Europa, “Security for sale”, sicurezza vendesi. In dieci anni, tra il 2010 e il 2020, la Commissione europea ha speso quasi 3 miliardi di euro per finanziare oltre 450 progetti di ricerca per rendere l’Europa più sicura. Un fiume di denaro pubblico che è stato versato sulla protezione delle grandi infrastrutture, sull’individuazione di esplosivi, sul perfezionamento dei sistemi di comunicazione tra i servizi segreti, sull’impiego di droni e di sensori in grado di pattugliare e rendere più sicure le nostre città. Oltre a sviluppare nuove tecnologie molto avanzate, lo scopo di Bruxelles attraverso questi programmi – di cui l’ultimo in corso, che si concluderà fra tre anni, si chiama Horizon2020 – è anche costruire un mercato unico della sicurezza europea. Le industrie dei singoli Stati membri non hanno chance da sole: troppo esigui i budget a disposizione, troppo complesso il problema per poterlo affrontare da soli.
Evidentemente, però, la sicurezza non si compra: costruire un mercato – domanda e offerta – non basta a risolvere il problema della sicurezza in Europa. L’impatto sulla popolazione di questi progetti è molto scarso: terrorismo e immigrazione continuano a far paura e quasi sette cittadini europei su dieci, secondo la ricerca Eurobarometer del 2016, sostengono che Bruxelles continui a non fare abbastanza in questi due settori.
Se i cittadini non hanno percepito vantaggi, chi ha guadagnato da questo flusso di denaro? Dopo quasi un anno di ricerca, una squadra di giornalisti sparsi in diversi Paesi d’Europa – tra cui il centro italiano per il giornalismo di inchiesta IRPI – racconta l’evoluzione del comparto europeo dell’industria della sicurezza. Un mondo che esiste grazie ad un forte contributo di denaro pubblico europeo, gettato troppo spesso in progetti che non portano risultati tangibili. E che finora ha aiutato per lo più l’industria bellica a reinventarsi e sopravvivere alla crisi.
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Il modello, mai esplicitato, a cui la Commissione Europea ambisce è il Dipartimento di Sicurezza pubblica degli Stati Uniti, una sorta di ministero federale che si occupa della sicurezza interna. Irraggiungibile ancora per Bruxelles, visto che dispone di un quinto dei fondi a disposizione degli americani. Negli Stati Uniti, droni, videocamere intelligenti, sensori che fiutano esplosivi sono apparecchi in uso delle polizie a stelle e strisce, non solo di chi combatte in guerra. L’industria bellica convertita a scopo civile ha allargato il proprio numero di clienti. Negli anni Novanta molti Paesi hanno ridotto il loro budget destinato al comparto difesa, visto che il modo di fare la guerra stava cambiando. Chi non si è rinnovato, è entrato in crisi. Tra il 2006 e il 2013, scrive la Commissione europea in un documento del 2016, la ricerca made in Europe nel settore bellico è scesa quasi del 30%. Ora l’Ue ha cominciato a seguire la via tracciata oltreoceano e l’industria del comparto sicurezza bellica e civile, secondo la nostra inchiesta, sta generando solo in Europa più di trenta miliardi di euro all’anno (un terzo del mercato mondiale), dando lavoro a 180mila persone. Merito soprattutto dei 2 miliardi europei investiti per la ricerca. In Italia, Francia e Spagna i colossi del settore, in più, hanno anche lo Stato come azionista. Il rapporto tra pubblico e privato, come vedremo più avanti, è un tema cruciale per l’esistenza stessa di un comparto sicurezza a respiro europeo. Finanziarlo con denaro pubblico Ue diventa dunque anche una questione di Stato, non solo di privati.
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Leonardo-Finmeccanica è nell’Olimpo delle aziende del comparto sicurezza. Ha un fatturato annuo di 12,9 miliardi di euro all’anno, che la posiziona al terzo posto in Europa. Con i progetti made in Europe, attraverso Horizon2020 e il suo predecessore FP7, chiusosi nel 2013, l’azienda italiana ha incassato solo per la ricerca 29 milioni di euro, impensabili da raccogliere solo in Italia. Destinare fondi pubblici a grosse aziende private del settore armamenti è un risultato a cui ha contributo il lavoro di lobby svolto dal Gruppo di personalità, il gruppo di consulenti che si è scelto la Commissione nel 2004, di cui Leonardo fa parte insieme alle principali aziende del settore. Già allora, un report del Gruppo incoraggiava lo sviluppo di programmi di ricerca sull’utilizzo della tecnologia dual-use, ossia quella creata per un utilizzo militare ma che può trovare impiego anche in campo civile. E così è avvenuto. La nuova partnership tra i settori pubblico e privato doveva però fare in fretta. Undici società parte del Gruppo hanno tratto i maggiori vantaggi dalla corsa alla tecnologia, in particolare Fraunhofer Society (Germania, 69 milioni), la Swedish Defense Research Agency (Svezia, 34 milioni), TNO (Olanda, 33 milioni), Thales (Francia, 32 milioni). Nulla di strano, se non che tra gli “esperti” chiamati a raccolta dalla Commissione comparisse un solo gruppo in rappresentanza delle forze dell’ordine europee, che poi sono gli utilizzatori finali di queste tecnologie: la European Network of Law Enforcement Technology Services (ENLETS). Leonardo-Finmeccanica è stata finanziata anche attraverso altre associazioni sostenute dalla stessa Commissione, come la European Organization for Security (EOS), un gruppo europeo di lobbisti di cui per il colosso italiano fanno parte Alberto De Benedictis, Cinzia Leone e Fabio Martinelli. EOS è tra i principali beneficiari dei circa 18 milioni che hanno preso la strada verso le associazioni per il commercio.
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Nella lunga lista dei beneficiari di denaro europeo, ci sono anche gruppi industriali che non hanno nulla a che fare con Bruxelles. La maggior parte proviene da Israele. Tra loro c’è Nice System, azienda di cybersecurity che nel 2011 vendeva software intrusivi dell’italiana Hacking Team in Uzbekistan e Kazakhstan. E che continua a ricevere fondi(europei) per farlo. Anche Elbit, la società che ha costruito il muro che circonda la Striscia di Gaza e che potrebbe partecipare alla realizzazione del muro di Trump, ha ricevuto dall’Europa oltre tre milioni di euro.
Nonostante diversi casi controversi, la commistione tra gruppi privati e funzionari della Commissione è sempre difesa a spada tratta da entrambe le parti. Gli osservatori esterni, però, sono molto critici: “Il settore ricerca del comparto sicurezza è funzionale anzitutto all’industria, non ai cittadini”, sostiene Julien Jeandeboz, sociologo francese autore di un approfondimento sull’utilizzo dei fondi per la ricerca nel 2014.
“L’obiettivo è portare a casa dei contratti firmati e poi vendere la tecnologia. Impariamo come l’Unione Europea funziona e possiamo così dare una mano alla scrittura dei requisiti”, confessa alla fiera della sicurezza di Milpol, a Parigi, un rappresentante di una grande industria di armamenti francese. E aggiunge: “Non siamo organizzazioni umanitarie”.
Abbiamo chiesto conto ai ricercatori su come vengono trattati i risultati dei progetti e abbiamo parlato con circa 100 addetti ai lavori, provenienti da tutta Europa. Dei 140 responsabili di progetto contattati, solo 38 hanno risposto alle nostre domande. Sono il 27% del totale, meno di un terzo.
Peter Löffler, capo lobby per la Siemens, ha le idee chiare: “Per noi i progetti di ricerca non sono importanti. Ci interessa però sapere quali politiche future gestiranno l’industria, e su quelle ci basiamo”. E aggiunge: “Esiste una cosiddetta ‘valle della morte’, dove solo la ricerca viene finanziata e quando invece un prodotto deve essere realizzato, allora mancano i fondi. Certo, un prototipo solitamente vede la luce, ma niente che un cliente possa davvero utilizzare”. Perché ricerca e utenti finali si incontrino, la strada è ancora lunga. “La maggior parte delle idee non sopravvive”, conclude Löffler.
SUBCOP è uno di questi. L’obiettivo del progetto nel suo complesso era quello di progettare armi “less than lethal”, che letteralmente significa “meno che letali”, capaci di neutralizzare i terroristi, oppure sviluppare delle barriere scorrevoli da installare, per esempio, nelle stazioni. Nell’eventualità che un terrorista apra il fuoco o sia in procinto di innescare una bomba, le barriere verrebbero abbassate così da isolare il sospetto terrorista o la bomba dal resto dell’ambiente. Complicato. Tra i prototipi realizzati c’è A-wasp, una specie di pistola-megafono a strisce gialle e nere. Dovrebbe servire ad allertare le persone nelle vicinanze nel momento in cui un terrorista sta per farsi saltare in aria oppure a stordire lo stesso terrorista emettendo “il suono peggiore che abbiate mai sentito”, come dice il titolare dell’azienda che lo produce Matt Henry, in modo che il terrorista non azioni la bomba. Un volontario che ha partecipato alla dimostrazione ha affermato: “All’apparenza sembra una pistola da cartone animato, ma gli effetti che produce non sono affatto divertenti”. Non risulta che nessun dipartimento antiterrorismo abbia acquistato il buffo megafono. L’azienda produttrice, Cerberus Black, sta provando a proporlo come strumento per sedare le risse da strada, oppure per “gestire l’emergenza immigrazione”. Il suo futuro è incerto anche per la ricercatrice Marieke van der Horst dell’istituto di ricerca delle scienze applicate olandese TNO, partner del progetto. Ritiene però che ciò che conta maggiormente è lo sviluppo di una conoscenza da utilizzare in altri progetti e l’opportunità di coltivare rapporti con società, ricercatori e utenti del settore.
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Nella ricerca, si può obiettare, non ci sono fallimenti ma solo passi avanti. Vero, ma perseverare negli stessi errori ha del tragico. Il nuovo Gruppo di Personalità presentato nel 2015 per la creazione di un nuovo mercato europeo della difesa sembra avere gli stessi difetti di chi lo ha preceduto. Al suo interno siedono rappresentanti di colossi come Saab, BAE Systems, Leonardo-Finmeccanica e Airbus. Ancora una volta, le forze dell’ordine non sono rappresentate. I desideri di questo nuovo gruppo di lobbisti sembrano essersi appena materializzati. Alla fine dello scorso anno, la Commissione Europea ha presentato una nuova linea di finanziamenti dedicata al settore militare. Saranno 500 milioni di euro all’anno da investire nella ricerca, a cui andranno aggiunti ulteriori cinque miliardi per l’effettiva produzione di armi. Il quesito rimane, anzi raddoppia: questi fondi pubblici europei contribuiranno a rendere l’Europa più sicura oppure serviranno il solo interesse del settore privato?
Questo articolo è parte del progetto di giornalismo investigativo Security for Sale, a cui lavora un consorzio di giornalisti provenienti da undici Paesi europei. Il sito del consorzio è: www.securityforsale.eu. Security for Sale è stata resa possibile dal giornale olandese De Correspondent con il contributo di Journalismfund.eu.
Lobby
Ue, 3 miliardi per ricerca sulla sicurezza: molti prototipi, pochi progetti realizzati. “Funzionale all’industria, non ai cittadini”
Per il periodo 2010-2020 Bruxelles ha finanziato 450 progetti per la protezione delle grandi infrastrutture, l’individuazione di esplosivi, l’impiego di droni e sensori per rendere più sicure le città. I fondi sono andati a idee singolari come "A-wasp", pistola "spara-rumore" che dovrebbe neutralizzare i terroristi, e SUBCOP, barriere scorrevoli in grado di "isolare" i pericoli: progetti che non trovano mercato. Il denaro pubblico è servito ad aiutare il settore a sopravvivere alla crisi
Europa, “Security for sale”, sicurezza vendesi. In dieci anni, tra il 2010 e il 2020, la Commissione europea ha speso quasi 3 miliardi di euro per finanziare oltre 450 progetti di ricerca per rendere l’Europa più sicura. Un fiume di denaro pubblico che è stato versato sulla protezione delle grandi infrastrutture, sull’individuazione di esplosivi, sul perfezionamento dei sistemi di comunicazione tra i servizi segreti, sull’impiego di droni e di sensori in grado di pattugliare e rendere più sicure le nostre città. Oltre a sviluppare nuove tecnologie molto avanzate, lo scopo di Bruxelles attraverso questi programmi – di cui l’ultimo in corso, che si concluderà fra tre anni, si chiama Horizon2020 – è anche costruire un mercato unico della sicurezza europea. Le industrie dei singoli Stati membri non hanno chance da sole: troppo esigui i budget a disposizione, troppo complesso il problema per poterlo affrontare da soli.
Evidentemente, però, la sicurezza non si compra: costruire un mercato – domanda e offerta – non basta a risolvere il problema della sicurezza in Europa. L’impatto sulla popolazione di questi progetti è molto scarso: terrorismo e immigrazione continuano a far paura e quasi sette cittadini europei su dieci, secondo la ricerca Eurobarometer del 2016, sostengono che Bruxelles continui a non fare abbastanza in questi due settori.
Se i cittadini non hanno percepito vantaggi, chi ha guadagnato da questo flusso di denaro? Dopo quasi un anno di ricerca, una squadra di giornalisti sparsi in diversi Paesi d’Europa – tra cui il centro italiano per il giornalismo di inchiesta IRPI – racconta l’evoluzione del comparto europeo dell’industria della sicurezza. Un mondo che esiste grazie ad un forte contributo di denaro pubblico europeo, gettato troppo spesso in progetti che non portano risultati tangibili. E che finora ha aiutato per lo più l’industria bellica a reinventarsi e sopravvivere alla crisi.
Il modello, mai esplicitato, a cui la Commissione Europea ambisce è il Dipartimento di Sicurezza pubblica degli Stati Uniti, una sorta di ministero federale che si occupa della sicurezza interna. Irraggiungibile ancora per Bruxelles, visto che dispone di un quinto dei fondi a disposizione degli americani. Negli Stati Uniti, droni, videocamere intelligenti, sensori che fiutano esplosivi sono apparecchi in uso delle polizie a stelle e strisce, non solo di chi combatte in guerra. L’industria bellica convertita a scopo civile ha allargato il proprio numero di clienti. Negli anni Novanta molti Paesi hanno ridotto il loro budget destinato al comparto difesa, visto che il modo di fare la guerra stava cambiando. Chi non si è rinnovato, è entrato in crisi. Tra il 2006 e il 2013, scrive la Commissione europea in un documento del 2016, la ricerca made in Europe nel settore bellico è scesa quasi del 30%. Ora l’Ue ha cominciato a seguire la via tracciata oltreoceano e l’industria del comparto sicurezza bellica e civile, secondo la nostra inchiesta, sta generando solo in Europa più di trenta miliardi di euro all’anno (un terzo del mercato mondiale), dando lavoro a 180mila persone. Merito soprattutto dei 2 miliardi europei investiti per la ricerca. In Italia, Francia e Spagna i colossi del settore, in più, hanno anche lo Stato come azionista. Il rapporto tra pubblico e privato, come vedremo più avanti, è un tema cruciale per l’esistenza stessa di un comparto sicurezza a respiro europeo. Finanziarlo con denaro pubblico Ue diventa dunque anche una questione di Stato, non solo di privati.
Leonardo-Finmeccanica è nell’Olimpo delle aziende del comparto sicurezza. Ha un fatturato annuo di 12,9 miliardi di euro all’anno, che la posiziona al terzo posto in Europa. Con i progetti made in Europe, attraverso Horizon2020 e il suo predecessore FP7, chiusosi nel 2013, l’azienda italiana ha incassato solo per la ricerca 29 milioni di euro, impensabili da raccogliere solo in Italia. Destinare fondi pubblici a grosse aziende private del settore armamenti è un risultato a cui ha contributo il lavoro di lobby svolto dal Gruppo di personalità, il gruppo di consulenti che si è scelto la Commissione nel 2004, di cui Leonardo fa parte insieme alle principali aziende del settore. Già allora, un report del Gruppo incoraggiava lo sviluppo di programmi di ricerca sull’utilizzo della tecnologia dual-use, ossia quella creata per un utilizzo militare ma che può trovare impiego anche in campo civile. E così è avvenuto. La nuova partnership tra i settori pubblico e privato doveva però fare in fretta. Undici società parte del Gruppo hanno tratto i maggiori vantaggi dalla corsa alla tecnologia, in particolare Fraunhofer Society (Germania, 69 milioni), la Swedish Defense Research Agency (Svezia, 34 milioni), TNO (Olanda, 33 milioni), Thales (Francia, 32 milioni). Nulla di strano, se non che tra gli “esperti” chiamati a raccolta dalla Commissione comparisse un solo gruppo in rappresentanza delle forze dell’ordine europee, che poi sono gli utilizzatori finali di queste tecnologie: la European Network of Law Enforcement Technology Services (ENLETS). Leonardo-Finmeccanica è stata finanziata anche attraverso altre associazioni sostenute dalla stessa Commissione, come la European Organization for Security (EOS), un gruppo europeo di lobbisti di cui per il colosso italiano fanno parte Alberto De Benedictis, Cinzia Leone e Fabio Martinelli. EOS è tra i principali beneficiari dei circa 18 milioni che hanno preso la strada verso le associazioni per il commercio.
Nella lunga lista dei beneficiari di denaro europeo, ci sono anche gruppi industriali che non hanno nulla a che fare con Bruxelles. La maggior parte proviene da Israele. Tra loro c’è Nice System, azienda di cybersecurity che nel 2011 vendeva software intrusivi dell’italiana Hacking Team in Uzbekistan e Kazakhstan. E che continua a ricevere fondi(europei) per farlo. Anche Elbit, la società che ha costruito il muro che circonda la Striscia di Gaza e che potrebbe partecipare alla realizzazione del muro di Trump, ha ricevuto dall’Europa oltre tre milioni di euro.
Nonostante diversi casi controversi, la commistione tra gruppi privati e funzionari della Commissione è sempre difesa a spada tratta da entrambe le parti. Gli osservatori esterni, però, sono molto critici: “Il settore ricerca del comparto sicurezza è funzionale anzitutto all’industria, non ai cittadini”, sostiene Julien Jeandeboz, sociologo francese autore di un approfondimento sull’utilizzo dei fondi per la ricerca nel 2014.
“L’obiettivo è portare a casa dei contratti firmati e poi vendere la tecnologia. Impariamo come l’Unione Europea funziona e possiamo così dare una mano alla scrittura dei requisiti”, confessa alla fiera della sicurezza di Milpol, a Parigi, un rappresentante di una grande industria di armamenti francese. E aggiunge: “Non siamo organizzazioni umanitarie”.
Abbiamo chiesto conto ai ricercatori su come vengono trattati i risultati dei progetti e abbiamo parlato con circa 100 addetti ai lavori, provenienti da tutta Europa. Dei 140 responsabili di progetto contattati, solo 38 hanno risposto alle nostre domande. Sono il 27% del totale, meno di un terzo.
Peter Löffler, capo lobby per la Siemens, ha le idee chiare: “Per noi i progetti di ricerca non sono importanti. Ci interessa però sapere quali politiche future gestiranno l’industria, e su quelle ci basiamo”. E aggiunge: “Esiste una cosiddetta ‘valle della morte’, dove solo la ricerca viene finanziata e quando invece un prodotto deve essere realizzato, allora mancano i fondi. Certo, un prototipo solitamente vede la luce, ma niente che un cliente possa davvero utilizzare”. Perché ricerca e utenti finali si incontrino, la strada è ancora lunga. “La maggior parte delle idee non sopravvive”, conclude Löffler.
SUBCOP è uno di questi. L’obiettivo del progetto nel suo complesso era quello di progettare armi “less than lethal”, che letteralmente significa “meno che letali”, capaci di neutralizzare i terroristi, oppure sviluppare delle barriere scorrevoli da installare, per esempio, nelle stazioni. Nell’eventualità che un terrorista apra il fuoco o sia in procinto di innescare una bomba, le barriere verrebbero abbassate così da isolare il sospetto terrorista o la bomba dal resto dell’ambiente. Complicato. Tra i prototipi realizzati c’è A-wasp, una specie di pistola-megafono a strisce gialle e nere. Dovrebbe servire ad allertare le persone nelle vicinanze nel momento in cui un terrorista sta per farsi saltare in aria oppure a stordire lo stesso terrorista emettendo “il suono peggiore che abbiate mai sentito”, come dice il titolare dell’azienda che lo produce Matt Henry, in modo che il terrorista non azioni la bomba. Un volontario che ha partecipato alla dimostrazione ha affermato: “All’apparenza sembra una pistola da cartone animato, ma gli effetti che produce non sono affatto divertenti”. Non risulta che nessun dipartimento antiterrorismo abbia acquistato il buffo megafono. L’azienda produttrice, Cerberus Black, sta provando a proporlo come strumento per sedare le risse da strada, oppure per “gestire l’emergenza immigrazione”. Il suo futuro è incerto anche per la ricercatrice Marieke van der Horst dell’istituto di ricerca delle scienze applicate olandese TNO, partner del progetto. Ritiene però che ciò che conta maggiormente è lo sviluppo di una conoscenza da utilizzare in altri progetti e l’opportunità di coltivare rapporti con società, ricercatori e utenti del settore.
Nella ricerca, si può obiettare, non ci sono fallimenti ma solo passi avanti. Vero, ma perseverare negli stessi errori ha del tragico. Il nuovo Gruppo di Personalità presentato nel 2015 per la creazione di un nuovo mercato europeo della difesa sembra avere gli stessi difetti di chi lo ha preceduto. Al suo interno siedono rappresentanti di colossi come Saab, BAE Systems, Leonardo-Finmeccanica e Airbus. Ancora una volta, le forze dell’ordine non sono rappresentate. I desideri di questo nuovo gruppo di lobbisti sembrano essersi appena materializzati. Alla fine dello scorso anno, la Commissione Europea ha presentato una nuova linea di finanziamenti dedicata al settore militare. Saranno 500 milioni di euro all’anno da investire nella ricerca, a cui andranno aggiunti ulteriori cinque miliardi per l’effettiva produzione di armi. Il quesito rimane, anzi raddoppia: questi fondi pubblici europei contribuiranno a rendere l’Europa più sicura oppure serviranno il solo interesse del settore privato?
Questo articolo è parte del progetto di giornalismo investigativo Security for Sale, a cui lavora un consorzio di giornalisti provenienti da undici Paesi europei. Il sito del consorzio è: www.securityforsale.eu. Security for Sale è stata resa possibile dal giornale olandese De Correspondent con il contributo di Journalismfund.eu.
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Economia & Lobby
Caro bollette, a due settimane dagli annunci di Giorgetti il decreto slitta ancora: cdm rinviato a venerdì
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “La presentazione di Fondazione Bicocca è un momento importante perché Bicocca ha già dimostrato, spostandosi in quest'area geografica della città, di fare tanto per il territorio in cui è immersa, con una trasformazione ambientale e strutturale". Lo afferma Alessia Cappello, assessora allo Sviluppo economico e politiche del lavoro del Comune di Milano, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
"Basti pensare - dice - a tutti gli investimenti sul verde che ha fatto e che circondano quest'area, ma soprattutto culturale, sulla parte che riguarda la proprietà intellettuale, il trasferimento tecnologico, la possibilità di avvicinare e orientare ancora di più tante ragazze e ragazzi alle materie che l’Università Bicocca rappresenta in questo territorio. Ora attraverso la Fondazione, si cerca di creare quel ponte ancora più esplicito, ancora più forte con il mercato del lavoro”.
"L’obiettivo della Fondazione è trasformare da un lato il mercato del lavoro, avvicinandolo sempre di più alle aspettative di tante ragazze e ragazzi, dall'altro lato avvicinare questo patrimonio di giovani alle proposte che ci sono nel mercato del lavoro, orientandoli e formandoli nel modo corretto a fronte delle tante vacancies che ci sono in diversi settori. Un obiettivo molto utile non solo a Milano, ma al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il costo delle bollette in Italia ha raggiunto picchi insostenibili per famiglie e imprese. Oggi la segretaria Schlein ha dimostrato che sono possibili interventi urgenti e immediati per abbassare il costo dell’energia. Nello stesso giorno in cui il governo Meloni fa slittare il cdm per affrontare la questione: sono nel caos. Seguano le proposte del Pd, perché gli italiani non possono rimetterci di tasca propria per l’incompetenza di questa destra". Lo scrive sui social Alessandro Zan del Pd.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “Il valore di Fondazione Bicocca è un atto di coraggio, ma anche di eredità, perché questo è il mio ultimo anno di mandato. Pertanto, l'ottica è mettere a disposizione le competenze, ma anche il coraggio, di un grande ateneo pubblico multidisciplinare, come Bicocca, a disposizione della società civile a 360 gradi”. Così Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’università degli studi di Milano-Bicocca, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
“Tutti noi sappiamo dell'incertezza economica, dei problemi relativi al mancato sviluppo delle competenze e dell'inverno demografico. Queste sfide non sono solo italiane, ma anche europee, rispetto a colossi come Stati Uniti e Cina e fanno riflettere sul gap di innovazione tecnologica che caratterizza tutta l'Europa e in particolare il nostro Paese. Pertanto - spiega la rettrice Iannantuoni - è motivo di orgoglio avere da un lato lo sviluppo delle competenze e dall’altro mettere a disposizione i nostri laboratori e le nostre migliori menti insieme alle imprese per fare sviluppo e crescita. Non c'è innovazione tecnologica se non c’è giustizia sociale, cioè se l’innovazione non è a favore di tutti. Un esempio sono le polemiche legate alle auto elettriche”.
“Quindi, il nostro approccio è multidisciplinare, innovativo e diverso, com’è diversa Bicocca, e si propone come una piattaforma di connessioni per il futuro, come abbiamo voluto chiamare la giornata di oggi e aspettiamo tutte le imprese del terzo settore, gli Irccs, gli istituti di cura, le scienze della vita, Tutti insieme per dare una speranza diversa al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il governo Meloni, in quasi due anni, non ha adottato alcuna misura efficace per contrastare l’aumento delle bollette, preferendo smantellare il mercato tutelato e aggravando così la situazione di famiglie e imprese". Lo afferma Ubaldo Pagano, capogruppo del Partito Democratico in Commissione Bilancio alla Camera, sottolineando la necessità di un cambio di rotta immediato. Il Partito Democratico torna a chiedere interventi concreti, proponendo due soluzioni centrali: separare il costo dell’energia da quello del gas e istituire un ente pubblico che possa garantire prezzi più accessibili.
"Non possiamo accettare – aggiunge Pagano – che il nostro sistema energetico rimanga vincolato a un meccanismo che pesa enormemente sulle tasche di cittadini e aziende. Il gas è la fonte più costosa e instabile, e continuare a legare il prezzo dell’elettricità a questa risorsa è un errore che il governo deve correggere subito. Le bollette stanno raggiungendo livelli insostenibili proprio nei mesi di maggiore consumo: Meloni e la sua maggioranza si decidano ad agire, perché gli italiani non possono più aspettare", conclude Pagano.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Non è più procrastinabile un intervento del Governo per contenere i costi delle bollette, oramai insostenibili per milioni di italiani. Governo e maggioranza facciano proprie le proposte del Pd avanzate da Elly Schlein e tutte a costo zero. Proposte semplici, chiare ed efficaci. Approviamole con spirito bipartisan per il bene del Paese". Così in una nota il senatore del Pd Michele Fina.
"Dopo che il taglio delle accise, promesso dalla presidente Meloni, era rimasto intrappolato nella distanza che c'è tra il dire e il fare e nulla è stato fatto è ora che maggioranza e governo prendano atto della gravità della situazione. Come si fa a non rendersi conto che questa emergenza bollette si aggiunge all’aumento di carburante, RC Auto e pedaggi, beni alimentari, materiale scolastico e affitti? Una situazione sconfortante che si va ad aggiungere ad una economia che arretra da 750 giorni, proprio mentre attendiamo gli effetti nefasti dei dazi di Trump".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - Si riunirà domani pomeriggio il gruppo Pd della Camera e all'ordine del giorno c'è anche la questione della pdl Cisl sulla partecipazione dei lavoratori. Dopodomani infatti si riunirà in mattinata il Comitato dei 9 e quindi è atteso il provvedimento in aula. Provvedimento sul quale si sono registrate sensibilità diverse tra i dem. Con il disagio dell'area riformista, in particolare, a dire no all'iniziativa promossa dalla Cisl. Per un altro pezzo dei dem invece, come Arturo Scotto e Maria Cecilia Guerra, il testo base è stato stravolto dalla maggioranza ed è quindi insostenibile. Testo su cui, per altro, ha messo il cappello la stessa premier Giorgia Meloni parlando all'ultima assemblea Cisl.
I dem, per trovare una quadra, si erano già confrontati nelle settimane scorse in una riunione del gruppo a Montecitorio. Si era deciso di rinviare la decisione sul voto, in attesa di vedere se la maggioranza si fosse resa disponibile ad accogliere alcune modifiche, in aula, proposte dal Pd. "Attendiamo un segnale", si era detto. A quasi un mese di distanza però il 'segnale' non sembra arrivato. Dice Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro: "Noi abbiamo tenuto sempre come bussola il merito. E votare no al mandato al relatore, è stata un scelta di merito perchè il testo base Cisl è stato completamente stravolto e peggiorato. Tanto che viene da chiedersi come sia possibile che un grande sindacato come la Cisl possa riconoscere come proprio il provvedimento che arriva in aula...".
"Ma -aggiunge- abbiamo detto che eravamo disponibili a modificare il nostro no in commissione, se in aula la maggioranza avesse dato l'ok ad alcune significative modifiche. Al momento, però non abbiamo avuto alcun segnale in questa direzione". E quindi, va a finire che il Pd si divide? "Non credo proprio". Magari si va verso un'astensione? "Domani abbiamo il gruppo, discuteremo domani".
Roma, 24 feb. (Adnkronos Salute) - L'intervento e le cure per il tumore al seno possono avere un forte impatto sulla sfera emotiva e sessuale della donna; il bisogno di recuperare femminilità e intimità, così come il desiderio di maternità, sono molto sentiti dalle pazienti, che però non ne parlano. Lo confermano i dati di un'indagine condotta da Iqvia e promossa da Europa Donna Italia per comprendere l'impatto della malattia sull'identità femminile e la relazione di coppia. I risultati sono stati presentati nel corso del convegno scientifico 'Rəvolution in medicine', che si è tenuto sabato 22 febbraio all'università degli Studi di Milano.
Oltre il 90% delle donne riscontra problemi legati alla sfera sessuale in seguito a interventi e trattamenti per il tumore al seno, ma il 66% non ne parla con nessuno e il 42% rinuncia a gestirli, evidenzia la ricerca coordinata da Isabella Cecchini, responsabile del Centro studi Iqvia Italia, che ha coinvolto 382 donne con diagnosi di tumore al seno di diverse fasce di età e a diverso stadio di malattia. I risultati indicano che le tematiche relative a emozioni e sessualità sono percepite importanti per il 72% del campione, ma restano taciute non solo dalle donne stesse - principalmente per timore, vergogna, idea che siano aspetti secondari rispetto alle priorità dettate dalla malattia - ma anche dai medici.
"Rispetto agli esordi del mio essere oncologa - dichiara Manuelita Mazza, oncologa della Senologia medica dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e responsabile scientifica di 'Rəvolution in medicine' - la vita delle pazienti è cambiata. In poco più di vent'anni ho assistito a grandi passi avanti nella capacità di curare il tumore al seno, anche nelle forme metastatiche; tuttavia, se si guarisce sempre di più e l'aspettativa di vita è più lunga, non sono certa sia anche più larga, più piena, più densa di vita stessa. La salute sessuale è un aspetto puntualmente trascurato del benessere di chi ha una diagnosi impegnativa come il tumore al seno, specie se metastatico, ma è parte integrante del benessere di ciascuna donna e non può essere un argomento omesso a fronte di una diagnosi di tumore al seno".
"Fornire alla paziente informazioni chiare sugli effetti collaterali sessuali dei trattamenti e, se desiderato, includere il partner nelle discussioni cliniche può fare una grande differenza - prosegue Mazza - Questa apertura non solo supporta meglio la paziente, ma le permette di sentirsi compresa in una delle sfere più intime e vulnerabili della sua vita".
I dati presentati confermano quanto un cambio di passo sia necessario: appena il 22% delle donne intervistate ha un alto livello di consapevolezza dell'impatto delle terapie sulla propria sessualità, l'11% ha interrotto la relazione con il proprio partner dopo la diagnosi di tumore al seno e 2 coppie su 3 hanno interrotto i rapporti sessuali. Anche sul fronte della maternità emergono dati significativi: solo 3 pazienti su 4 parlano del desiderio di diventare madri con il proprio medico di riferimento, e la comunicazione risulta chiara e rassicurante appena per la metà di esse, con il risultato che troppo spesso si rinuncia al proprio progetto di vita perché non si sono ricevute informazioni adeguate.
"E' il momento di promuovere un cambiamento - commenta Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia - e far sì che i problemi riscontrati dalle pazienti nella sfera emotiva e sessuale escano dal cono d’ombra del tabù. Le donne chiedono un supporto specifico da parte dei medici e vorrebbero essere affiancate anche dagli psiconcologi. L'impegno di Europa Donna in queste direzioni non mancherà. Già dal 2022 abbiamo avviato il progetto 'Come Prima', dedicato al recupero della femminilità e al desiderio di maternità delle donne con tumore del seno, coinvolgendo le pazienti, i loro partner e i medici con materiale informativo e appuntamenti dedicati, e proseguono i nostri sforzi per promuovere e normalizzare il dialogo tra pazienti e professionisti sanitari, medici in primis, anche su questi aspetti. Non dimentichiamo che la presa in carico delle pazienti deve prendere in considerazione non solo la malattia di per sé, ma la donna nella sua interezza, con i suoi bisogni fisici e psicologici".