Ahmed Mansoor è un attivista degli Emirati Arabi Uniti, tra i protagonisti del tentativo di far arrivare anche nei Paesi del Golfo il vento delle Primavere arabe nel 2011. Il 10 e 11 agosto 2016 riceve alcuni sms sul suo IPhone che gli danno notizie di nuove torture nelle carceri degli Emirati. Mansoor non si fida e fa controllare il contenuto ai ricercatori di CitizenLab, una ong canadese che si occupa di cybersicurezza. Aveva ragione: per la terza volta è bersaglio di un tentativo di hackeraggio. Il primo dei tre tentativi arrivò da un’azienda britannica, la Gamma International; poi gli italiani di Hacking Team e infine gli israeliani di NSO Group.
Nessuno dei Paesi coinvolti in questa vicenda poteva dire di non sapere che dei propri connazionali stessero vendendo software spia ad un Paese in cui i diritti umani sono spesso calpestati. Vendere fuori dall’Unione Europea questi software, cosiddetti “dual use” – utilizzabili sia per scopi civili sia militari – richiede un via libera, una licenza per l’esportazione, come previsto dalla regolamentazione europea. Quali aziende hanno ottenuto il lasciapassare per la vendita? E verso quali destinazioni? Dei 28 Paesi dell’Unione, 11 (tra cui l’Italia) si rifiutano di comunicare questo dato. Gli altri affermano di aver concesso 317 licenze, negandone solo 16. Nel 29,7% dei casi, destinatari del sistema di cybersorveglianza erano Paesi che l’ong Freedom House considera “non liberi”. Sappiamo che le aziende della Danimarca esportano sistemi per la sorveglianza di massa di Internet in Paesi come Emirati Arabi Uniti, Cina e Vietnam. Dalla Finlandia in altri come Colombia, Kosovo, Kuwait, Libano, Antille Olandesi, Oman, Filippine ed Emirati Arabi Uniti. La Gran Bretagna ha concesso 153 licenze per “intrusion software” in mezzo mondo. E le 235 aziende europee che trattano questi prodotti hanno sede anche negli Emirati (42), in Cina (40), Turchia e Arabia Saudita (15).
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Nel nostro Paese l’unico dato disponibile è sepolto tra le pagine della “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo delle esportazioni, importazione e transito dei materiali di armamento”. Qui, pur non distinguendo le categorie dei beni dual use, arrivano comunque numeri importanti: nel settore sono state rilasciate nel 2015, ultimo anno disponibile, un totale di 901 autorizzazioni (1028 nel 2014, 800 nel 2013, 829 nel 2012, 539 nel 2011, 360 nel 2010) per un valore di di circa 776 milioni di euro (673.958.749 nel 2014, 481.378.596 nel 2013, 525.286.567 nel 2012, 379.974.173 nel 2011, 339.247.959 nel 2010). Non è dato sapere quanto tra questi numeri arrivi da strumenti per la sorveglianza digitale. Dal personale tecnico del Ministero dello Sviluppo Economico, competente sulla materia, arriva una risposta tranchant: “Gli atti procedimentali relativi alla materia del controllo all’esportazione di prodotti ad alta tecnologia (dual use) sono specificamente sottratti all’accesso“. Tradotto, tutta la documentazione relativa all’esportazione e transito dei beni a doppio uso non è accessibile, proprio per la loro natura anche militare. L’Italia è l’unico Paese in Europa in cui si invoca questo per giustificare il non rilascio delle informazioni.
“Il caso Hacking Team ha svelato che l’Italia non ha prestato molta attenzione all’aspetto dei diritti umani, visti i Paesi per cui ha concesso le licenze. Per avere idea di cosa è successo dopo dovremo avere un altro caso simile, ma è improbabile”, spiega Collin Anderson, esperto di cybersicurezza americano che conosce le leggi sull’export nel mondo.
La normativa Ue sull’esportazione è unica, per quanto le risposte dei Paesi membri alle richieste di dati siano opposte. A differenti livelli di trasparenza, corrispondono anche diversi criteri nella concessione delle licenze. “Ci sono grandi difformità nel modo in cui il regolamento è stato recepito. Oggi tutto ciò che non passa da un Paese, potrebbe passare da un altro”, spiega Tiziana Beghin, europarlamentare del Movimento 5 Stelle e relatore ombra per l’adozione di un nuovo regolamento europeo. Il timore diffuso tra esperti e legislatori è che le aziende possano aprire succursali in altri Paesi europei dove l’interpretazione della legge è meno restrittiva, oppure si possano appoggiare ad altre società più facilitate nell’export, sempre all’interno dei confini comunitari. L’Italia è stata spesso al centro di queste triangolazioni, come dimostrato dal caso Hacking Team.
Ma oggi? Un caso particolare è RCS Lab: casa madre in Germania, succursale in Italia, dove è tra le sei società più forti del settore, collaborando con varie procure nel campo delle intercettazioni telefoniche e telematiche. Il proprietario Simon Thewes nel 2015 era in affari con Hacking Team attraverso un’altra azienda, la TKSL. Subito dopo lo scandalo che ha coinvolto l’azienda milanese, aveva spiegato ad Euractiv che avrebbe preferito un’unica normativa in Europa. Spiegava che alcune compagnie oggi si spostano nell’Unione se il Paese a cui appartengono ha regole troppo severe. Contattato per avere un’intervista sul funzionamento delle licenze dell’export per i dual use, ha risposto di non voler parlare con i giornalisti.
Le discussioni per il nuovo regolamento sono già in corso, a partire da una proposta della Commissione europea giudicata dall’eurodeputata Beghin “un rimaneggiamento di quella attuale”. Lo scopo è allineare l’Europa almeno sull’importanza della questione dei diritti umani attraverso l’introduzione di un nuovo concetto (Human Security), ma a conti fatti saranno sempre le autorità nazionali ad avere l’ultima parola sulla possibilità di esportare. Finché il recepimento della norma sarà così diverso, ci saranno violazioni non solo sul piano dei diritti umani, ma anche su quello economico: “Non è giusto – attacca Anderson – che una società nei Paesi Bassi, dove le autorità mostrano attenzione ai diritti umani, debba competere sul mercato, per esempio, con una azienda italiana dove sembra si ignorino i più basilari rischi rispetto alla violazione di questi. Un tradimento dei principi su cui si basa la stessa Ue”.
In Germania per i beni dual use destinati alla cybersorveglianza ci sono requisiti ulteriori rispetto a tutti gli altri beni a doppio uso, proprio per evitare che possano essere utilizzati a scopi di repressione. La Commissione voleva prendere spunto, con una lista di dieci beni dual use per cui richiedere controlli extra agli Stati membri. La lista oggi è già dimezzata. Gli interessi in ballo sono tanti: “La più grande associazione che rappresenta le aziende di settore, DigitalEurope, ci ha già fatto sapere che giudica in modo negativo le modifiche proposte perché troppo restrittive”, aggiunge Beghin. Il punto di equilibrio tra interesse pubblico e privato è difficile da trovare. Soprattutto per chi, come l’Italia, punta su questo settore. Un settore popolato da società forti come la stessa Hacking Team, Innova, Ips e Area. Quest’ultima è stata accusata di aver venduto software per lo spionaggio al regime siriano di Bashar Al Assad. A sua discolpa, all’epoca Damasco non era “nemica” dell’Italia.
Dietro a queste, c’è poi un sottobosco di società minori che cercano di farsi spazio in questo mercato, ma che rischiano di finire in giochi più grossi di loro. Per esempio Vigilar Group, che fa investigazioni private. La gestiscono Francesco Castro, ex carabiniere, con una lunga esperienza nel settore, e il figlio Davide. Proprio quest’ultimo stava aprendo una società di consulenza sulla cyber sorveglianza in Spagna, V-Mind, quando viene contattato dall’hacker indiano Manish Kumar, che attraverso la sua società tedesca Wolf Intelligence vuole vendere nel 2015 un software intrusivo prodotto in Israele al governo della Mauritania.
Ha già venduti 12 strumenti del genere, ma per questo – ultimo del pacchetto pattuito con il governo – ha bisogno di un aiuto esterno. Kumar cerca un europeo che lo possa rappresentare in Mauritania e chiede aiuto a Davide Castro, conosciuto in una fiera internazionale della sicurezza informatica. In realtà, la trattativa Kumar-Mauritania è già ai ferri corti. Castro manda Leonida Reitano, giornalista esperto di informatica e consulente occasionale della Vigilar per attività di training o di investigazioni online. In base a quanto dettogli l’attività di Reitano sarebbe stata l’assistenza ad un meeting per la presentazione di una brochure della Wolf Intelligence. I dettagli dell’attività, descritta in termini molto vaghi, sarebbero stati precisati in Mauritania durante una riunione da tenersi con Kumar.
In realtà le cose si sono presentate in maniera molto diversa. All’arrivo all’aereoporto di Nouakchott a Reitano viene sequestrato il passaporto, e Reitano viene accompagnato da un dipendente della Wolf Intelligence presso l’abitazione privata affittata da Kumar dove rimane per circa dieci giorni senza fare alcunché e senza vedere nessuno visto che Kumar continuava a rimandare il suo arrivo in Mauritania. Terminato il periodo previsto nell’accordo con Reitano, Vigilar manda a Nouakchott per sostituirlo Cristian Provvisionato, che è alle dipendenze della società come addetto alla security/guardia del corpo. Non conosce nulla di cybersecurity.
Provvisionato accetta per la paga e perché gli viene prospettato un lavoro veloce come “piazzista” di un prodotto di sorveglianza. Invece si ritrova in carcere da quasi due anni, con l’accusa di truffa allo Stato mauritano. Cosa c’è dietro a questa storia? Perché un’azienda tedesca coinvolge un’azienda italiana nella vendita di uno strumento prodotto in Israele e destinato alla Mauritania, Paese che non brilla per il rispetto dei diritti umani? Chi ha concesso le licenze per l’export? I Castro dicono di non potere parlare con i giornalisti perché c’è un’indagine in corso. Sono stati truffati da Manish Kumar e non hanno la minima idea di chi avesse queste licenze, dicono. Kumar il 6 febbraio ha scritto via email che avrebbe risposto alle nostre domande, ma non l’ha più fatto. Intanto Provvisionato continua a restare in carcere. Senza sapere il perché.
di Lorenzo Bagnoli e Luca Rinaldi
Questo articolo è parte del progetto di giornalismo investigativo Security for Sale, a cui lavora un consorzio di giornalisti provenienti da undici Paesi europei. Il sito del consorzio è: www.securityforsale.eu. Security for Sale è stata resa possibile dal giornale olandese De Correspondent con il contributo di Journalismfund.eu.
Aggiornamento: il 28 marzo Leonida Reitano ha richiesto la rettifica rispetto al suo ruolo nella vicenda Vigilar-Mauritania
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Cybersicurezza, vendite segrete di software spia agli Stati canaglia. L’Italia nasconde le aziende cui ha dato la licenza
Vendere fuori dall’Europa programmi “dual use” - utilizzabili sia per scopi civili sia militari - richiede una licenza per l’esportazione, secondo le regole Ue. Quali società l'hanno ottenuta? E verso quali destinazioni? Dei 28 Paesi dell’Unione, 11 (tra cui il nostro) si rifiutano di comunicare questo dato: "Gli atti sono sottratti all’accesso", fa sapere il Mise. Gli altri affermano di aver concesso 317 nullaosta, negandone solo 16: nel 29,7% dei casi, destinatari sono nazioni considerate "non libere" come Arabia Saudita, Emirati Arabi, Colombia, Turchia
Ahmed Mansoor è un attivista degli Emirati Arabi Uniti, tra i protagonisti del tentativo di far arrivare anche nei Paesi del Golfo il vento delle Primavere arabe nel 2011. Il 10 e 11 agosto 2016 riceve alcuni sms sul suo IPhone che gli danno notizie di nuove torture nelle carceri degli Emirati. Mansoor non si fida e fa controllare il contenuto ai ricercatori di CitizenLab, una ong canadese che si occupa di cybersicurezza. Aveva ragione: per la terza volta è bersaglio di un tentativo di hackeraggio. Il primo dei tre tentativi arrivò da un’azienda britannica, la Gamma International; poi gli italiani di Hacking Team e infine gli israeliani di NSO Group.
Nessuno dei Paesi coinvolti in questa vicenda poteva dire di non sapere che dei propri connazionali stessero vendendo software spia ad un Paese in cui i diritti umani sono spesso calpestati. Vendere fuori dall’Unione Europea questi software, cosiddetti “dual use” – utilizzabili sia per scopi civili sia militari – richiede un via libera, una licenza per l’esportazione, come previsto dalla regolamentazione europea. Quali aziende hanno ottenuto il lasciapassare per la vendita? E verso quali destinazioni? Dei 28 Paesi dell’Unione, 11 (tra cui l’Italia) si rifiutano di comunicare questo dato. Gli altri affermano di aver concesso 317 licenze, negandone solo 16. Nel 29,7% dei casi, destinatari del sistema di cybersorveglianza erano Paesi che l’ong Freedom House considera “non liberi”. Sappiamo che le aziende della Danimarca esportano sistemi per la sorveglianza di massa di Internet in Paesi come Emirati Arabi Uniti, Cina e Vietnam. Dalla Finlandia in altri come Colombia, Kosovo, Kuwait, Libano, Antille Olandesi, Oman, Filippine ed Emirati Arabi Uniti. La Gran Bretagna ha concesso 153 licenze per “intrusion software” in mezzo mondo. E le 235 aziende europee che trattano questi prodotti hanno sede anche negli Emirati (42), in Cina (40), Turchia e Arabia Saudita (15).
Nel nostro Paese l’unico dato disponibile è sepolto tra le pagine della “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo delle esportazioni, importazione e transito dei materiali di armamento”. Qui, pur non distinguendo le categorie dei beni dual use, arrivano comunque numeri importanti: nel settore sono state rilasciate nel 2015, ultimo anno disponibile, un totale di 901 autorizzazioni (1028 nel 2014, 800 nel 2013, 829 nel 2012, 539 nel 2011, 360 nel 2010) per un valore di di circa 776 milioni di euro (673.958.749 nel 2014, 481.378.596 nel 2013, 525.286.567 nel 2012, 379.974.173 nel 2011, 339.247.959 nel 2010). Non è dato sapere quanto tra questi numeri arrivi da strumenti per la sorveglianza digitale. Dal personale tecnico del Ministero dello Sviluppo Economico, competente sulla materia, arriva una risposta tranchant: “Gli atti procedimentali relativi alla materia del controllo all’esportazione di prodotti ad alta tecnologia (dual use) sono specificamente sottratti all’accesso“. Tradotto, tutta la documentazione relativa all’esportazione e transito dei beni a doppio uso non è accessibile, proprio per la loro natura anche militare. L’Italia è l’unico Paese in Europa in cui si invoca questo per giustificare il non rilascio delle informazioni.
“Il caso Hacking Team ha svelato che l’Italia non ha prestato molta attenzione all’aspetto dei diritti umani, visti i Paesi per cui ha concesso le licenze. Per avere idea di cosa è successo dopo dovremo avere un altro caso simile, ma è improbabile”, spiega Collin Anderson, esperto di cybersicurezza americano che conosce le leggi sull’export nel mondo.
La normativa Ue sull’esportazione è unica, per quanto le risposte dei Paesi membri alle richieste di dati siano opposte. A differenti livelli di trasparenza, corrispondono anche diversi criteri nella concessione delle licenze. “Ci sono grandi difformità nel modo in cui il regolamento è stato recepito. Oggi tutto ciò che non passa da un Paese, potrebbe passare da un altro”, spiega Tiziana Beghin, europarlamentare del Movimento 5 Stelle e relatore ombra per l’adozione di un nuovo regolamento europeo. Il timore diffuso tra esperti e legislatori è che le aziende possano aprire succursali in altri Paesi europei dove l’interpretazione della legge è meno restrittiva, oppure si possano appoggiare ad altre società più facilitate nell’export, sempre all’interno dei confini comunitari. L’Italia è stata spesso al centro di queste triangolazioni, come dimostrato dal caso Hacking Team.
Ma oggi? Un caso particolare è RCS Lab: casa madre in Germania, succursale in Italia, dove è tra le sei società più forti del settore, collaborando con varie procure nel campo delle intercettazioni telefoniche e telematiche. Il proprietario Simon Thewes nel 2015 era in affari con Hacking Team attraverso un’altra azienda, la TKSL. Subito dopo lo scandalo che ha coinvolto l’azienda milanese, aveva spiegato ad Euractiv che avrebbe preferito un’unica normativa in Europa. Spiegava che alcune compagnie oggi si spostano nell’Unione se il Paese a cui appartengono ha regole troppo severe. Contattato per avere un’intervista sul funzionamento delle licenze dell’export per i dual use, ha risposto di non voler parlare con i giornalisti.
Le discussioni per il nuovo regolamento sono già in corso, a partire da una proposta della Commissione europea giudicata dall’eurodeputata Beghin “un rimaneggiamento di quella attuale”. Lo scopo è allineare l’Europa almeno sull’importanza della questione dei diritti umani attraverso l’introduzione di un nuovo concetto (Human Security), ma a conti fatti saranno sempre le autorità nazionali ad avere l’ultima parola sulla possibilità di esportare. Finché il recepimento della norma sarà così diverso, ci saranno violazioni non solo sul piano dei diritti umani, ma anche su quello economico: “Non è giusto – attacca Anderson – che una società nei Paesi Bassi, dove le autorità mostrano attenzione ai diritti umani, debba competere sul mercato, per esempio, con una azienda italiana dove sembra si ignorino i più basilari rischi rispetto alla violazione di questi. Un tradimento dei principi su cui si basa la stessa Ue”.
In Germania per i beni dual use destinati alla cybersorveglianza ci sono requisiti ulteriori rispetto a tutti gli altri beni a doppio uso, proprio per evitare che possano essere utilizzati a scopi di repressione. La Commissione voleva prendere spunto, con una lista di dieci beni dual use per cui richiedere controlli extra agli Stati membri. La lista oggi è già dimezzata. Gli interessi in ballo sono tanti: “La più grande associazione che rappresenta le aziende di settore, DigitalEurope, ci ha già fatto sapere che giudica in modo negativo le modifiche proposte perché troppo restrittive”, aggiunge Beghin. Il punto di equilibrio tra interesse pubblico e privato è difficile da trovare. Soprattutto per chi, come l’Italia, punta su questo settore. Un settore popolato da società forti come la stessa Hacking Team, Innova, Ips e Area. Quest’ultima è stata accusata di aver venduto software per lo spionaggio al regime siriano di Bashar Al Assad. A sua discolpa, all’epoca Damasco non era “nemica” dell’Italia.
Dietro a queste, c’è poi un sottobosco di società minori che cercano di farsi spazio in questo mercato, ma che rischiano di finire in giochi più grossi di loro. Per esempio Vigilar Group, che fa investigazioni private. La gestiscono Francesco Castro, ex carabiniere, con una lunga esperienza nel settore, e il figlio Davide. Proprio quest’ultimo stava aprendo una società di consulenza sulla cyber sorveglianza in Spagna, V-Mind, quando viene contattato dall’hacker indiano Manish Kumar, che attraverso la sua società tedesca Wolf Intelligence vuole vendere nel 2015 un software intrusivo prodotto in Israele al governo della Mauritania.
Ha già venduti 12 strumenti del genere, ma per questo – ultimo del pacchetto pattuito con il governo – ha bisogno di un aiuto esterno. Kumar cerca un europeo che lo possa rappresentare in Mauritania e chiede aiuto a Davide Castro, conosciuto in una fiera internazionale della sicurezza informatica. In realtà, la trattativa Kumar-Mauritania è già ai ferri corti. Castro manda Leonida Reitano, giornalista esperto di informatica e consulente occasionale della Vigilar per attività di training o di investigazioni online. In base a quanto dettogli l’attività di Reitano sarebbe stata l’assistenza ad un meeting per la presentazione di una brochure della Wolf Intelligence. I dettagli dell’attività, descritta in termini molto vaghi, sarebbero stati precisati in Mauritania durante una riunione da tenersi con Kumar.
In realtà le cose si sono presentate in maniera molto diversa. All’arrivo all’aereoporto di Nouakchott a Reitano viene sequestrato il passaporto, e Reitano viene accompagnato da un dipendente della Wolf Intelligence presso l’abitazione privata affittata da Kumar dove rimane per circa dieci giorni senza fare alcunché e senza vedere nessuno visto che Kumar continuava a rimandare il suo arrivo in Mauritania. Terminato il periodo previsto nell’accordo con Reitano, Vigilar manda a Nouakchott per sostituirlo Cristian Provvisionato, che è alle dipendenze della società come addetto alla security/guardia del corpo. Non conosce nulla di cybersecurity.
Provvisionato accetta per la paga e perché gli viene prospettato un lavoro veloce come “piazzista” di un prodotto di sorveglianza. Invece si ritrova in carcere da quasi due anni, con l’accusa di truffa allo Stato mauritano. Cosa c’è dietro a questa storia? Perché un’azienda tedesca coinvolge un’azienda italiana nella vendita di uno strumento prodotto in Israele e destinato alla Mauritania, Paese che non brilla per il rispetto dei diritti umani? Chi ha concesso le licenze per l’export? I Castro dicono di non potere parlare con i giornalisti perché c’è un’indagine in corso. Sono stati truffati da Manish Kumar e non hanno la minima idea di chi avesse queste licenze, dicono. Kumar il 6 febbraio ha scritto via email che avrebbe risposto alle nostre domande, ma non l’ha più fatto. Intanto Provvisionato continua a restare in carcere. Senza sapere il perché.
di Lorenzo Bagnoli e Luca Rinaldi
Questo articolo è parte del progetto di giornalismo investigativo Security for Sale, a cui lavora un consorzio di giornalisti provenienti da undici Paesi europei. Il sito del consorzio è: www.securityforsale.eu. Security for Sale è stata resa possibile dal giornale olandese De Correspondent con il contributo di Journalismfund.eu.
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Roma, 24 feb. (Adnkronos) - Si riunirà domani pomeriggio il gruppo Pd della Camera e all'ordine del giorno c'è anche la questione della pdl Cisl sulla partecipazione dei lavoratori. Dopodomani infatti si riunirà in mattinata il Comitato dei 9 e quindi è atteso il provvedimento in aula. Provvedimento sul quale si sono registrate sensibilità diverse tra i dem. Con il disagio dell'area riformista, in particolare, a dire no all'iniziativa promossa dalla Cisl. Per un altro pezzo dei dem invece, come Arturo Scotto e Maria Cecilia Guerra, il testo base è stato stravolto dalla maggioranza ed è quindi insostenibile. Testo su cui, per altro, ha messo il cappello la stessa premier Giorgia Meloni parlando all'ultima assemblea Cisl.
I dem, per trovare una quadra, si erano già confrontati nelle settimane scorse in una riunione del gruppo a Montecitorio. Si era deciso di rinviare la decisione sul voto, in attesa di vedere se la maggioranza si fosse resa disponibile ad accogliere alcune modifiche, in aula, proposte dal Pd. "Attendiamo un segnale", si era detto. A quasi un mese di distanza però il 'segnale' non sembra arrivato. Dice Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro: "Noi abbiamo tenuto sempre come bussola il merito. E votare no al mandato al relatore, è stata un scelta di merito perchè il testo base Cisl è stato completamente stravolto e peggiorato. Tanto che viene da chiedersi come sia possibile che un grande sindacato come la Cisl possa riconoscere come proprio il provvedimento che arriva in aula...".
"Ma -aggiunge- abbiamo detto che eravamo disponibili a modificare il nostro no in commissione, se in aula la maggioranza avesse dato l'ok ad alcune significative modifiche. Al momento, però non abbiamo avuto alcun segnale in questa direzione". E quindi, va a finire che il Pd si divide? "Non credo proprio". Magari si va verso un'astensione? "Domani abbiamo il gruppo, discuteremo domani".
Roma, 24 feb. (Adnkronos Salute) - L'intervento e le cure per il tumore al seno possono avere un forte impatto sulla sfera emotiva e sessuale della donna; il bisogno di recuperare femminilità e intimità, così come il desiderio di maternità, sono molto sentiti dalle pazienti, che però non ne parlano. Lo confermano i dati di un'indagine condotta da Iqvia e promossa da Europa Donna Italia per comprendere l'impatto della malattia sull'identità femminile e la relazione di coppia. I risultati sono stati presentati nel corso del convegno scientifico 'Rəvolution in medicine', che si è tenuto sabato 22 febbraio all'università degli Studi di Milano.
Oltre il 90% delle donne riscontra problemi legati alla sfera sessuale in seguito a interventi e trattamenti per il tumore al seno, ma il 66% non ne parla con nessuno e il 42% rinuncia a gestirli, evidenzia la ricerca coordinata da Isabella Cecchini, responsabile del Centro studi Iqvia Italia, che ha coinvolto 382 donne con diagnosi di tumore al seno di diverse fasce di età e a diverso stadio di malattia. I risultati indicano che le tematiche relative a emozioni e sessualità sono percepite importanti per il 72% del campione, ma restano taciute non solo dalle donne stesse - principalmente per timore, vergogna, idea che siano aspetti secondari rispetto alle priorità dettate dalla malattia - ma anche dai medici.
"Rispetto agli esordi del mio essere oncologa - dichiara Manuelita Mazza, oncologa della Senologia medica dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e responsabile scientifica di 'Rəvolution in medicine' - la vita delle pazienti è cambiata. In poco più di vent'anni ho assistito a grandi passi avanti nella capacità di curare il tumore al seno, anche nelle forme metastatiche; tuttavia, se si guarisce sempre di più e l'aspettativa di vita è più lunga, non sono certa sia anche più larga, più piena, più densa di vita stessa. La salute sessuale è un aspetto puntualmente trascurato del benessere di chi ha una diagnosi impegnativa come il tumore al seno, specie se metastatico, ma è parte integrante del benessere di ciascuna donna e non può essere un argomento omesso a fronte di una diagnosi di tumore al seno".
"Fornire alla paziente informazioni chiare sugli effetti collaterali sessuali dei trattamenti e, se desiderato, includere il partner nelle discussioni cliniche può fare una grande differenza - prosegue Mazza - Questa apertura non solo supporta meglio la paziente, ma le permette di sentirsi compresa in una delle sfere più intime e vulnerabili della sua vita".
I dati presentati confermano quanto un cambio di passo sia necessario: appena il 22% delle donne intervistate ha un alto livello di consapevolezza dell'impatto delle terapie sulla propria sessualità, l'11% ha interrotto la relazione con il proprio partner dopo la diagnosi di tumore al seno e 2 coppie su 3 hanno interrotto i rapporti sessuali. Anche sul fronte della maternità emergono dati significativi: solo 3 pazienti su 4 parlano del desiderio di diventare madri con il proprio medico di riferimento, e la comunicazione risulta chiara e rassicurante appena per la metà di esse, con il risultato che troppo spesso si rinuncia al proprio progetto di vita perché non si sono ricevute informazioni adeguate.
"E' il momento di promuovere un cambiamento - commenta Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia - e far sì che i problemi riscontrati dalle pazienti nella sfera emotiva e sessuale escano dal cono d’ombra del tabù. Le donne chiedono un supporto specifico da parte dei medici e vorrebbero essere affiancate anche dagli psiconcologi. L'impegno di Europa Donna in queste direzioni non mancherà. Già dal 2022 abbiamo avviato il progetto 'Come Prima', dedicato al recupero della femminilità e al desiderio di maternità delle donne con tumore del seno, coinvolgendo le pazienti, i loro partner e i medici con materiale informativo e appuntamenti dedicati, e proseguono i nostri sforzi per promuovere e normalizzare il dialogo tra pazienti e professionisti sanitari, medici in primis, anche su questi aspetti. Non dimentichiamo che la presa in carico delle pazienti deve prendere in considerazione non solo la malattia di per sé, ma la donna nella sua interezza, con i suoi bisogni fisici e psicologici".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "La vicenda di attivisti e giornalisti spiati sta assumendo tratti sempre più inquietanti. Anche Don Mattia Ferrari, prete attivo con Mediterranea, è stato spiato con un software installato sul suo telefono". Lo dice la segretaria del Pd Elly Schlein.
"È urgente e necessario che il governo, e in particolare Giorgia Meloni, smetta di scappare e si impegni a chiarire al Paese chi sta spiando attivisti e giornalisti, perché qui sono a rischio le fondamenta dello stato di diritto. Abbiamo chiesto al governo di dirci quali entità statali hanno autorizzato l’installazione dei software di Paragon sui cellulari spiati, e il governo non sta dando queste risposte".
"Che cosa sta coprendo? Perché la Presidente del Consiglio trova il tempo di partecipare a ogni convention sovranista, ma non lo trova per fare chiarezza su questi fatti gravissimi e renderne conto al Parlamento? Le italiane e gli italiani meritano risposte ed è suo dovere fornirle. Da parte mia e di tutto il Partito democratico piena solidarietà e sostegno a Don Mattia Ferrari".
Milano, 24 feb. (Adnkronos) - Supportare e valorizzare le attività di alta formazione, ricerca e trasferimento tecnologico, attraverso iniziative di promozione e sostegno finanziario e strategie di cooperazione nazionale e internazionale, per contribuire alla crescita economica del Paese, mettendo in stretta connessione mondo accademico e produttivo. E' la mission della Fondazione Bicocca, il nuovo ente costituito dall'università di Milano-Bicocca presentato oggi nell’Aula Magna dell’ateneo, durante l’evento 'Connessioni per il futuro', alla presenza della rettrice Giovanna Iannantuoni, del presidente della Fondazione e prorettore vicario dell’ateneo Marco Orlandi, del sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri Alessandro Morelli, dell’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi e dell’assessora allo Sviluppo economico e politiche del lavoro del Comune di Milano Alessia Cappello.
La Fondazione Bicocca è una fondazione di partecipazione, senza scopo di lucro, e nasce per favorire la partnership tra ateneo e soggetti esterni, la collaborazione tra pubblico e privato. Sue finalità principali sono il sostegno all’imprenditorialità accademica e alla valorizzazione della proprietà intellettuale, il supporto ai servizi per gli studenti e alle iniziative di orientamento e la partecipazione a progetti internazionali, europei e nazionali per attrarre finanziamenti a sostegno della ricerca e dell’innovazione.
Fondazione Bicocca avrà il suo quartier generale nella sede principale dell'università, nell'edificio U6 Agorà. A poca distanza, in Bim, il grande progetto di rigenerazione urbana promosso da Aermont Capital e Kervis Sgr che sta trasformando un iconico edificio di Vittorio Gregotti in una work destination all’avanguardia, troverà casa il Bicocca Pavilion, il nuovo innovation hub della Fondazione Bicocca, che mette in relazione le eccellenze dell'ateneo con il mondo delle imprese. Il pavilion, progettato da Piuarch e costruito al centro della piazza, immerso nel verde, è uno spazio polifunzionale dal design distintivo e flessibile, pensato per ospitare un ecosistema evoluto di imprese e professionisti, favorendo il dialogo e le sinergie. L’inaugurazione del Bicocca Pavilion avverrà il 14 aprile.
Nello specifico, la Fondazione opera nei seguenti ambiti: alta formazione, con la gestione e la promozione di tutti i master di I e II livello, corsi professionalizzanti, summer e winter school e convegni accademici, con l’obiettivo di aumentare del 10 per cento l’offerta formativa a partire dall’anno accademico 2025-2026; ricerca e trasferimento tecnologico, con la promozione e la valorizzazione dei risultati della ricerca universitaria attraverso il supporto alla brevettazione e alla partnership con imprese ed enti pubblici, con lo scopo di incrementare del 10 per cento i proventi da collaborazioni con aziende; eventi e public engagement, con il coordinamento e l'organizzazione di hackathon, workshop e conferenze per promuovere la ricerca, condividerne la conoscenza con il pubblico e attrarre sponsorizzazioni private.
E' prevista l’organizzazione di almeno 10 eventi sponsorizzati all’anno. "La creazione della Fondazione Bicocca rappresenta un passo strategico per il nostro ateneo -afferma la rettrice dell’Università di Milano-Bicocca Giovanna Iannantuoni- introducendo una serie di vantaggi operativi, gestionali e strategici che integrano e potenziano le attività già svolte. La Fondazione potenzia e amplifica l’impatto dell’Università sul territorio e nel panorama accademico nazionale e internazionale. Milano-Bicocca si pone all’avanguardia nella creazione di un ecosistema accademico-innovativo, in grado di rispondere alle sfide del futuro con strumenti più efficaci e competitivi".
"Grazie alla Fondazione -dichiara il presidente della Fondazione e prorettore vicario dell’ateneo, Marco Orlandi- potremo ottimizzare la gestione di iniziative chiave per la formazione, il trasferimento tecnologico e la valorizzazione della ricerca, consolidando il ruolo dell'università di Milano-Bicocca come polo di eccellenza. Vogliamo che la Fondazione diventi un punto di riferimento per la valorizzazione della conoscenza e dell’innovazione tecnologica, promuovendo sinergie con il mondo imprenditoriale e con le istituzioni pubbliche".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "A tre anni dalla brutale aggressione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, vanno ribadite vicinanza e solidarietà alla coraggiosa resistenza ucraina a difesa della propria indipendenza e della libertà delle sue scelte nazionali". Lo afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
"La violazione delle più basilari norme di convivenza internazionale, infrangendo anche solenni impegni assunti nel 1994 tra le due parti, le centinaia di migliaia di vittime, anche tra la popolazione civile, la devastazione volutamente perseguita delle infrastrutture ucraine -aggiunge il Capo dello Stato- sollecitano, insieme a una severa condanna, la ricerca di rapido avvio di colloqui affinché le due parti pervengano alla definizione di una pace giusta, in linea con i principi dell’Onu, garantita da efficaci misure di sicurezza che la rendano effettiva e definitiva".
Montaione, 24 feb. (Adnkronos) - “Papa Francesco l’ho conosciuto, per due volte ho avuto la fortuna di stringergli la mano, quando sei davanti a lui, se ti metti in silenzio, riesci a sentire quella energia del suo modo di essere della persona che è. Sono uno che un po’, a modo suo, delle volte prega anche, e voglio dire una preghiera per Papa Francesco”. Anche il ct della Nazionale azzurra di calcio Luciano Spalletti, in un incontro con i giornalisti nella sua tenuta di Montaione, ha voluto dedicare un pensiero e una preghiera per la salute di Papa Francesco ricoverato da giorni al Gemelli.
Roma, 24 feb (Adnkronos) - Domani, martedì 25 febbraio, alle 16.30 presso la sala della Regina di Montecitorio, si svolge il convegno 'In ricordo di Luca Attanasio - Un uomo delle istituzioni che ha onorato l'Italia nel mondo'. Lo rende noto la Camera.
Saluti in apertura del Presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Intervengono Zakia Seddiki Attanasio, Presidente della Fondazione Mama Sofia, Antonio Tajani, Ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale e Vicepresidente del Consiglio, Giuseppe Valditara, Ministro dell'Istruzione e del Merito, Orazio Schillaci, Ministro della Salute, Isabella Rauti, Sottosegretario alla Difesa, Fabio Marchese Ragona, giornalista e autore del libro "Luca Attanasio, storia di un ambasciatore di pace", che sarà commentato durante il convegno, Ettore Sequi, già Segretario generale del Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale e Vicepresidente Sace. Coordina i lavori Maria Antonietta Spadorcia, vicedirettore del Tg2. L'appuntamento viene trasmesso in diretta webtv.