarti. Fu molto esaltante seguire la maratona di Seul 1988, quando Gelindo Bordin entrò da solo nello stadio. Non immagino cosa avrei potuto dire raccontando il dramma di Pietri.
Più emozionante raccontare un successo calcistico o un oro olimpico?
Il calcio a volte ti respinge un po’, specie quello moderno, perché i protagonisti sono lontani da noi. In altre epoche era possibile andare negli alberghi, parlare con gli allenatori subito dopo il pranzo pre-partita. La Rai lo faceva tutte le domeniche all’interno di Anteprima Sport. Ora non è più così. Durante i Giochi, invece, racconti le storie e le emozioni di ragazzi tutto fuorché milionari, che praticano sport soltanto per vincere quella medaglia. La più emozionante di tutte? La scherma mi ha regalato momenti esaltanti con Mauro Numa, Giovanna Trillini e Valentina Vezzali, ma l’oro dei fratelli Abbagnale a Los Angeles conserva un posto speciale nei miei ricordi: avevo accanto Giampiero Galeazzi che urlava come un ossesso.
La cronaca delle Olimpiadi è uno dei pochi momenti in cui anche in radio ci si lascia prendere dall’aggettivazione. Nel calcio, il vostro mezzo ha mantenuto un racconto semplice e lineare, nudo e concreto. Solo il gol di Fabio Grosso contro la Germania e il suo rigore in finale l’hanno spinta un po’ più in là.
Lo dico nell’ottica dell’ascoltatore: è giusto lasciarsi andare solo se c’è la Nazionale. Se racconto una partita di due squadre italiane devo alzare il tono della voce allo stesso modo, l’obiettività è anche questo. Durante i Mondiali di undici anni fa, invece, l’ebbrezza e la gioia mi hanno trascinato oltre ogni confine razionale e logico. Chi pensava che l’Italia vincesse il titolo? La notte dopo la finale non chiusi occhio. Passeggiai per le vie di Berlino fino al primo collegamento con il giornale radio del giorno dopo.
Si racconta che lei sia stato il deus ex machina di tutte le trattative per i diritti radiofonici. E Radio Rai è davvero la casa dello sport.
È stato un mio puntiglio. La Rai si può criticare o prendere a schiaffi, ma resta la mia casa e sono legato soprattutto all’idea del bel servizio pubblico. Chi non può pagare un abbonamento alle pay-tv deve avere nella radio una valida alternativa. Ogni volta che raccontiamo lo sport sottolineiamo il nostro ruolo di servizio pubblico. Per questo mi sono battuto come un leone per riuscire ad avere un’offerta ampia. Certo, rispetto alla televisione, per noi il percorso è stato più facile poiché fino ad oggi non abbiamo mai avuto un vero competitor e i nostri diritti hanno un prezzo irrisorio rispetto alla tv, che paga anche la concorrenza dei giganti privati. Ma non dobbiamo mai perdere di vista che un evento trasmesso da noi per gli ascoltatori non ha un costo. Spero che lo tenga presente chi seguirà le trattative dopo di me.
Adesso avrà parecchio tempo libero. Come lo impegnerà?
Sono innamorato della letteratura sudamericana e, più in generale, un divoratore onnivoro di libri. Credo di non aver mai iniziato un viaggio senza almeno un romanzo in valigia. E poi essendo un melomane, amante in particolare di Puccini e Wagner, girerò per teatri vedendo un po’ di opere. Venerdì abbiamo fatto un brindisi di saluto con i colleghi. Hanno evitato di regalarmi targhe o microfoni d’argento, cose terribilmente tristi, preferendo due biglietti per la Madama Butterfly, a Torre del Lago, durante il Festival Puccini. Direi che dopo quarant’anni passati fianco a fianco, hanno imparato a conoscermi.
twitter: @andtundo
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Riccardo Cucchi e l’ultima radiocronaca: tra storie e calcio d’antan, va in pensione la voce di tante domeniche italiane
Inter-Empoli sarà l'ultima, Campobasso-Fiorentina è stata la prima: nel mezzo centinaia di partite di calcio ed eventi sportivi raccontati con uno stile inconfondibile, ereditato dai grandi maestri di Radio Rai. Il giornalista appende il microfono al chiodo: spegnerà una voce che ha accompagnato i fine settimana sportivi di milioni di italiani. "Mi dedicherò alla lettura e all'opera, le mie più grandi passioni" dice al Fatto.it a 24 ore dall'addio
L’inizio è spiazzante: “Ti ascolto”. Trenta e più anni di sue radiocronache e la prima frase di Riccardo Cucchi ribalta i ruoli. “In realtà il segreto di Tutto il calcio minuto per minuto è proprio quello: essendo un prodotto circolare, dobbiamo essere protagonisti e allo stesso tempo ascoltatori del racconto per capire quando è il momento di fermarsi o di interrompere un collega. Da questo discende l’attitudine ad ascoltare”. Sessantacinque anni ad agosto, la prima voce del calcio ai microfoni di Rai Radio1 va in pensione. Inter-Empoli sarà l’ultima partita durante la quale i “gentili radioascoltatori” potranno seguire la sua narrazione. La prima volta in cui Cucchi prese la linea fu in un Campobasso-Fiorentina di Coppa Italia: “Ezio Luzzi era malato, toccò a me”. L’esordio in Serie A risale al 1982, Roma-Ascoli. Da allora, un numero indefinito di partite (“Mai preso nota di quante fossero, Sandro Ciotti fu più bravo di me”), nove edizioni delle Olimpiadi con l’oro dei fratelli Abbagnale nel cuore (“Avevo accanto Giampiero Galeazzi, urlava come un ossesso”), il sogno irrealizzabile di seguire in diretta la maratona di Londra 1908. E tanti momenti intimi da recuperare: “Ho due cose da fare domenica prossima, la prima senza microfono: pranzare finalmente con mia moglie e tornare ad essere quel bambino che a otto anni accese la radio e scoprì l’amore”.
Grazie a chi è scoccata la scintilla?
Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Nicolò Carosio e tutti gli altri straordinari artisti della parola. Con i primi radiocronisti di Tutto il calcio minuto per minuto ho iniziato a sognare di fare questo mestiere, ci sono riuscito ed è una cosa meravigliosa.
La porta si spalancò nel 1979 grazie al concorso Rai.
Capo della commissione d’esame era Sergio Zavoli, una specie di papa per tutti noi. Durante l’orale mi chiese con quel suo tono ecclesiale: “Ma lei, se noi decidessimo davvero un giorno di assumerla, cosa vorrebbe fare?”. Osai rispondere che mi sarebbe piaciuto essere un giornalista sportivo. “E allora mi faccia vedere come racconterebbe una partita di calcio”, mi disse. Zavoli però non poteva sapere che fin da bambino giocavo a fare la radiocronaca con l’album delle figurine davanti, un registratore a bobina accanto e mio cugino a fare il secondo campo. Insomma, quel giorno ero abbastanza preparato.
A quella cronaca improvvisata ne sono seguite quante in diretta?
Ricordo la prima, Campobasso-Fiorentina. Accade per caso. Ezio Luzzi aveva la febbre alta e toccò a me. Poi ho perso il conto. Sandro Ciotti fu molto più bravo: in un’intervista disse il numero esatto di partite che aveva seguito. Io non ho mai preso nota. Ma lui aveva il vantaggio che, ai suoi tempi, si giocava solo la domenica, al massimo il mercoledì si seguiva una partita di coppa. Quando nel 1994 diventai una prima voce, anticipi e posticipi iniziavano a moltiplicarsi. Oggi non è più sufficiente contare le settimane per risalire al numero di partite raccontate.
Prima degli esordi al microfono, la Rai affiancava i giovani ai radiocronisti dell’epoca. Lei si è formato accanto ad Enrico Ameri. Un segreto che ha rubato?
Eravamo in cabina con loro, silenziosi. Il nostro unico compito era imparare il mestiere. Dovevamo capire come preparavano le partite, come impostavano il racconto. La mia prima volta accanto ad Ameri fu per un Milan-Juventus. Ero un ragazzino e anche parecchio emozionato. Mi permisi di chiedere: ‘Maestro, ma cosa deve fare un radiocronista prima di iniziare una diretta?”. Mettendomi una mano sulla spalla, sorrise e rispose: “Vai in bagno, che dopo non ne hai il tempo”. Un insegnamento che ho seguito pedissequamente.
La prima radiocronaca di Serie A?
Fu un Roma-Ascoli, 2-1, stadio Olimpico. Era il 1982, la Roma vinse poi lo scudetto. Mi trovai in scaletta dopo Ameri, Ciotti, Provenzali e Ferretti. Mi tremavano le gambe. Andò bene, per fortuna.
Quale giocatore l’ha esaltata più di ogni altro?
Diego Armando Maradona, una meraviglia. Un gioiello, mai visto niente di simile dal vivo. Ricordo una partita in particolare, a Como. La tribuna stampa era accanto al terreno di gioco, si coglievano i dettagli: la velocità e la leggerezza con cui percorreva il campo, malgrado non fosse magro. Ero esterrefatto e lo sono ancora oggi se ci ripenso. Il più grande in assoluto.
L’allenatore più garbato con il quale ha avuto a che fare.
Osvaldo Bagnoli, un maestro di semplicità e umiltà. Aveva la grande capacità di mettere a proprio agio i giornalisti e lasciava che parlassero di calcio. Spesso la domanda di un cronista, specialmente giovane come me allora, se è tecnica, può essere interpretata in maniera fastidiosa. Osvaldo invece rispondeva con leggerezza, dandoti importanza. E sapeva spiegare. I suoi interventi in radio erano delle lezioni per noi e per gli ascoltatori.
La squadra che più l’ha divertita durante le radiocronache?
Il Milan di Sacchi era meraviglioso: meccanismo perfetto, automatismi straordinari. Uno spettacolo della natura. Devo dire però che anche le squadre allenate da Zeman avevano un tasso altissimo di spettacolarità. Ho visto il suo Licata, in B, giocare un calcio incredibile.
Gli stadi sono una cornice importante per il vostro lavoro. Qual è il più coinvolgente?
In Italia, il San Paolo di Napoli. Penso che concordino tutti i colleghi. Quel pubblico ti travolge, ti esalta, ti mozza il fiato. È davvero il dodicesimo uomo in campo, capace di avvisare i calciatori quando arriva un avversario da dietro. La loro partecipazione ti spinge a dare il massimo, anche al microfono. La nostra postazione è sospesa: quando il pubblico salta, trema. All’estero, il Santiago Bernabeu incute paura. Ricordo una volta da secondo di Ameri: avevo il compito di intervistare i giornalisti della carta stampata durante le pause di gioco. Ma, nonostante indossassi la cuffia, non riuscivo a sentirli.
C’è una partita che avrebbe voluto raccontare ma spettò a un collega?
Con permesso, lascio il mondo del calcio. Per ovvie ragioni anagrafiche non ho potuto, ma mi sarebbe piaciuto seguire la maratona di Dorando Pietri a Londra 1908. Se in quell’epoca ci fosse stata la possibilità di raccontarla in diretta, trasferendo le emozioni e lo sviluppo psicologico, credo che sarebbe stata la radiocronaca più bella del mondo, quella che tutti avrebbero voluto riascoltare per sempre. È l’emblema dello sport, del sacrificio, anche dell’amicizia che per sorreggerti finisce per danneggiarti. Fu molto esaltante seguire la maratona di Seul 1988, quando Gelindo Bordin entrò da solo nello stadio. Non immagino cosa avrei potuto dire raccontando il dramma di Pietri.
Più emozionante raccontare un successo calcistico o un oro olimpico?
Il calcio a volte ti respinge un po’, specie quello moderno, perché i protagonisti sono lontani da noi. In altre epoche era possibile andare negli alberghi, parlare con gli allenatori subito dopo il pranzo pre-partita. La Rai lo faceva tutte le domeniche all’interno di Anteprima Sport. Ora non è più così. Durante i Giochi, invece, racconti le storie e le emozioni di ragazzi tutto fuorché milionari, che praticano sport soltanto per vincere quella medaglia. La più emozionante di tutte? La scherma mi ha regalato momenti esaltanti con Mauro Numa, Giovanna Trillini e Valentina Vezzali, ma l’oro dei fratelli Abbagnale a Los Angeles conserva un posto speciale nei miei ricordi: avevo accanto Giampiero Galeazzi che urlava come un ossesso.
La cronaca delle Olimpiadi è uno dei pochi momenti in cui anche in radio ci si lascia prendere dall’aggettivazione. Nel calcio, il vostro mezzo ha mantenuto un racconto semplice e lineare, nudo e concreto. Solo il gol di Fabio Grosso contro la Germania e il suo rigore in finale l’hanno spinta un po’ più in là.
Lo dico nell’ottica dell’ascoltatore: è giusto lasciarsi andare solo se c’è la Nazionale. Se racconto una partita di due squadre italiane devo alzare il tono della voce allo stesso modo, l’obiettività è anche questo. Durante i Mondiali di undici anni fa, invece, l’ebbrezza e la gioia mi hanno trascinato oltre ogni confine razionale e logico. Chi pensava che l’Italia vincesse il titolo? La notte dopo la finale non chiusi occhio. Passeggiai per le vie di Berlino fino al primo collegamento con il giornale radio del giorno dopo.
Si racconta che lei sia stato il deus ex machina di tutte le trattative per i diritti radiofonici. E Radio Rai è davvero la casa dello sport.
È stato un mio puntiglio. La Rai si può criticare o prendere a schiaffi, ma resta la mia casa e sono legato soprattutto all’idea del bel servizio pubblico. Chi non può pagare un abbonamento alle pay-tv deve avere nella radio una valida alternativa. Ogni volta che raccontiamo lo sport sottolineiamo il nostro ruolo di servizio pubblico. Per questo mi sono battuto come un leone per riuscire ad avere un’offerta ampia. Certo, rispetto alla televisione, per noi il percorso è stato più facile poiché fino ad oggi non abbiamo mai avuto un vero competitor e i nostri diritti hanno un prezzo irrisorio rispetto alla tv, che paga anche la concorrenza dei giganti privati. Ma non dobbiamo mai perdere di vista che un evento trasmesso da noi per gli ascoltatori non ha un costo. Spero che lo tenga presente chi seguirà le trattative dopo di me.
Adesso avrà parecchio tempo libero. Come lo impegnerà?
Sono innamorato della letteratura sudamericana e, più in generale, un divoratore onnivoro di libri. Credo di non aver mai iniziato un viaggio senza almeno un romanzo in valigia. E poi essendo un melomane, amante in particolare di Puccini e Wagner, girerò per teatri vedendo un po’ di opere. Venerdì abbiamo fatto un brindisi di saluto con i colleghi. Hanno evitato di regalarmi targhe o microfoni d’argento, cose terribilmente tristi, preferendo due biglietti per la Madama Butterfly, a Torre del Lago, durante il Festival Puccini. Direi che dopo quarant’anni passati fianco a fianco, hanno imparato a conoscermi.
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Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Le scelte nello stile di vita possono avere un impatto significativo anche nella gestione della fibrillazione atriale, un disturbo del ritmo cardiaco che rischia di sviluppare 1 over 40 su 4 e che rappresenta una delle principali cause di ictus che colpisce milioni di donne e uomini in tutta Europa. Alcuni alimenti come alcol, caffeina o cibi piccanti possono scatenare un episodio di questa condizione cronica che spesso può passare inosservata: molti non ne sono consapevoli e non ricevono una diagnosi. Per aiutare le persone a comprendere meglio il legame tra alimentazione e fibrillazione atriale - riporta una nota - Daiichi Sankyo Europe ha ospitato a Milano oggi 'Beats and Bites', che gioca sul suono dei termini inglesi 'battiti e morsi'. All'evento, esperti di malattie cardiovascolari insieme alla European Nutrition for Health Alliance e Alice (Associazione per la lotta all'ictus cerebrale) Lombardia hanno affrontato le preoccupazioni comuni ed evidenziato le strategie di riduzione del rischio con la partecipazione dello chef italiano Ruben Bondì, che ha creato un menù di ricette semplici, gustose e salutari per il cuore.
"Gli operatori sanitari oggi devono fornire ai pazienti le giuste informazioni per comprendere il loro rischio di fibrillazione atriale e adottare misure proattive di prevenzione - spiega Daniele Andreini, direttore della Divisione di Cardiologia universitaria e Imaging cardiaco dell'Irccs ospedale Galeazzi Sant'Ambrogio di Milano - I cambiamenti nello stile di vita, come il movimento regolare e l'alimentazione equilibrata, svolgono un ruolo cruciale nel migliorare la salute del cuore". Tra le strategie alimentari da adottare, gli esperti consigliano: consumare 2 porzioni di pesce ricco di omega-3 alla settimana per gli adulti e ridurre il sale a meno di 5 g al giorno; fare attenzione alle dimensioni delle porzioni e gestire i livelli di stress e di sonno, che potrebbero portare all'obesità e complicare i problemi cardiovascolari se non gestiti correttamente. Infine, fare circa 2 ore di esercizio fisico di intensità moderata alla settimana - passeggiare, fare le scale o ballare - oltre ad un allenamento di resistenza, 2 giorni alla settimana.
"Eventi come 'Beats and Bites' forniscono un utile supporto, offrendo consigli pratici e mostrando l'impatto che semplici cambiamenti nella dieta e nel movimento possono avere nel ridurre il rischio di fibrillazione atriale - rimarca Giacomo Falzi, vicepresidente Alice Lombardia - E' incoraggiante vedere al centro dell'attenzione il benessere dei pazienti, con esperti e sostenitori che si uniscono per dare a individui e famiglie la possibilità di assumere il controllo della propria salute cardiovascolare".
Le lacune nella conoscenza e nella gestione della fibrillazione atriale lasciano molti pazienti senza le informazioni e il supporto di cui hanno bisogno. "Daiichi Sankyo Europa aspira ad arricchire la qualità della vita delle persone in tutto il mondo - afferma Ilaria Leggeri, direttore del Patient Engagement della farmaceutica - Per questo è necessario andare oltre la malattia, guardare alle persone che convivono con la patologia, alla loro qualità della vita, alle loro scelte di vita e ai risultati che contano per loro". L'evento 'Beats and Bites' fa parte della più ampia iniziativa dell'azienda 'Il tuo cuore, nelle tue mani: fibrillazione atriale', dedicata all'educazione e alla responsabilizzazione delle persone, affinché diano priorità alla loro salute cardiovascolare.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - In occasione della Giornata dell'Unità nazionale e del Tricolore, che ricorre lunedì prossimo, 17 marzo, sulla facciata di Montecitorio verrà proiettata la bandiera nazionale, dalla mezzanotte e nelle successive ore serali e notturne.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.