C’è chi è stato costretto a volantinare per dodici ore al giorno, chi si è trovato a pulire bagni e tavoli al ristorante e altri ancora che hanno trascorso giornate a catalogare locandine degli anni Ottanta in un cinema. È l’altra faccia dell’alternanza scuola-lavoro, l’attività resa obbligatoria dalla legge sulla Buona Scuola per gli studenti di terza, quarta e quinta dei licei e degli istituti tecnici e professionali. Sulla carta dovrebbe essere “un’esperienza formativa innovativa per unire sapere e saper fare” ma secondo l’Unione degli Studenti della Puglia, che ha lanciato una pubblica denuncia, si è trasformata in “Alternanza – sfruttamento”.
I ragazzi pugliesi hanno lanciato la campagna “A scuola io non faccio l’operaio” per portare alla luce i casi di “uso distorto” del percorso formativo. Una vicenda che conosce bene Nadia, al quarto anno di un professionale alberghiero della provincia di Bari: è stata mandata in una fiera dedicata alla promozione di matrimoni a distribuire volantini. “Lì – racconta – facevo solo quello e davo indicazioni al pubblico che mi chiedeva informazioni sulle toilette o su dove trovare uno stand”. Ma non basta. Secondo Nadia sono stati violati anche i minimi diritti del lavoratore: “Spesso mi è capitato di fare dieci, dodici ore continuative con una pausa di quindici minuti al massimo”.
E al ristorante non è andata meglio. Lei che segue il corso di cucina si è trovata accanto al cuoco una sola volta: “Per il resto delle ore ho pulito tavoli e bagni. L’alternanza dovrebbe essere un’opportunità e un percorso di crescita professionale ma le aziende ci usano come manovalanza gratuita”. Inutile spesso parlarne con i professori che dovrebbero fare da tutor: “Qualche insegnante ci ha detto che tutto serve alla vita; altri, per fortuna, cercano di parlare con i proprietari delle ditte o delle società che ci ospitano”.
Una storia simile è anche quella di Leonardo, al quarto anno del liceo scientifico Cafiero a Barletta: “L’alternanza l’ho fatta in un cinema della città – dice il giovane – Ho catalogato locandine di film degli anni Ottanta che erano conservate negli armadi da anni. Per cinque giorni abbiamo fatto questa attività. Nella nostra scuola non c’è alcun corso di cinematografia ma siamo finiti lì. Anche i miei compagni non hanno fatto nulla che si avvicinasse alle materie del nostro corso di studi: alcuni studenti sono finiti a catalogare libri in biblioteca. Di questi lavori dovrebbero occuparsi i dipendenti delle aziende non gli studenti”.
Leonardo si sarebbe aspettato di finire in un laboratorio chimico, nello studio di un commercialista, ma non certo in un cinema. È andata un po’ meglio a Matteo, al quarto anno di un liceo classico di Lecce: “Quest’anno sono stato all’ufficio dei beni culturali e ho fatto un’esperienza abbastanza positiva, ho catalogato reperti archeologici ma lo scorso anno alla biblioteca del Duomo non ho fatto nulla collegato al programma di studi. Ho catalogato libri e li ho sistemati negli scaffali. Mi sono sentito solo sfruttato”.
Chi al ministero dell’Istruzione segue questa “partita” fin dall’inizio non si nasconde dietro un dito: “Non esiste che una ragazza che fa volantinaggio per dodici ore! Se c’è qualcosa che non va – dice il sottosegretario Gabriele Toccafondi – ed è oggettivo, abbiamo il dovere di intervenire. Non difendo i percorsi falsi perché per me quella è scuola. Siamo in una fase iniziale e non possiamo permetterci di sbagliare. Le denunce ci devono essere da parte dei ragazzi: li invito a farle ai loro professori, ai dirigenti scolastici, agli uffici provinciali e regionali e al ministero. C’è chi deve ascoltare gli studenti e valutare queste situazioni. Non invierò ispettori: serve uno scambio di vedute costante tra i vari protagonisti di questa esperienza. Va valutato caso per caso”. Toccafondi è consapevole che il sistema è in fase di rodaggio e ha le sue pecche: “Lo scorso anno abbiamo avuto 720 mila posizioni in alternanza scuola-lavoro. La difficoltà, in alcune zone del Paese, è trovare opportunità belle per tutti i ragazzi”.
Al ministero assicurano che sono al lavoro per migliorare la situazione: “Abbiamo firmato cinquanta protocolli nazionali con Unioncamere – spiegano – dove al registro nazionale in cinque mesi si sono iscritte duemila aziende che hanno garantito sessantamila posti di alternanza. Oggi c’è un comitato nazionale al lavoro dove siedono tutte le associazioni sindacali e gli enti locali che sono delle antenne sul territorio. Stiamo facendo nascere una cabina di regia con il ministero del Lavoro per aiutare le scuole ad individuare le imprese ma non solo. Stiamo elaborando una carta dei diritti e doveri dello studente in alternanza. Resta il problema che in Italia non esiste la figura dello studente lavoratore e in alcune realtà viene equiparato solo a quest’ultimo con tutte le conseguenze del caso: certificati medici, formazione sulla sicurezza e altro ancora”.
Ma da Toccafondi arriva anche una smentita alle parole della ministra Valeria Fedeli che nei giorni scorsi aveva ipotizzato di risolvere il problema della mancanza di posti facendo fare l’esperienza d’estate: “Così come italiano, storia e matematica non si fanno ad agosto – dice Toccafondi – preferisco pensare anche a questa attività durante l’anno scolastico; solo in alcune realtà come la costa romagnola si può pensare ad un’attività estiva”.