“Ora basta”. Luca Lotti sbatte i pugni sul tavolo e cita il lavoro svolto al governo con Matteo Renzi, legandosi di fatto a lui. E quest’ultimo, dopo essersi tenuto per giorni a distanza dalla polemica, risponde schierandosi al fianco dell’amico. Nel giorno in cui l’ad di Consip Luigi Marroni punta il dito contro Tiziano Renzi e Denis Verdini e il M5S presenta una mozione di sfiducia contro di lui in Parlamento, il ministro dello Sport si sfoga su Facebook: “Se non fosse una cosa seria, ci sarebbe da ridere – premette Lotti, indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento nell’inchiesta sulla corruzione nella centrale acquisti del Mef – non mi occupo e non mi sono mai occupato di gare Consip, non conosco e non ho mai conosciuto il dottor Romeo”.
“La verità è che due mesi fa mi hanno interrogato su una presunta rivelazione di segreto d’ufficio – prosegue l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, puntando il dito contro la stampa – si tratta di un reato che si ripete tutti i giorni in alcune redazioni ma che io non ho mai commesso. Lo ripeto con forza e sfido chiunque oggi dica il contrario ad attendere la conclusione di questa vicenda così paradossale“.
“Attendo che eventualmente si celebri il processo, nelle aule di tribunale e non sui giornali: contano gli articoli del codice penale, non dei quotidiani. Ma voglio dirlo chiaramente: se qualcuno pensa di far passare il messaggio che siamo tutti uguali – prosegue Lotti, citando una canzone di Francesco De Gregori – che noi siamo come gli altri, che “tutti rubano alla stessa maniera“, avete sbagliato destinatario. Noi siamo gente seria e perbene“, scandisce il ministro passando dalla prima persona singolare a quella plurale. Chiamando, cioè, in causa Matteo Renzi e il periodo trascorso al fianco dell’amico prima nelle istituzioni toscane e poi a Palazzo Chigi: “Abbiamo governato per anni Firenze e l’Italia senza farci trascinare nel fango. La verità non ha paura del tempo. E noi abbiamo pazienza e forza per sopportare la vergognosa campagna di queste ore”.
L’altro soggetto di quel “noi” risponde prontamente all’appello e ritwitta il post che lo stesso Lotti aveva postato su Twitter con l’incipit “Ora basta“. Un endorsement, quello di Renzi ai post social del suo ex sottosegretario, che dal punto di vista politico contiene un messaggio preciso: condivido le parole e la posizione espressa da Lotti e la scelta di legare la sua vicenda alla mia.
Lotti non è l’unico esponente del Giglio magico che decide di uscire dall’ombra. Anche Francesco Bonifazi sceglie di far sentire la propria voce: “Ho incontrato Carlo Russo per 10 minuti presso il mio studio – scrive in una nota il tesoriere del Partito Democratico nel giorno in cui spunta un “pizzino” attribuito dagli inquirenti ad Alfredo Romeo che reca la scritta “Bonifaz“ – mi ha riportato un potenziale interesse da parte dell’imprenditore Romeo ad entrare come socio dell’Unità. L’incontro fu cordiale, ma spiegai l’impossibilità di dare seguito a tale interessamento perché – per policy della mia tesoreria – vi è una preclusione ad avere rapporti di natura economica con soggetti sottoposti a pendenze giudiziarie. Russo mi sottolineò che Romeo risultava essere stato assolto da ogni accusa..”. “Per mera cortesia gli chiesi di darmene prova – prosegue Bonifazi – così mi fu fornito un documento che non ho neppure letto perché la decisione di non dar seguito ad altri incontri l’avevo già presa. Da quel giorno non ho mai più avuto contatti di nessun tipo con Russo. Essendo questi i fatti, qualora vi sia un travisamento della verità provvederò senza indugio a tutelare l’immagine e l’onorabilità del PD e della mia persona”.
Parole che, tuttavia, aprono nuovi interrogativi: quando è avvenuto l’incontro? chi ha fatto da tramite tra l’imprenditore farmaceutico di Rignano e il tesoriere?