La Storia degli uomini, secondo il mega post di Zuckerberg, è segnata dallo “stare insieme” in varie e progredenti maniere: dalle tribù, alle città, alle nazioni. Tutte riconducibili, se ben capiamo, allo stare connessi. E i social network hanno per l’appunto concretizzato la connessione globale. Quanto progresso!
Ma non c’è connessione che non esalti le differenze, come insegnano i conflitti mondiali, le guerre civili, gli scontri sociali, i litigi sui pianerottolo, giù giù fino alle piazzate nei talk show. Insomma, le differenze dominano quanto le somiglianze, e corrono non solo, e non tanto, fra macro-aree geopolitiche, quanto fra i singoli individui, anche se usi a prendersi un caffè allo stesso bar sotto casa o premuti tra i passeggeri dello stesso vagone della metropolitana. Ecco perché anche Facebook, come capiamo dal suo documentone, nello stesso istante in cui decanta la sua globalità deve arrovellarsi su come addomesticare le differenze che vi pullulano.
Come fare, ad esempio, a tenere sul medesimo Facebook, sia quelli che accettano il nudo sia gli altri che lo aborrono? Non bastando, come sappiamo, porre filtri ai confini delle aree culturali quali, come l’Europa dove il nudo è sdoganato, rispetto al Medio Oriente dove, suscita anatemi. E così, anche per non mutilare il business, Zuckerberg si propone, nel finalone del documentone, di potenziare il sistema dei filtri autogestiti: sei un disinvolto europeizzante in Arabia Saudita? Stoppi il muezzin e permetti la pin up. Sei un fondamentalista di passaggio ad Amsterdam? Fai l’opposto. E così ce ne staremmo tutti in Facebook (la nuova polis globale), affratellati dall’hardware, ma diversi nel software. Ma inseguiti via smartphone, va da sé, dalla stessa macchina pubblicitaria.
In buona sostanza, Mark, come orizzontalmente si firma Zuckerberg, cerca di risolvere il problema dell’unita lisciando le diversità per il verso del pelo. Dando a ciascuno il suo. Che è del resto quel che ai social network riesce meglio. Perché sono perfetti, direbbe Platone, per costruirsi, filtro dopo filtro, caverne modellate esattamente sulla misura dei nostri pregiudizi, con pareti che ci riecheggiano e ci danno sempre ragione. Rinfocolando la joint venture fra le fedi e le rabbie.
Per cui, se Zuckerberg davvero, non volendo scontentare nessun cliente, espandesse la nostra possibilità di buttare via ciò che ci stupisce e ci scandalizza, ci renderebbe in compenso più scandalosamente stupidi. E anche più pericolosi, come gli abitanti di quei caseggiati dove le famiglie se ne stanno rinserrate a coltivare le loro specifiche mostruosità, salvo poi esplodere con urla e spari e prendersela con gli altri semplicemente perché non ne sopportano l’estraneità dello sguardo.